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La X Mas Australiana


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La storia della seconda guerra mondiale è costellata operazioni speciali che videro protagonisti i combattenti di ambedue gli schieramenti. In questo caso anche gli italiani seppero realizzare imprese che suscitarono la sincera ammirazione degli avversari, assolutamente per nulla inclini nel riconoscere le qualità belliche di una nazione poco considerata a qualsiasi livello. In alcuni casi le esperienze maturate dalla Decima Mas, cui si deve ad esempio il capolavoro dell’attacco ad Alessandria [dicembre 1941] con il danneggiamento delle navi da battaglia Queen Elizabeth e Valiant, o le ripetute violazioni delle difese di Gibilterra, furono presi ad esempio per l’effettuazione di analoghe missioni. Tra le tante innumerevoli imprese compiute, degna di nota è l’attacco alla base navale di Singapore nel settembre 1943 ad opera di un gruppo della marina australiana.

 

 

La rischiosa missione [operazione Jaywick] venne pianificata dal Special Operations Australia attraverso l’impiego di canoe biposto condotte dagli uomini della Z-Special Unit armati di mine magnetiche da applicare alle unità navali. I 15 uomini [11 australiani e 4 britannici] e le tre canoe sarebbero stati condotti nei pressi della base navale a bordo di un comunissimo peschereccio ex giapponese, il Kofuku Maru, catturato ai tempi dell’invasione della stessa Singapore nel dicembre di due anni prima, successivamente impiegato nel Borneo, e infine condotto in Australia dopo aver raggiunto l’India, per essere ribattezzato con il nome di Krait.

 

 

L’addestramento degli uomini, svoltosi in una zona a nord di Sydney, fu particolarmente duro. Le prove generali furono effettuate contro il porto di Townsville [operazione Scorpion] le cui difese era all’oscuro dell’imminente “attacco†dell’unità speciale: nella notte del 20 giugno cinque canoe biposto si aggirarono indisturbate tra le unità militari e i mercantili presenti nelle acque della città australiana simulando il minamento di diversi scafi.

 

 

Il lungo viaggio della piccola unità che poteva sviluppare al massimo una velocità di appena 6,5 nodi ebbe inizio il 2 settembre 1943 dalla base navale di Exmouth sulla costa orientale del continente australiano da dove, dopo 18 giorni di navigazione per lo più in acque controllate dal nemico, raggiunse l’isola di Pandjang. Come previsto dal piano, qui furono sbarcati i sei uomini e le tre canoe, mentre il Krait riprese il mare in attesa del ricongiungimento.

Al comando del 28enne capitano Ivan Lyon dei Gordon Highlanders, i commandos si trasferirono a Subar Island, una decina di chilometri di distanza dall’obiettivo. Da qui, nella notte tra il 26 e il 27 settembre, raggiunsero l’imboccatura del porto e senza destare il minimo sospetto riuscirono a piazzare gli ordigni esplosivi su diverse unità che si trovavano alla fonda. Conclusa l’operazione i tre teams pagaiarono per diverse notti, coprendo una distanza di circa 50 miglia, fino a raggiungere il luogo dell’appuntamento con il Krait al quale però si presentò inizialmente un solo equipaggio. Se avesse dovuto applicare alla lettera gli ordini ricevuti il comandante del peschereccio avrebbe dovuto mettere la prua in direzione dell’Australia ma la notte successiva il peschereccio finto-malese ritornò sul luogo indicato riuscendo così a porre in salvo anche i restanti quattro uomini. Il 19 ottobre 1943, dopo aver navigato per 33 giorni e 8.000 chilometri in acque nemiche, la piccola unità fece ritorno nelle sicure acque di Exmouth decretando così il successo completo di Jaywick.

 

 

Sugli effettivi risultati dell’operazione le fonti non concordono: generalmente si parla dell’affondamento o del grave danneggiamento di sette navi per 37.000 tonnellate ma di certo vi è la perdita di due unità [Kizan Maru di 5.007 tsl e Hakusan Maru 2.197 tsl] e il danneggiamento della cisterna Sinkoku Maru e del piroscafo Taisyo Maru. Qualunque sia l’ammontare complessivo del bottino, nulla toglie alla genialità di quanto idearono la missione e al coraggio di quanto la portarono a termine.

 

 

I giapponesi rimasero per tutta la durata del conflitto all’oscuro dei quanto era effettivamente accaduto non potendo immaginare un’incursione alleata in un punto così lontano dalla zona dei combattimenti. Attribuirono quindi l’azione a elementi locali della guerriglia: nelle settimane successive arrestarono diverse persone, anche torturandole per ottenere informazioni, procedendo poi ad alcune esecuzioni.

 

 

Ritornati in Patria gli specialisti del SOA si misero subito all’opera per progettare un nuovo assalto contro lo stesso obiettivo. La seconda operazione, denominata Rimau, ancora sotto la responsabilità di Lyon nel frattempo promosso maggiore, ebbe luogo nel settembre 1944 con l’impiego di nuovi e più mezzi [15 MSC, Motor Submersible Canoes e 11 normali canoe] e un maggior numero di uomini [23], tra cui altri cinque reduci di Jaywick.

 

 

Per ridurre al minimo i rischi della lunga traversata, la Royal Navy mise a disposizione il sommergibile Porpoise che lasciò la base di Fremantle il giorno 11. Stabilitosi sull’isola di Merapas, il Gruppo X s’impadronì di una giunca da utilizzare per l’avvicinamento all’obiettivo e sulla quale furono trasportati mezzi e armi. Questa volta però l’esito dell’operazione, programmata per il 6 ottobre, fu tragico. A una ventina di chilometri dal porto la piccola unità venne intercettata da una nave pattuglia giapponese: nel successivo scontro molti uomini furono uccisi, Lyon compreso, e altri catturati. Solo un elemento riuscì a sfuggire e a darsi alla fuga, conclusasi però lungo il cammino verso l’Australia, e precisamente nell’isola di Timor ad opera di collaborazionisti dei giapponesi. I dieci sopravvissuti invece furono fucilati come spie a Singapore il 7 luglio 1945, alla vigilia della fine del conflitto.

 

 

Il 26 settembre 2003 in occasione delle celebrazioni svoltesi a Singapore per il sessantesimo anniversario dell’operazione Jaywick, erano presenti gli ultimi tre commandos ancora viventi: Arthur Jones [uno dei sei componenti l’equipaggio delle tre canoe], Horace Young e Mostyn Berryman, quest’ultimi due imbarcati sul Krait.

 

 

E l’insignificante peschereccio giapponese di 21 metri di lunghezza che a Sumatra mise in salvo circa 1.100 marinai appartenenti a navi alleate affondate nel corso dell’invasione del Borneo, continua ancora oggi la sua esistenza sotto la tutela dell’Australian National Maritime Museum di Sydney. Destinato certamente alla demolizione, nel 1964 venne salvato dalla fiamma ossidrica grazie a una sottoscrizione pubblica. Impiegato negli anni successivi per l’addestramento degli uomini della Riserva Navale è ora giustamente classificata “nave storicaâ€.

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