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Tavola 15


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La storia delle esplorazioni dei fondali marini è piuttosto recente. Se il francese Pierre-Simone Laplace era riuscito già ai primi dell'800 a misurare con buona approssimazione la profondità media dell'Atlantico, avvalendosi di calcoli matematici basati sulle escursioni di marea sulle coste del Brasile e dell'Africa, bisognerà attendere il 1872 perché la prima spedizione inglese, denominata Challenger, porti in superficie dei campioni di organismi viventi pescati negli abissi marini. Gli strumenti usati a quell'epoca erano degli scandagli meccanici, precursori dei più raffinati carotatori ed ecoscandagli che si usano per misurare le profondità marine. Oggi sappiamo che, nel punto di più profondo del globo, la Fossa delle Marianne, la profondità è di 10.916 metri. Se pensiamo che i primi sommozzatori potevano scendere fino a una decina di metri sott'acqua (oggi il record sportivo di immersioni è di 40-50 metri e solo con apposite attrezzature e miscele è possibile scendere oltre i 150 metri), è chiaro che c'era bisogno di un altro strumento che consentisse la sopravvivenza a profondità più elevate.

Una prima idea era venuta all'astronomo inglese Edmund Halley, che aveva realizzato una campana subacquea in legno, ma il primo a calarsi a grande profondità all'interno di un mezzo sommergibile fu l'americano Beebe, che insieme a Barton, collaudò nel 1930 la batisfera da loro ideata, raggiungendo quasi i 1000 metri.

Negli anni intorno alla Seconda guerra mondiale, lo svizzero Auguste Piccard, interessato anche lui sia alla stratosfera che alle profondità marine, progettò il primo bastiscafo che non fosse legato a un cavo ancorato a una nave. Piccard lo battezzò FN RS-2 e lo provò nel 1948 al largo di Capo Verde, raggiungendo una profondità di 1.500 metri, senza equipaggio a bordo.

Sfortunamente il mezzo si danneggiò nell'impresa e Piccard dovette attendere alcuni anni per riprendere gli esperimenti.

Fu con l'aiuto del figlio Jacques che riuscì a costruire un nuovo batiscafo, il Trieste, varato nel 1953 con il quale, nel 1960, stabilì il record di immersione alla Fossa delle Marianne.

La risposta italiana all’impresa di Piccard venne da Pietro Valsena, che Con i suoi 33 brevetti, ha spaziato in diversi campi della tecnica del dopoguerra particolarmente in quella nel settore dei piccoli motori fuoribordo e dei mini sommergibili destinati a recuperi marini interessando di ciò anche varie autorità internazionali. Una figura rappresentativa di cosa sono stati tanti geniali artigiani italiani di quel periodo, metafora del lavoro umile e appassionato che avrebbe spalancato negli anni le porte dell’italian style.

A imitazione del batiscafo di Jacques Piccard nel 1942, Vassena progetta e fabbrica il batiscafo C3 che nel 1948 raggiunge il 12 marzo nel lago di Como., i 412 metri : La prova viene effettuata davanti ad Argegno distante dalla costa 400 metri, in una zona del lago dalle sponde scoscese e ripide. Il mezzo era nato per operare nella localizzazione di relitti affondati. Successivamente Vassena trasferisce il suo batiscafo a Capri per una immersione ancor più impegnativa a maggiore profondità. Doveva farsi nello specchio d’acqua prospiciente la Grotta Azzurra (nota: il batiscafo era stato iscritto nei registri navali statunitensi come mezzo di ricerca a grandi profondità) Dopo aver fatto una prima prova positiva ne viene tentata un’altra a profondità maggiore . E lì il batiscafo per uno portello di uscita a mare non ben chiuso, affonda.

Il secondo batiscafo progettato da Piccard ed è stato il batiscafo Trieste I, comprato dalla marina statunitense nel 1957. Nel 1960 il Trieste che tocca per primo il punto più profondo del Mediterraneo (1953 -3.700 m.) e successivamente stabilì un record mondiale probabilmente imbattibile raggiungendo il fondo del cosiddetto Challenger Deep: il punto più profondo della fossa delle Marianne vicino all'isola di Guam, probabilmente la maggiore profondità marina esistente

 

Il batiscafo C3 in emersione

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Vassena e il C3

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Il batiscafo Trieste

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Il Trieste in navigazione

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L'inventore del Trieste, Piccard

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Bibliografia

www.vivereilmare.it

www.sacrariosportnautici.it

erewhon.ticonuno.it

www.webalice.it/cherini/Mercantile/presentazione

www.wikipedia.it

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Un batiscafo è un tipo di piccolo veicolo sommergibile ad auto-propulsione. È costituito da una cabina per l'equipaggio simile a una batisfera sospesa sotto un galleggiante ripieno di liquido più leggero dell'acqua come la benzina.

 

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La propulsione è fornita da motori alimentati da una batteria elettrica. Negli anni '50 lo svizzero Piccard con il figlio Jacques rivolge le sue attenzioni alle profondità del mare, progettando un mezzo, il batiscafo, che potesse immergersi senza essere vincolato ad una imbarcazione di superficie e che potesse andare a maggiori profondità delle batisfere. Già nel 1905 da studente della Scuola Politecnica di Zurigo aveva concepito un mezzo così fatto.

 

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Grazie alla fama che raggiunse con le ascensioni nella stratosfera ('31-'34) si diede alla progettazione di un mezzo composto da una parte sferica, adibita a cabina di osservazione, dotato di oblò in plexiglass e di potenti proiettori, più pesante dell'acqua ed idonea alla discesa e di una parte più leggera (un serbatoio di benzina comprimibile per infiltrazione di acqua che appesantisce il mezzo in fase di discesa) in grado, una volta rilasciate le zavorre (costituite da granaglia di ferro contenute in una tramoggia e trattenuta da una serranda magnetica, che una qualsiasi interruzione di corrente, volontaria o anche accidentale, libera, alleggerisce il congegno) consente di riportare in superficie il mezzo (come avviene per i palloni idrostatici.

 

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Il primo batiscafo realizzato, nel 1937, da Piccard fu l'FNRS II, grazie al Fondo nazionale belga per la Ricerca Scientifica.

Da questa esperienza, in collaborazione con la Marina francese e i finanziamenti Francia, Svizzera e Italia, realizzò due progetti di Batiscafo: l'FNRS III e il Trieste

Per poter studiare la maggior parte della piattaforma continentale di profondità non superiore ai 300 metri, Piccard studiò e sviluppo l'idea di un mezzo, il "mesoscafo", per le medie profondità, costituito da una cabina più leggera dell'acqua, in acciaio, in vetro o in plexiglass, munita di una o più eliche agenti in senso verticale. In caso di guasto al motore la risalita sarebbe stata automatica.

Il progetto non ebbe realizzazione, ma il principio fu conservato nella realizzazione di due mesoscafi: l'Auguste Piccard e il Meso Ben-Franklin

 

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