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Italia - Un Paese A Sovranità Limitata


Visitatore Marcuzzo

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Ho trovato su geopolitica.info questo articolo di Francesco Oddi. E' da prendere un pò con le pinze, ma vale cmq la pena di leggerlo.

 

Un traghetto carico di passeggeri, che sperona una petroliera alla fonda nella rada di Livorno e prende fuoco. Una Commissione d’inchiesta sommaria, costituita da quattro ufficiali della Capitaneria di Porto, che in soli undici giorni emette una relazione finale che addita come cause della tragedia la nebbia e la rotta imprudente seguita dal traghetto. Un’importante partita di calcio in televisione, Juventus-Barcellona, che per l’opinione pubblica è il tassello mancante, che spiega la distrazione dell’equipaggio, concausa considerata decisiva per la drammatica collisione. Un processo di primo grado, in cui le imputazioni più pesanti gravavano sul capo del terzo ufficiale della petroliera Agip Abruzzo, colpevole di non aver attivato i segnali acustici prescritti in caso di nebbia, che si chiude con l’assoluzione di tutti gli imputati, un appello in cui la condanna del terzo ufficiale – tre anni e sei mesi – viene cancellata dalla prescrizione. Una tragedia senza colpevoli da condannare, i cui veri responsabili sembrano essere bruciati nel rogo della nave della morte. Un rogo alimentato dal comportamento, che a quattordici anni di distanza suscita ben più di qualche sospetto, della Capitaneria di Porto, che ha dirottato tutti i mezzi di soccorso sulla petroliera speronata, senza preoccuparsi di rintracciare l’altro protagonista della collisione, una motonave passeggeri con 141 persone a bordo. Se ne salvò uno solo, un mozzo rimasto sospeso nel vuoto a poppa, raccolto da una barchetta di sette metri che ha subito lanciato l’allarme via radio, dopo che il naufrago aveva parlato di almeno una cinquantina di persone che era ancora possibile trarre in salvo.

 

Un appello lasciato cadere nel vuoto da chi coordinava le operazioni – i primi soccorritori attrezzati salirono a bordo del traghetto solamente sedici ore dopo la collisione, trovando solo cadaveri – e raccolto, anni dopo, da tre giornalisti, Michele Buono e Pietro Riccardi della redazione di Mixer ed Enrico Fedrighini, autore del libro-inchiesta “Moby Prince, un caso ancora apertoâ€Â. Un libro nato da un’attenta rilettura di documenti ufficiali e atti del processo, da ricerche di archivio e colloqui con periti e testimoni, che mette in luce le omissioni di chi ha coordinato i soccorsi e di chi ha indagato sul suo operato, delineando un quadro ben diverso da quello emerso al termine dell’iter giudiziario. Un comandante che, al momento di guidare i mezzi che dovranno portarlo in salvo da una petroliera in fiamme, comunica una posizione d’ancoraggio ben diversa da quella dichiarata successivamente agli inquirenti. Una videocamera, trovata in una borsa sotto al cadavere del proprietario, la cui cassetta, arrivata all’apparenza integra, oltre un anno dopo la scoperta, tra le mani del Pubblico Ministero, risulterà manomessa, tagliando parte del nastro registrato prima di incollarlo alla parte non utilizzata. La testimonianza scritta, mai presa in considerazione, di un agente della mobile che, andato a pesca sul molo, riferirà di aver visto, di domenica sera, uomini che scaricavano materiale imballato dal relitto del Moby Prince, ormeggiato in porto e posto sotto sequestro. Gli apparecchi che registrano i movimenti delle eliche e di conseguenza rotta e andatura del traghetto, trovati intatti dopo l’incendio ma spariti prima dell’inchiesta. Foto scattate nei primi giorni dopo la tragedia che documentano come il timone si trovava in una posizione diversa da quella trovata mesi dopo dai periti. Ed una serie di circostanze che gettano una luce sinistra sull’incidente, facendo intuire i motivi per cui non è stato rintracciato, in una zona strategica tra le più importanti del Mediterraneo, un solo tracciato radar di quel tratto di mare.

 

Navi americane, esentate dal render conto alle autorità italiane, che tornavano cariche di armi dalla prima Guerra del Golfo, e che, violando i trattati internazionali, stavano scaricando munizioni, esplosivi e materiale bellico in piena notte. Un peschereccio italo-somalo, arrivato in porto un mese prima, ufficialmente fermo per riparazioni, che proprio quella sera aveva chiesto il rifornimento di carburante. Quello stesso traghetto, che pure lascerà il porto solamente un mese e mezzo dopo, su cui stava indagando, raccogliendo prove per dimostrare un suo coinvolgimento nel traffico internazionale di armi, Ilaria Alpi, la giornalista del Tg3 uccisa nel ’94 a Mogadiscio. Tracce, seppur minime, di esplosivo militare, tra cui il Semtex, bruciato senza esplodere, nel locale eliche di prua del traghetto. Una cisterna con 16.000 litri di greggio, accanto a quella speronata dal Moby Prince, trovata con lo sportellino aperto ed una manichetta bruciacchiata alla base. Due ufficiali di marina che osservarono per parecchi minuti la petroliera alla fonda, dietro la quale facevano capolino i bagliori rossi di un incendio, notando la sagoma illuminata del traghetto, ancora ben lontana dal luogo della tragedia. Una nave proveniente dal largo che stava dirigendosi verso la rada di Livorno, invertendo la rotta subito dopo la collisione, sparendo nel nulla dopo una comunicazione in inglese, chiusa senza attendere risposta, in cui annunciava ad una fantomatica “Ship One†che stava andando via. Un elicottero militare che sorvolava quel tratto di mare nove minuti dopo l’impatto – uno dell’aeronautica militare italiana, se la base di Ciampino fosse stata allertata immediatamente, ci avrebbe messo un’ora e mezza – prima di allontanarsi e sparire in direzione nord. Verso la base americana di Camp Darby, gli otto milioni di metri quadrati alla periferia di Livorno in cui lo Stato Italiano non può andare a cercare la soluzione – le tesi che davano la colpa alla rotta, alla nebbia ed alla partita in televisione fanno acqua da tutte le parti – del mistero del traghetto, guidato dal comandante più severo e scrupoloso della flotta, che non si accorse di avere davanti a se una petroliera di 280 metri. In tutto il mondo ci sono solamente sei basi da cui l’esercito statunitense può, in qualsiasi momento, far partire truppe in assetto di guerra: Camp Darby è una di queste, l’unica collegata al mare da una canale, di cui è già stato disposto l’adeguamento per consentire l’accesso alle navi oceaniche ed evitare ulteriori trasbordi di armi nella rada di Livorno. Quando un consigliere regionale toscano fece pervenire una richiesta formale all’ambasciatore americano per avere i tracciati della sera della collisione, gli fu risposto che una base progettata e costruita per essere in grado di sferrare un attacco all’Unione Sovietica non era dotata di apparecchiature radar. L’ennesima vicenda che, insieme al nulla di fatto delle indagini sul caso-Ustica ed alla vergognosa assoluzione del responsabile della strage del Cermis, ci restituisce l’immagine di un paese a sovranità limitata.

 

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Ho letto, e consiglio di farlo, il libro di Fedrerighi su questa vicenda e devo dire che come italiano mi sono sentito offeso da come ci hanno proprinato la vicenda sui media.

Nell'immaginario la maggior parte della gente da la colpa alla distrazione dell'equipaggio intento a guardare la partita.

In questo modo si offende la memoria di quei morti e in particolare dello Stato Maggiore di quella nave che tentò nel miglior modo possibile di salvaguardare la vita dei passeggeri: ma una serie di sfavorevoli circostanze portarono a quello che tutti sappiamo.

Quello che dispiace e fa rabbia e lo sviamento da parte italo/usa delle responsabilità vere di questa oscura vicenda.

Tutte le volte che entro nel porto di Livorno, mi soffermo a guardare la lapide con i nomi dei morti di questo rogo e la mia tristezza aumenta, specialmento dopo aver letto le accurare e documentate ricerche contenute in questo libro.

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Caso strano l'unico superstite è morto un anno dopo sempre a Livorno in circostanze misteriose (Ufficialmente per una disgrazia ).......

 

 

Non sapevo questo. Bertrand mi sembra si chiamava il mozzo.

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Caso strano l'unico superstite è morto un anno dopo sempre a Livorno in circostanze misteriose (Ufficialmente per una disgrazia ).......

 

 

In realtà pare si sia suicidato: dalla tragedia ne uscì piuttosto malconcio, sia fisicamente che psicologicamente e sembra sia crollato di testa.

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