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I Miti Del Mare


Ursus Atlanticus

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Non sò se questa è la sezione adatta, però volevo lanciare una discussione sulle leggende del mare.. Perchè una cosa del genere?

La passione per per il mare e tutta la marineria mi è nata da bambino e le prime letture, le prime conoscenze sono state proprio le leggende su pirati, fantasmi e mostri marini, che accendevano la fantasia e portavano, con la fantasia, in mondi lontani, al di là dello spazio e del tempo......Vorrei rinveridre questi ricordi, arricchendoli di nuove conoscenze, perche in fondo ciò che da sempre ha spinto l'uomo a navigare è stato il desiderio di scoprire cosa vi fosse dietro l'ignoto.....

Spero di fare cosa grata, perchè ritengo che nel profondo in tutti noi ci sia ancora quel bambino che, meravigliato (e anche un pò spaventato) ascoltava e leggeva quelle storie, sperando, un giorno, di vedere l'olandese volante o incontrare il pirata Barbanera......

Vi ringrazio fin d'ora per tutti i contributi che vorrete dare.....

Ciao

Ursus Atlanticus

 

 

Comincerei con la leggenda più conosciuta, quella dell'Olandese Volante.:

 

L'OLANDESE VOLANTE

 

dal sito Www.correrenelverde.com/motorievele/nautica/leggende/olandesevolante , scritto da Sandro Bianchi

 

 

Nelle taverne dei porti, nelle quali la gente di mare, imbarcata sulle navi alla fonda, trascorreva buona parte del tempo libero dai servizi di bordo bevendo birra e rhum, nella seconda metà del XVI secolo, cominciarono a circolare, dapprima sottovoce e poi sempre più apertamente, le vicende di un comandante olandese, Barent Fokke, noto per la sua temerarietà e per lo sprezzo di ogni pericolo, della sua nave, la Libera Nos, e dell’estrema velocità delle sue traversate (in soli tre mesi era riuscito a compiere la traversata Batavia - l’odierna Djakarta – Amsterdam, quando le altre navi impiegavano il doppio del tempo).

 

I marinai giuravano che Fokke si era accordato col diavolo per avere una navigazione velocissima e, seguendo le indicazioni del demonio, aveva imposto all’equipaggio di rinforzare l’alberatura con supporti di ferro in modo da poter sostenere una maggiore quantità di vele; così, durante le tempeste, mentre sulle altre navi gli equipaggi riducevano la velatura per preservare gli alberi da possibili danni e riducevano la velocità, la Libera Nos poteva procedere a vele spiegate superando facilmente tutti i concorrenti.

 

Un giorno maledetto, però, al largo del terribile Capo di Buona Speranza, la Libera Nos era incappata in una burrasca eccezionale, quale non si era mai vista in tanti anni di navigazione.

 

Il vento strappava vele e sartie dall’alberatura e i cavi dal ponte, le parti superiori degli alberi si schiantavano, cadendo in coperta con i loro pennoni, il ponte era spazzato da ondate gigantesche, il livello dell’acqua nella stiva saliva sempre di più e la nave rollava fino quasi a toccare con i pennoni la superficie del mare squassato dai marosi, minacciando ad ogni momento di inabissarsi.

 

I marinai della Libera Nos avevano un autentico terrore del loro Comandante, ma la paura che incuteva la furia scatenata degli elementi fu più forte e li rese arditi, tanto che un gruppo di loro lo affrontò e gli chiese di desistere da quella sfida al mare in tempesta, di tornare indietro o, almeno, di mettere la nave alla cappa, mantenendo solo la velatura necessaria per poterla governare; per tutta risposta Fokke, ridendo, ordinò di alzare altre vele perché sarebbe andato comunque avanti, a dispetto di tutti, anche di Dio e dei Santi.

 

Sicuro del fatto suo, comodamente sdraiato nella propria cabina, beveva, fumava e, ridendo trivialmente, si beffava della furia del mare e del terrore dei suoi marinai.

 

Quando, investita da un colpo di vento più forte degli altri, la nave sembrò fare scuffia, un marinaio tornò nuovamente ad insistere con il Comandante perché ordinasse di mettere la nave alla cappa; per tutta risposta Fokke, furibondo, lo afferrò per la cintola e lo scaraventò in mare.

 

Fu in quel momento che, improvvisamente, la coltre di nuvole nere si squarciò e un raggio di luce depositò sul ponte di coperta un grande vecchio dalla barba bianca.

 

Era il Padreterno? O il Santo protettore dei marinai? Oppure si trattava del terribile spettro Adamanstor il quale, con la sua sagoma gigantesca, sedeva sulla Table Bay, la tipica montagna piatta del Capo di Buona Speranza, e faceva insorgere le celebri tempeste per far affondare le navi e per impadronirsi delle anime dei marinai? (la mitologia rappresenta Adamanstor come un gigante deforme, un titano che incuteva terrore ai naviganti; tormentato da un amore infelice per Tetide – la madre di Achille, fu trasformato in roccia nella punta australe dell’Africa).

 

L’apparizione, chiunque essa fosse, rimproverò aspramente, per la sua presunzione, Fokke e gli intimò di tornare indietro.

 

Inviperito per l’affronto portatogli dal vecchio, che aveva avuto l’ardire di dirgli ciò che doveva fare, dopo avergli inutilmente ordinato di andarsene, Fokke impugnò la pistola, la puntò contro l’apparizione e premette il grilletto, ma il colpo tornò indietro ferendolo alla mano.

 

Sempre più infuriato e ormai privo di ogni controllo, si slanciò allora bestemmiando contro il vecchio tentando di colpirlo con un pugno, ma il braccio gli ricadde inerte lungo il corpo, paralizzato.

 

Fu allora che il grande vecchio, fissandolo con fermezza, lo maledisse e lo condannò a navigare in eterno, senza riposo e senza mai toccare un porto, con compagni soltanto la burrasca, il freddo, la nebbia e il vento. Gli disse anche che se avesse cercato di dormire, una spada sarebbe entrata nel suo fianco e che, dato che gli piaceva tormentare i marinai, sarebbe, da quel momento, diventato il demonio del mare, e la sola visione della sua nave avrebbe portato disgrazia e morte, e che quando il mondo sarebbe finito, Satana gli avrebbe riservato una caldaia rovente.

 

Dopo averlo così maledetto, il vecchio risalì sulla nuvola seguito da tutto l’equipaggio, che in questo modo riuscì a salvarsi dalla tempesta, mentre l’olandese rimase solo sul ponte della sua nave dannata, furibondo, a bestemmiare, mentre da un portello compariva un’orribile figura dalle corna di fuoco.

 

Da allora, la semplice apparizione del Vascello fantasma dell’Olandese volante, porta disgrazia a chi lo incontra.

 

Esso cambia continuamente aspetto e velatura per non farsi riconoscere e l’unico modo di salvarsi consiste nel pregare la divinità e nell’abbracciare la Polena, quella scultura di legno sul tagliamare che rappresenta l’anima della nave, fino alla sparizione del vascello fantasma.

 

Capita talvolta che l’Olandese Volante mandi delle lettere a bordo delle navi che incontra per mezzo di un marinaio dall’aspetto diabolico, alla voga di un’imbarcazione rossa: guai a prenderle e, soprattutto, a leggerle. Il comandante impazzisce e la nave si mette a rollare in modo sempre più frenetico sino a fare scuffia e affondare.

 

Il Vascello fantasma è proprio l’inferno di tutti i marinai; miscredenti, traditori, pirati, assassini, vigliacchi e persino i pigri ne costituiscono l’equipaggio, affollando i suoi ponti e lavorando incessantemente agli ordini del comandante maledetto (ma questa, forse, è un’aggiunta di qualche scaltro comandante che cerca di sfruttare la superstizione e la paura dei suoi uomini per farli lavorare di più).

 

C’è gente che giura che il fantasma della Libera Nos sia stato visto svariate volte nel corso dei secoli, governato da un equipaggio di scheletri (simbolo della morte), mentre il comandante, scheletro anch’esso, sorregge una grande clessidra con la quale tiene il conto dei secoli che passano.

 

Gli avvistamenti sarebbero avvenuti principalmente nelle acque del Capo di Buona Speranza, ma non mancano testimonianze di marinai che assicurano di averlo incontrato anche in altre parti del globo.

 

Ogni apparizione del Vascello fantasma dell’Olandese Volante si è accompagnata ad eventi tragici per le navi e gli equipaggi coinvolti.

 

Si racconta della nave a vela americana Generale Grant che, intorno al 1865, durante un viaggio dall’Australia a Londra, dopo aver avvistato la nave fantasma, fu trascinata dalle correnti all’interno di una grande caverna di un’isola del Pacifico dove fece naufragio; l’ingente carico d’oro che trasportava spinse, nel tempo, molti avventurieri a tentarne il recupero (l’ultimo tentativo risale al 1960), ma tutti ebbero esiti tragici per le navi e per gli equipaggi.

 

Persino quattro navi da guerra britanniche testimoniarono di aver incontrato il Vascello fantasma durante un’esercitazione nelle acque dell’Atlantico meridionale, avvenuta nel 1881; le conseguenze tragiche avvennero ai danni del comandante dell’ammiraglia e del marinaio della nave che per primo lo avvistò; infatti, entrambi trovarono immediatamente dopo la morte, l’uno ammalandosi gravemente e l’altro precipitando da un pennone.

 

Gli ultimi avvistamenti, dei quali si hanno notizie, risalgono al periodo della seconda guerra mondiale ed avvennero per opera degli equipaggi di alcuni U-bootes tedeschi che, secondo il racconto dell’Ammiraglio Doenitz, asserirono di aver avvistato il Vascello fantasma durante i loro appostamenti e dichiararono che era meno pericoloso combattere contro le navi inglesi nel Mare del Nord piuttosto che correre il rischio di incontrare ancora il Vascello fantasma nelle acque ad est di Suez.

 

Il fascino della inquietante leggenda ispirò anche Richard Wagner, che ne trasse una delle sue più originali opere. Wagner preferì dare al racconto una conclusione felice con la distruzione del Vascello e con l’Olandese che, pentito, veniva accolto in Paradiso.

 

La gente di mare, però, non ha mai accettato la conclusione wagneriana; la leggenda doveva conservare la sua nuda e raccapricciante bellezza primitiva: non poteva esserci possibilità di perdono e l’Olandese Volante doveva continuare a vagare tra i mari tempestosi; i fulmini continueranno a colpire i suoi alberi senza distruggerli, gli uragani non riusciranno a lacerare le sue vele, le ondate più potenti non potranno aprire falle nel suo scafo e, nelle notti buie, alla sinistra luce dei lampi, la nave dalle vele di un colore rosso sangue apparirà a naviganti terrorizzati mentre, ritto sulla poppa, chi scorgerà lo scheletro del comandante Fokke, l’Olandese Volante, armato di una falce minacciosa, saprà che è arrivato il momento di chiudere con la vita.

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trovo appropriata la collocazione, la superstizione dei marinai è "storica"!

 

scherzi a parte: io colgo l'occasione per una richiesta:

 

lo ho letto una vita fà, era un anedddoto su un sommergibile fantasma della prima guerra mondiale, qualcosa che riguardava un sommergibile sfortunato dalla nascita, disperso in circostanze poco chiare e che ancora durante la 2^ GM qualcuno lo avvistava...

 

ne sapete nulla?

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trovo appropriata la collocazione, la superstizione dei marinai è "storica"!

 

scherzi a parte: io colgo l'occasione per una richiesta:

 

lo ho letto una vita fà, era un anedddoto su un sommergibile fantasma della prima guerra mondiale, qualcosa che riguardava un sommergibile sfortunato dalla nascita, disperso in circostanze poco chiare e che ancora durante la 2^ GM qualcuno lo avvistava...

 

ne sapete nulla?

 

 

Si trattava dell' U65 ne riporto in maniera succinta la storia, però ricordo un articolo un pò più dettagliato:

 

La leggenda dell' U 65

 

Le leggende non sono certo solo un retaggio dell’antichità.. anche il Novecento ne è pieno. Un caso per tutti è l’U-65, sommergibile tedesco della Grande Guerra, che già durante la costruzione era stato perseguitato da continui incidenti, anche mortali. Durante il viaggio di prova, inspiegabilmente un sottufficiale si gettò in mare e scomparve. Rientrato in porto, imbarcò i siluri di cui uno esplose uccidendo il secondo ufficiale e cinque marinai. Lo spettro del secondo apparve a due marinai, uno dei quali disertò e scomparve per sempre. Successivamente lo spettro riapparve in torretta e fu visto dal comandante (che morì subito dopo) e dall’intero equipaggio. Il battello venne esorcizzato e per qualche tempo il fantasma non si fece più vedere, salvo riapparire nel 1918, causando una catena di suicidi. L’ultima apparizione dell’U-65 e del suo fantasma risale al 10 luglio del 1918: un sommergibile americano avvistò un U-Boot apparentemente abbandonato; quando l’americano si avvicinò l’U-Boot esplose e affondò, con sulla prua un uomo che svanì tra le onde.

Il 31 luglio l’Ammiragliato tedesco comunicò la scomparsa dell’U-65 con 34 uomini di equipaggio.

 

 

Trovato: Andate a questo link

 

Il fantasma dell'U65

 

Ciao

 

Ursus

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Forse il mistero più famoso:

 

Il mistero del

 

"Mary Celeste"

 

(1872)

 

Nel mistero del Mary Celeste, non a torto considerato, il più famoso e inesplicabile mistero di tutti i tempi nella storia del mare, ciò che maggiormente affascina, per chi si accinge a penetrarvi ad oltre un secolo di distanza, è il far luce sull'incredibile quantità di fatti e particolari, che in cento anni si sono accumulati e quasi incrostati intorno alla vicenda, separando i veri dai falsi o da quelli dubbi, e rimettendo ordine nella pura successione degli eventi.

 

L'impresa è tanto più difficile in quanto esiste una vastissima letteratura sul Mary Celeste, soprattutto nei paesi anglosassoni: e fin dall'inizio giornalisti e scrittori infiocchettarono e abbellirono di testa loro, talvolta con fantasia ammirevole, i pochi resoconti ufficiali trapelati dall'inchiesta che il tribunale marittimo di Gibilterra svolse tra il dicembre 1872 e il marzo 1873. Non meno di sessanta volumi vennero scritti sull'argo­mento e centinaia di articoli apparvero su giornali e riviste, ma se si pensa che gli atti del processo furono resi di pubblico dominio solo nel 1942, settant'anni dopo il ritrovamento in alto mare del Mary Celeste, si comprende come tutta la letteratura precedente a quell'anno vada vista con estrema cautela. Per la medesima ragione le molte ipotesi avanzate per svelare il mistero urtano contro elementi che gli autori non conoscevano, o conoscevano poco, quando addirittura questi stessi elementi non si contraddicevano a vicenda. E poiché già di per sé il mistero è veramente fantascientifico, le frange leggendarie da cui fu progressivamente circondato non fecero che renderlo più fitto.

 

Soltanto di recente sono usciti alcuni libri ben documentati sul Mary Celeste: l'inglese John Gilbert Lockhart, detto lo "Sherlock Holmes dei grandi misteri del mare", cominciò ad occuparsi del "caso‑ nel 1924 nei Mysteries of the Sea, e attraverso varie edizioni, successivamente modificate man mano egli scopriva nuovi e diversi elementi, giunse a una versione definitiva nel 1952 (ripubblicata nel 1958 e nel 1965 col titolo The "Mary Celeste" and Other Strange Tales of the Sea) con conclusioni diametralmente opposte a quelle iniziali. L'americano Charles Eden Fay, che ebbe la possibilità di vagliare tutte le fonti negli Stati Uniti, scrisse nel 1942 un eccellente The Mary Celeste: The Odyssey of an Abandoned Ship. Fra altri autori, ultimo in ordine di tempo (1972) è l'italiano Vero Roberti che ha intitolato il suo libro Il mito del "Mary Celeste", titolo appropriato perché cerca anzitutto di smitizzare il mistero ed e, a quanto ci consta, l'unica opera pubblicata in Italia sull'argomento.

 

Dopo questo lungo, ma necessario preambolo, ve­niamo ora alla narrazione della straordinaria vicenda. Alle 13 e 30 del 5 dicembre 1872 il brigantino americano Dei Gratia, costruito nella nova Scozia e comandato dal capitano David Morehouse, dirigeva su Gibilterra per la consueta rotta che passava a nord delle Azzorre e si trovava a 38°20' di latitudine nord e a 170 15' di longitudine ovest, pressappoco 370 miglia a ovest delle Azzorre e 590 miglia da Gibilterra. Partito da New York il 15 novembre, il Dei Gratia aveva effettuato una traversata regolare: l'Atlantico era stato flagellato, all'inizio dell'autunno, da un maltempo eccezionale, ma dal primi di novembre le tempeste si erano un po' calmate e in complesso, data la stagione, non si poteva dire che in quel momento fosse particolarmente in collera. Alle 13 e 30 di quel 5 dicembre, dunque, il comandante Morehouse vide un veliero alla distanza di circa sei miglia, che navigava verso ponente, cioè nella direzione opposta alla sua: un brick-goletta o brigantino-goletta (half brig) che governava in modo strano, a zig zag, e aveva spiegati due soli. fiocchi e la vela di parrocchetto fissa sull'albero di trinchetto. Le altre vele del trinchetto apparivano strappate o serrate, e tutte serrate o ammainate sembravano quelle dell'albero di maestra. Passò un'ora e mezza e la misteriosa nave era ormai vicinissima al punto che qualcuno dei Dei Gratia poté leggerne il nome: era il Mary Celeste, comandato dal capitano Benjamin Briggs, vecchio amico del capitano Morchouse. Il Mary Celeste era partito da New York il 7 novembre, diretto a Genova, via Gibilterra, con un carico di 1701 barili di alcool: Morehouse ricordava benissimo il giorno della partenza, poiché la sera del 4 novembre aveva cenato col capitano Briggs, il quale gli aveva parlato del viaggio che si accingeva a fare con il Mary Celeste, il primo compiuto su quella nave.

 

Poiché al richiami alla voce nessuno rispondeva, Morehouse fece mettere in mare un'imbarcazione, su cui salirono il secondo ufficiale Oliver Deveau, il terzo ufficiale John Wright e il marinaio Johnson. Non senza fatica il Mary Celeste fu abbordato e i due ufficiali si arrampicarono in coperta, mentre il marinaio rimase nella scialuppa. Ciò che essi videro, o meglio non videro, merita di essere descritto per esteso: e la descrizione si basa sulla deposizione giurata fatta più tardi da Deveau a Gibilterra, mentre non si hanno tracce di quella di John Wright, perché probabilmente dovette essere conforme a quella del compagno. Dunque, anzitutto i due ufficiali non videro anima viva sul ponte. Non videro -come fu scritto poi- della biancheria stesa ad asciugare, ma solo brandelli di vele che sbattevano: quelle di parrocchetto volante e di trinchetto. Chiamarono ad alta voce, ma un silenzio irreale aleggiava sulla nave, rotto soltanto dal rumore ritmico delle vele strappate quando un rifolo di vento veniva a colpirle. Data un'occhiata in giro, Deveau quasi per istinto si preoccupò di controllare anzitutto le pompe. "Erano in ordine", dirà poi, "ma nel locale c'erano, tre piedi e mezzo d'acqua", ossia circa un metro d'acqua. Poi procedette a verificare i boccaporti, la seconda cosa che un marinaio al quale sia dato di ispezionare una nave fa per abitudine. Trovò così il boccaporto di poppa aperto, aperto l'osteriggio ossia il lucernario che portava all'alloggio del capitano, del secondo ufficiale e al quadrato o saletta. Il boccaporto centrale, il più grande, era invece intatto, ma in compenso, procedendo verso prua, Deveau notò che il piccolo portello della cucina era spalancato e soprattutto era aperto il boccaporto di prora, e aperto in modo strano: il suo portello, scardinato dalle cerniere, giaceva a un metro di distanza sulla sinistra. “Questo mi parve”, depose poi Deveau, all'unico segno di violenza sulla coperta della nave: "la ruota del timone era libera e girava ora a destra, ora a sinistra; il vetro della finestrella della chiesuola era rotto e la bussola rovinata. Ma A danno mi sembrò naturale, forse dovuto a un colpo di vento o di mare".

 

A questo punto i due uomini non poterono trattenersi e, attraverso l'osteriggio aperto, si calarono nell'alloggio del comandante e nel quadrato. Anche qui regnava un silenzio sinistro, ma si udiva lo sciacquio dell'acqua penetrata all'interno: ce n'era circa trenta centimetri. "Ogni cosa era infradiciata", riferì Deveau, "però gli effetti del capitano, vestiti e mobili, erano al loro posto; il letto era disfatto, la coperta e le lenzuola erano bagnate. Nella cuccetta più piccola sembrava avesse dormito un bambino: la sua impronta era ancora nitida. Rinvenni le carte e i libri di bordo sia nella cabina del capitano, sia nella saletta e nella cabina del secondo. Qui trovai, sulla scrivania, il giornale di bordo: l'ultima annotazione recava la data del 24 novembre. Nella saletta del quadrato c'era un armonium con uno spartito aperto sul leggio e, sotto il divano, una macchina per cucire. E’ su questa modesta macchina da cucire, appartenente alla moglie del capitano Briggs, che si sono sfrenate fin dall'inizio le fantasie di giornalisti e scrittori. La macchina da cucire, divenuta simbolo del mistero, per i più stava sulla tavola e aveva ancora un pezzo di stoffa sotto l'ago: ma Deveau non disse nulla di tutto questo, come non disse che su quella tavola della saletta c'erano un "porridge" incominciato, un uovo sodo piantato a mezzo e così via. La leggenda del Mary Celeste ha sempre tenacemente difeso questi avanzi di cibo abbandonati in fretta e furia, sembrava, da pochissimo tempo. Ma le cose non stavano così. Deveau, su quel famoso tavolo, trovò invece la rastrelliera per tener fermi i piatti e una carta nautica piegata in due: su questa era indicata la rotta seguita dal brigantino-goletta fino al 24 novembre e Deveau vide subito che si arrestava a un punto situato a una trentina di miglia a occidente dell'isola di Santa Maria, la più orientale e la più a sud delle Azzorre. Non vide invece subito le annotazioni sulla lavagna del quadrato: e questa è la parte più enigmatica della deposizione di Deveau. Il quale affermò che, scritti coi gesso, c'erano sulla lavagna i dati dell'ultimo rilevamento della posizione del Mary Celeste, fatto alle 8 del mattino del 25 novembre. Questi dati, destinati ad essere trascritti sul giornale di bordo, avvertivano che alle 8 del 25 novembre la nave aveva superato di sei miglia l'isola di Santa Maria e si trovava a 37°01' di latitudine nord e 25°01' di longitudine ovest. «Non avendo notato subito l'annotazione», sostenne Deveau al processo, "cancellai involontariamente la lavagna, dovendo scrivere una mia annotazione. Cosi credo per lo meno di aver fatto". Ma se Deveau si comportò così, come fece poi a ritrovare i dati fatti sparire? La circostanza che del resto non venne molto approfondita dall'inchiesta, anche perché i nuovi punti di rotta erano segnati sulla carta nautica è certamente inspiegabile. Più spiegabile, invece, è ciò che Deveau non vide sulla parte inferiore della lavagna, ma che fu notato assai più tardi, nel corso dell'inchiesta, dal capitano Winchester, comproprietario del Mary Celeste, venuto a difendere i propri diritti di fronte al tribunale dell'Ammiragliato britannico.

 

Winchester osservò che qualcuno aveva inciso sulla lavagna, con una punta di metallo, le parole: «Fanny my dear wife. Frances M. R.» (Fanny, mia cara moglie). Sulla destinataria e sullo scrivente non potevano esserci dubbi: si trattava del secondo ufficiale Albert G. Richardson, la cui moglie. Frances, veniva chiamata comunemente Fanny, in particolare dal marito. Era l'inizio di un messaggio, subito interrotto, un'invocazione disperata, o una semplice esercitazione stilistica del secondo? Certo la scritta diede la stura a una serie di fantastiche ipotesi: intanto fu trasformata in una lettera vera e propria, incominciata, e qualche giornalista più astuto giunse a scrivere che, accanto al "foglio", era stato rinvenuto un biglietto da cinque sterline che il secondo si sarebbe proposto di accludere nella lettera alla moglie.

 

Continuando nella loro ricerca, Deveau e Wright trovarono, sotto la cuccetta della cabina del capitano Briggs, una sciabola corta nella sua guaina. Deveau disse di averla sfoderata e di averla poi rimessa a posto, non avendovi scorto nulla di particolare ma, come vedremo, questa sciabola avrà una parte importante nella vicenda. I due ufficiali del Dei Gratia cercarono poi invano il sestante e il cronometro e si accorsero anche che mancavano i giornali di boccaporto ("Navigation Book") e i documenti di carico della nave. Passarono poi nel castello di prora e nella cucina: anche qui c'era acqua, ma tutto pareva in ordine. Le cuccette dei marinai erano a posto, le cerate, gli stivaletti degli uomini e perfino le loro pipe erano intatte. Nella cambusa le provviste di viveri -assai abbondanti- erano pure in ordine e nel deposito d'acqua pareva non mancare neppure tiri gallone del liquido.

 

In complesso, come poi testimoniò Deveau all’inchiesta "ebbi l'impressione che la nave fosse stata abbandonata in gran fretta per cause ignote. La cassaforte del capitano era chiusa e conteneva l'esatta somma consegnata alla partenza dagli armatori. Il carico era in buone condizioni, anche se nella stiva c'era quasi un Metro d'acqua. A bordo non c'era alcuna imbarcazione". Su questa questione delle scialuppe del Mary Celeste nacque, e si ingrossò col tempo, una polemica frutto di un equivoco. A Gibilterra Morehouse depose infatti che il capitano Briggs, prima di partire, gli aveva confidato di aver dovuto lasciare a terra la lancia di salvataggio, poiché si era rovinata nelle operazioni di carico. L'indicazione venne confermata dall'armatore Winchester, il quale però aggiunse che il Mary Celeste aveva due imbarcazioni, sistemate in coperta sul boccaporto centrale: poiché, quando la nave fu ritrovata, non ne rimaneva neppure una, venne tenacemente sostenuto, da scrittori anche seri come Lockhart, che il Mary Celeste fu abbandonato senza mettere in mare alcuna lancia, per il semplice fatto che non ne possedeva, in base a quanto dichiarato da Morehouse. Insomma la leggenda del Mary Celeste si arricchì del particolare suggestivo dei suoi uomini che si buttano disperatamente in mare uno dietro l'altro. Invece Deveau all'inchiesta, fu preciso su questo punto e, rispondendo a una domanda del giudice inquirente, disse che un settore dell'orlo di murata era stato rimosso e collocato sulla coperta "evidentemente per calare in mare l'imbarcazione di salvataggio che doveva trovarsi sul boccaporto principale".

 

C'è poi la questione del gatto, che fantasiosi cronisti vollero fosse stato ritrovato sulla stufa della cucina.

 

Che a bordo ci fosse un gatto ' certo perché in una lettera scritta prima di partire, il 27 ottobre, dalla signora Briggs, moglie del capitano, e indirizzata al figlio Arthur di sette anni (che era rimasto a Marion con la nonna per frequentare la scuola), si legge: «La piccola Sophia ha preso subito interesse al gatto di bordo... che ha battezzato Poo-uh Poo». Del gatto, comunque, Deveau non parla nella sua deposizione, e c'è da pensare che non abbia trovato a bordo alcun felino: anche Poo-uh Poo dovette seguire la misteriosa sorte dei suoi padroni.

 

Finita la loro ispezione -e c'è da credere che Wright e Deveau nel corso di essa non abbiano potuto trattenere qualche brivido di paura- i due ufficiali tornarono sul Dei Gratta a riferire al comandante Morehouse. Deveau gli propose di impossessarsi della nave abbandonata e di condurla a Gibilterra per incassare il compenso dovuto in base alle leggi del mare. Deveau chiese a Morehouse di guidare egli stesso il Mary Celeste e alle 16.30 del 5 dicembre s'installò a bordo con due marinai, Charles Lund e Augustus Anderson. Le due navi navigarono insieme fino all'11 dicembre, poi a causa del mare grosso si separarono. Il Dei Gratia giunse a Gibilterra il 12 dicembre, il Mary Celeste il 13.

 

Il Mary Celeste fu subito posto sotto sequestro e cominciò l'inchiesta del tribunale dell'Ammiragliato britannico, ma prima di riferire su questa vale la pena di accennare a un particolare controverso e abbastanza importante. Secondo alcuni Morehouse salì a bordo del Mary Celeste dopo che Deveau ebbe fatto le prime ricerche: secondo altri non vi salì mai prima dell'arrivo a Gibilterra. La questione non risulta chiara né dagli atti dell'Ammiragliato, né dalle interviste concesse da Morehouse. Però sembra strano che, di fronte a un caso tanto inusitato, che riguardava per di più un suo amico, Morehouse non abbia avuto la curiosità di ispezionare subito lui stesso il Mary Celeste.

 

Un altro punto su cui, a distanza di più di un secolo, non tutti si trovano d'accordo, è il numero e il nome delle persone che si trovavano a bordo del Mary Celeste e che scomparvero nel nulla. Sul numero si sono sfrenate le più rocambolesche ipotesi: in generale si fece salire il numero a 13, perché, se non altro, questo aggiungeva un tocco in più all'appassionante thrilling del mare. Oggi si sa con quasi assoluta certezza che le persone imbarcate furono dieci in tutto, conformemente alla lista comunicata alla British Vice-Admiralty Court dal capitano Winchester, armatore e comproprietario della nave. Ma sul nomi esatti ci sono ancora alcune incertezze. Intanto il capitano Benjamin Spooner Briggs, di Marion, nel Massachusetts, risulta di un'età variabile fra i 37 e i 45 anni; sua moglie Sarah Elizabeth, di 30 anni, profondamente religiosa come il marito, si chiamava da ragazza Cobb. C'erano poi la loro figlia Sophia Matilda di due anni (abbiamo visto che i Briggs avevano anche un maschio, Arthur, lasciato a terra); il secondo ufficiale Albert G. Richardson, del Maine, di 28 anni; il terzo ufficiale Andrew Gilling, di New York, 25 anni; lo stewart Edward Head, di New York; e quattro marinai tedeschi, originari delle isole Frisone orientali (i fratelli Volkert e Boz Lorenzen; Arian Martens, nei documenti trascritto anche come Harbens; e Gottlieb Goodschall, chiamato talvolta Goodshaad). Quando cominciò a formarsi il mito del Mary Celeste, alcuni di questi marinai divennero negri, o italiani o di altre nazionalità: nel marzo 1902 Fariny Richardson (moglie del secondo ufficiale, colei alla quale era stato indirizzato il presunto messaggio inciso sulla lavagna) in una intervista al Brooklyn Daily Eagle disse che l'equipaggio era composto di italiani, turchi e portoghesi, «gente sinistra e infida», ed espresse la sua convinzione che il marito, il capitano Briggs e la famiglia fossero stati assassinati da questa ciurma di delinquenti. Se tale era l'opinione di una delle parti in causa, immaginiamo facilmente quali tenebrosi ricami dovettero essere tessuti sull'argomento dai giornalisti. Pareri ben diversi, però, avevano dato sull'equipaggio il capitano Briggs e la moglie. In una lettera inviata dal comandante a sua madre il 3 novembre, poco prima della partenza, Briggs scrisse: «Spero che avremo un viaggio piacevole... La nostra nave è in perfetto ordine», e la signora Briggs, scrivendo ancora alla suocera, dichiarò: «Benje è sicuro di aver riunito ai suoi ordini un ottimo equipaggio».

 

Abbiamo detto che Briggs era al suo primo viaggio con il Mary Celeste (ne aveva assunto il comando solo il 29 ottobre 1872): questa circostanza fece fiorire tutta una serie di leggende intorno ai precedenti viaggi della Il nave sfortunata". In realtà il Mary Celeste non ebbe, prima del 1872, né particolare fortuna, né particolare sfortuna. Era stato costruito nella Spencer Island nella baia di Fundy in Nuova Scozia, quella in cui si verificano le più alte marce del globo. Varato nel 1861 con il nome di Amazon, aveva inizialmente una stazza lorda di 198 tonnellate (era lungo oltre trenta metri e largo otto): il suo primo proprietario e armatore fu un certo Joshua Dewis. Nei primi anni della sua vita aveva speronato e affondato una piccola nave presso Dover e si era incagliato e danneggiato presso; le coste della Nuova Scozia: ma si trattava di due incidenti non certo insoliti per le navi a vela che navigavano in una delle zone di mare più difficili del mondo. Comunque, in seguito all'incaglio, il suo proprietario volle sbarazzarsene e lo vendette alla fine del 1868 per una cifra irrisoria (1700 dollari) all'armatore americano Richard W. Haines, che lo ribattezzò Mary Celeste. Haines spese un bel po' di dollari in riparazioni, ingrandì la nave portandone la stazza lorda a 282 tonnellate, e poi, il 13 ottobre 1869, la vendette al capitano James Winchester e a due suoi soci, Il primo comandante del Mary Celeste, nel suo nuovo assetto di brigantino-goletta, fu un certo Rufus Fowler, il secondo, appunto, Briggs.

 

Il comandante Briggs, secondo l'opinione unanime degli ambienti marittimi della Nuova Inghilterra, era un ottimo uomo di mare, prudente e sperimentato: quando, in seguito ai molti e fantasiosi tentativi per spiegare il mistero, ne venne messa in dubbio la reputazione, a difenderlo insorsero in molti. Colui al quale dobbiamo i maggiori particolari sulla figura morale e sulla psicologia di Briggs è un cugino per parte della moglie, il dottor Oliver Cobb, il quale ne affermò sempre la profonda fede religiosa: Briggs era molto equilibrato, non beveva e non gli si conoscevano vizi di sorta. Per il resto era attaccato alla famiglia e, a quanto pare, non aveva nemici: con la gente dell'equipaggio in viaggi precedenti, si era sempre dimostrato umano, per quanto almeno lo consentivano le durissime condizioni delle navi a vela di quell'epoca.

 

Torniamo ora a Gibilterra, dove la nave era stata portata da Deveau, secondo ufficiale del Dei Gratia. Il suo arrivo destò enorme scalpore e le sollecite autorità navali britanniche non tardarono a mettere sotto sequestro il Mary Celeste e a iniziare la procedura dell'inchiesta, durata dal 18 dicembre 1872 al 24 marzo del 1873. Procuratore generale fu Solly Flood, presidente del tribunale sir James Cochrane. Il Mary Celeste fu sottoposto a due minuziose ispezioni, la prima il 23 dicembre, la seconda il 7 gennaio, sotto la direzione del capo‑ispettore marittimo John Austin e con l'aiuto di un palombaro locale, Portunato. Nella prima ispezione, rispetto a quanto Deveau aveva trovato, venne fatta un'importante scoperta: sulla fiancata di prua di dritta e di sinistra, circa un metro e mezzo sul livello dell'acqua, furono rinvenuti due tagli, o, meglio, due fenditure, fatte senza alcun dubbio con una scure e fatte di recente, e nel medesimo momento. I tagli erano lunghi un paio di metri, profondi un centimetro e larghi tre: l'ascia doveva essere stata molto affilata, e sul Mary Celeste non ce n'era che una vecchia e arrugginita. Anche l'orlo della murata di dritta presentava un taglio, più piccolo e lungo circa trenta centimetri. L'attenzione del procuratore Flood fu poi particolarmente attirata dalla sciabola del capitano Briggs: dopo averla esaminata a lungo credette di scoprire sulla lama macchie di sangue e, a buon conto, ordinò una analisi chimica al perito dottor Patron. La prima impressione di Flood fu che il veliero fosse solido e in perfette condizioni di navigabilità, che non si fosse imbattuto in tempi eccezionalmente cattivi, che non presentasse segni di esplosione o di incendio. Un fatto incredibile gli parve naturalmente (e non a lui soltanto) che, dopo l'ultima rilevazione compiuta il 24 dicembre, la nave avesse proseguito la navigazione verso Gibilterra senza nessuno a bordo, su una rotta pressoché esatta e con il timone in balla degli elementi, per quasi undici giorni. Nella seconda ispezione, nel corso della quale Flood si fece accompagnare dai capitani di vascello Fitzroy, Ardeane, Dowell e Vansittard, comandanti delle navi da guerra Minotaur, Agincourt, Hercules e Sultan, allora alla fonda a Gibilterra, e dal colonnello del genio navale Laffan, saltarono fuori due nuovi elementi di estremo interesse: in corrispondenza del taglio sull'orlo della murata di dritta vennero scoperte sospette macchie di sangue sulla coperta. Esaminato poi il carico, ci si accorse che tre barili erano rovesciati e che uno appariva aperto o manomesso, con una perdita di qualche gallone d'alcool. Flood ordinò a Patron una nuova perizia chimica sulle macchie sospette e, quanto all'alcool mancante, non ci volle altro perché, nella sua mente, si andasse rafforzando la convinzione che il mistero potesse trovare una spiegazione nell'ammutinamento di una parte dell'equipaggio, reso ubriaco dall'alcool. Ucciso il capitano, il secondo e il terzo ufficiale, la moglie e la figlioletta di Briggs, la ciurma avrebbe continuato per conto proprio la navigazione fino all'incontro con Morehouse: il quale, secondo Flood, aveva avuto una parte "certissima" nella vicenda: avrebbe nascosto gli ammutinati per spartire poi con loro la ricompensa corrispondente al valore della nave tratta a salvamento. Bastava aspettare un po', riteneva Flood, e gli assassini sarebbero saltati fuori in qualche angolo della terra.

 

Questa teoria "gialla" ricevette però un brutto colpo dai risultati della perizia: sulla sciabola di Briggs le macchie sospette erano di ruggine, né il. dottor Patron trovò la minima traccia di sangue sul ponte o in altri luoghi. La perizia non fu resa pubblica fino al 1887 e, in mancanza di altre prove, Flood dovette a malincuore chiudere l'inchiesta con un nulla di fatto", ma le sue tenaci convinzioni ebbero l'indiretto risultato di far assegnare a Morehouse e a Deveau soltanto 1700 sterline (8.300 dollari), in luogo della metà del carico e del valore della nave, calcolati, in complesso, 42.600 dollari. Morehouse se ne lamentò aspramente, ma non ci fu nulla da fare. Da allora venne dato libero campo all'immaginazione per tentare di sciogliere il mistero e le ipotesi più strampalate si fecero strada o furono accettate per buone: eppure, fin da allora, A capitano di vascello Shufeldt, comandante dell'incrociatore americano Plymouth, giunto a Gibilterra il 5 febbraio 1873, richiesto dal console americano Sprague di un parere, escluse l'ipotesi dell'ammutinamento ed espresse la sua ferma convinzione che il Mary Celeste fosse stato abbandonato in un momento di panico: ma quale fosse la causa di quel panico non poté dirlo.

 

t ora lungo ricordare tutte le fantasiose ipotesi che si fecero per spiegare il mistero, ipotesi tanto assurde quanto più i fatti veri erano incerti o travisati (a causa dell'imperfetta informazione sull'inchiesta che, come si è detto, fu pubblicata solo nel 1942) e dal momento che ormai l'unico oggetto concreto su cui basarsi, il Mary Celeste stesso, era scomparso anch'esso. La fine della disgraziata nave fu, infatti, conforme alla tradizione delle leggende del mare, sinistra e malinconica insieme. Ripartita nel marzo 1873 al comando del capitano Blackford da Gibilterra verso Genova, originario luogo di destinazione, sbarcò il carico di 1701 barili di alcool, contenuti in recipienti di solida quercia rossa. A Genova si trovò che, forse a causa della trasudazione durante A viaggio, nove barili erano semivuoti, ma non e si dette particolare importanza alla cosa, perché dopotutto, poteva trattarsi anche di una frode macchinata in partenza dal venditori.

 

Il Mary Celeste tornò a New York nel settembre 1873, ma la sua fama di nave sfortunata le fece perdere molti noli , a parte la circostanza che riusciva sempre più difficile raccogliere un equipaggio disposto a farla navigare. Dopo una grama esistenza il suo proprietario, capitano Winchester, la vendette nel 1880 a un gruppo di loschi armatori. Affidata a un certo capitano Parker, cominciò una serie di traffici illegali finché, il 3 gennaio 1885, s'incagliò sugli scogli di Rochelais, nel pressi di Haiti. Lì la povera nave fu abbandonata e il mare fini lentamente per distruggerla pezzo per pezzo, mentre le compagnie di assicurazione fecero causa agli armatori accusandoli di frode (risultò infatti che, anziché posaterie e bottiglie di birra, la nave trasportava collari per cani e recipienti di acqua sporca, e il capitano Parker fu tratto in arresto). Nei sei mesi successivi molti di coloro che avevano avuto a che fare con il Mary Celeste perirono tragicamente, e fra questi Oliver Deveau.

 

Pressappoco in questo periodo usci il primo racconto inteso a svelare il mistero del Mary Celeste. Venne pubblicato anonimo sul Cornhill Magazine di Londra ed era intitolato Il rapporto di J. Habakuk Jephson: soltanto nel 1890 si seppe che era dovuto alla penna di Conan Doyle, allora venticinquenne. Il dottor Jephson, protagonista del racconto, era, secondo il suo autore, l'unico sopravvissuto del Mary Celeste: sulla nave si era imbarcato un diabolico personaggio "Septimus Goring" per metà negro e feroce odiatore della razza bianca, il quale aveva ucciso ad uno ad uno Briggs e gli altri ufficiali, dirottando poi il brick-goletta sulle coste africane: qui tutti i membri dell'equipaggio erano stati assassinati e il Mary Celeste lasciato andare alla deriva. Jephson venne risparmiato perché in possesso di un talismano al quale Goring attribuiva uno strano potere, e riuscì, dopo molte vicissitudini, a raggiungere l'Inghilterra.

 

Ci fu anche chi prese per vera questa pittoresca narrazione, benché più tardi l'autore stesso l'avesse dichiarata un parto di pura immaginazione; ma non per questo cessarono, col passar del tempo, i tentativi di dare una spiegazione alla vicenda della nave fantasma, basati, per lo più su rivelazioni di presunti superstiti i quali, specialmente poco prima della grande guerra, spuntarono come funghi, alimentati dalle pubblicazioni di riviste popolari come lo Strand Magazine. Quest'ultimo nel 1913 inventò il personaggio di Abel Fosdyk, che in punto di morte avrebbe rivelato la verità di cui egli stesso era stato testimone oculare trent'anni Prima: questa verità comprendeva una lite tra Briggs e il secondo, una folle scommessa da parte di quest'ultimo che un uomo sarebbe stato capace di nuotare vestito di tutto punto, e la sperimentazione pratica della scommessa fatta non solo dal capitano e dal secondo, ma da parecchi membri dell'equipaggio. In difficoltà per il mare mosso, i nuotatori vennero soccorsi da altri, che via via scomparvero nelle onde. Del resto il Nautical Magazine non fu da meno e nello stesso anno riesumò un altro "unico superstite", questa volta un greco di nome Specioti: a sentir lui il Mary Celeste sarebbe stato assalito dai pirati e il suo equipaggio ucciso in prigionia. Con ancor maggiore fantasia nel 1924 il Daily Express pubblicò il racconto di un certo comandante Lucy, che affermava di aver appreso i particolari della sparizione

 

dei dieci del Mary Celeste dal solito "unico superstite", morto molti anni prima. L'uomo si chiamava Triggs e accennava all'incontro con una nave misteriosa abbandonata, al furto di 3.500 sterline compiuto da Briggs a bordo della nave e al successivo abbandono del Mary Celeste per andarsi a godere in pace il frutto della rapina. Nel frattempo si erano accumulate altre versioni: chi aveva sostenuto la cattura degli uomini del Mary Celeste da parte di un'altra nave rimasta decimata nell'equipaggio a causa di una misteriosa malattia, chi questa misteriosa malattia l'aveva immaginata a bordo dello stesso Mary Celeste, chi aveva pensato a un gas che avesse fatto impazzire tutti gli uomini del brick-goletta inducendoli a gettarsi in mare, chi aveva accusato un iceberg che sembrava sul punto di investire la nave, costringendo l'equipaggio a calarsi nella lancia, e che poi aveva cambiato rotta. La presenza di un iceberg avrebbe anche potuto reggere se, alla latitudine a cui navigava il Mary Celeste, ne fossero mai stati visti: reggeva meno, invece, la leggenda di una gigantesca piovra che avrebbe ghermito ad uno ad uno gli occupanti della nave; ipotesi che, peraltro, fu più volte seriamente discussa.

 

A un certo punto, chi sa perché, ci si accanì sulla presenza a bordo di un maniaco religioso, determinato a punire per i loro peccati gli uomini del Mary Celeste, uccidendoli uno per uno: questa versione fu accolta persino da uno scrittore serio come Lockhart, in un primo tentativo fatto nel 1924 per spiegare il mistero, e il maniaco religioso sarebbe stato lo stesso capitano Briggs. Più tardi Lockhart, studiando meglio la questione, fece ampiamente ammenda, ma la tradizione rimase a far parte del mito del Mary Celeste. Nel 1926, poi, riapparve un altro ‑sopravvissuto‑, un certo John Pemberton, autonominatosi cuoco di bordo, che sul Chambers Journal raccontò una storia così confusa che non vale la pena di ricordarla per esteso: si accennava a una colpevole collusione fra Briggs e Morehouse, alla morte della signora Briggs, schiacciata dall'armonium che si era spostato (ma Pemberton parlava di un "pianoforte"), alla successiva pazzia omicida di Briggs, sconvolto per l'accaduto. Il falso cuoco riapparve per l'ultima volta nel 1929, questa volta addirittura in un libro: qui venne fra l'altro inventata una rivalità tra Briggs e il suo secondo, a causa della vezzosa signora Briggs.

 

Basi più serie ha A tentativo di spiegazione di Charles Eden Fay nel suo libro del 1942, se non altro perché l'autore ebbe modo di compulsare tutti gli autentici documenti ufficiali. Fay sostenne la tesi di una tromba marina che avrebbe strappato le vele della nave e determinato un fenomeno di panico tale da indurre Briggs e gli altri a lasciare la nave precipitosamente, senza poi essere più in grado di raggiungerla. Ma anche questa spiegazione non soddisfa: prima di tutto perché il servizio meteorologico delle Azzorre del 24 e 25 novembre 1872, pur accennando a una perturbazione che aveva determinato un forte moto ondoso nella zona, non accenna a vere e proprie tempeste e tanto meno a trombe marine. In secondo luogo perché a tutti gli uomini di mare è sempre parso molto improbabile poter calare in acqua (soprattutto se agitata) una scialuppa mentre la nave naviga con cinque vele spiegate: quelle, appunto, con cui si presentò il Mary Celeste, dieci giorni più tardi, agli occhi di Morehouse e di Deveau. Poiché i pennoni erano incrociati (così furono trovati da Deveau) si dovrebbe pensare che l'imbarcazione sia stata calata in mare senza mettersi sottovento, operazione non impossibile, ma certo molto difficile, anche se compiuta in preda alla fretta dovuta al panico. D'altra parte la questione delle vele rimane in ogni ipotesi che si possa formulare. La nave fu abbandonata prima che le vele fossero strappate o dopo, e magari in conseguenza di questo? Nel primo caso si può pensare che le vele siano state strappate dai colpi di vento intervenuti durante la lunga navigazione solitaria, nel secondo non si capisce perché abbiano resistito solo quelle cinque che il Dei Grafia trovò spiegate.

 

La stessa questione riguarda l'acqua trovata nei sottoponti, nella cucina e nella stiva: vi penetrò prima dell'abbandono o dopo, in conseguenza di piovaschi e attraverso i boccaporti lasciati aperti? Ed è possibile, poi, che una nave abbandonata dopo le otto del mattino del 25 novembre abbia navigato verso oriente per 378 miglia, mantenendo la rotta per 228 ore (9 giorni e mezzo)? Su questo punto gli esperti sono piuttosto discordi, ma non escludono in senso assoluto la possibilità. Poiché, poi, quando il Mary Celeste venne avvistato, aveva una velocità di almeno due nodi, occorre ipotizzare che abbia percorso assai più di 378 miglia: tuttavia, dal momento che la nave il 5 dicembre navigava in direzione opposta, la tesi più probabile è che per almeno otto giorni il Mary Celeste abbia proseguito, più o meno, sulla propria rotta, e solo negli ultimi due giorni, in seguito a un forte colpo di vento, la ruota del timone avrebbe girato, portando la nave a percorrere una novantina di miglia in senso opposto, fino all'incontro col Dei Gratia.

 

Tutto questo è teoricamente possibile, certo, ma poco probabile, e lascia perplessi. Per superare questa difficoltà, che disturba -diciamo così- anche la spiegazione che, come vedremo, è oggi ritenuta la più probabile del mistero, sono state compulsate, in lungo e, in largo. le condizioni meteorologiche dell'epoca. soprattutto nella zona atlantica delle Azzorre. A quel tempo esistevano due stazioni meteorologiche nelle Azzorre re, una a Ponta Delegada, cinquanta miglia a nord dell'ultima posizione accertata del Mary Celeste, l'altra nell'isola di Terceira, 137 miglia a nord‑ovest. I registri sono stati conservati, ma servono, in verità, assai poco: entrambi gli osservatori il 24 novembre davano localmente mare calmo e bave di vento, con tendenza a rinfrescare, e segnalavano un vento molto forte la mattina del 25. I dati proseguono piuttosto incerti e contraddittori anche nei giorni seguenti, ma in realtà non furono rilevate vere e proprie condizioni burrascose persistenti in quella zona dell'Atlantico. E’ stato però fatto notare che in mare si può verificare bonaccia in un punto e tempesta a trenta o quaranta miglia di distanza: e si aggiunga che a Santa Maria, sfiorata dal Mary Celeste, non esisteva un osservatorio meteorologico.

 

E veniamo infine alla "spiegazione" moderna del mistero, accolta attualmente come l'unica razionale. Veramente si tratta di una modernità per modo di dire perché l'ipotesi fu già avanzata nel gennaio 1886 (sul New York World) dall'armatore del Mary Celeste James Winchester. Secondo Winchester, dunque, e secondo quasi tutti coloro che scrissero di recente sul Mary Celeste, le cause della tragedia sono collegate al carico di 1701 barili di alcool che la nave trasportava. L'alcool era contenuto in recipienti molto porosi ed è probabile che i vapori dell'alcool, esalando attraverso i pori del legno e mescolandosi all'aria viziata della stiva, abbiano creato un gas esplosivo che fece saltare in aria il boccaporto del portello di prora, che difatti venne trovato scardinato. E quasi certo (anche se non se ne trova menzione nel giornale di bordo) che per tutta la navigazione fino al 25 novembre, a causa delle condizioni del mare il capitano Briggs non abbia fatto ventilare la stiva. Questa operazione venne probabilmente ordinata la mattina del 25 novembre, dopo le 8, ora a cui risale l'ultima annotazione sulla navigazione. Non appena aperti i boccaporti della stiva dovette avvenire un'esplosione, magari accompagnata da fuoruscita di fumo e da sordi boati. Il panico s'impadronì dell'equipaggio e di Briggs, il quale sapeva benissimo che cosa avrebbe potuto rappresentare, con quel carico pericoloso, un incendio a bordo. Forse fu fatto un tentativo di allagare la stiva, che non riuscì e allora Briggs decise precipitosamente di abbandonare la nave. Tentò probabilmente di assicurare la lancia con un cavo di rimorchio (e forse si deve a questa operazione il taglio sull'orlo superiore della murata), ma il cavo si ruppe e la scialuppa venne rovesciata e sommersa, facendo perire tutti quelli che l'occupavano.

 

Sottoposta a una attenta critica, però, anche questa ipotesi appare piuttosto debole: nove barili quasi vuoti su 1701, trovati a Genova, non giustificano affatto una situazione così preoccupante da far presumere azioni insensate come quella dell'abbandono improvviso del Mary Celeste. Tanto più che, come si è accennato, non è detto che quei barili non fossero vuoti fin dalla partenza. Infatti, se si volesse ammettere la teoria della “trasudazione", tutti o quasi tutti i barili. in misura minore o maggiore, avrebbero dovuto perdere alcool, mentre ciò non avvenne affatto. Uno solo dei barili, invece, si presentava scoperchiato, con la mancanza di alcuni galloni di liquido, ma neppur questo è evidentemente sufficiente per spiegare i fatti, tanto più che l'inchiesta a Gibilterra non trovò tracce di scoppi o di incendio. Riesce anche arduo ammettere che un comandante sperimentato come Briggs abbia potuto perder la testa a tal punto da lasciare la nave senza aver prima accertato se l'eventuale scoppio (ammesso che ci sia stato) e la minaccia del fuoco non potessero essere circoscritti e dominati. Né riesce plausibile l'idea che i fumi dell'alcool abbiano indotto dieci persone a comportarsi in modo tanto assurdo.

 

Invece, nella vicenda del Mary Celeste colpiscono alcune circostanze che ora enumereremo:

 

La nave non ne incontrò altre lungo la sua rotta, né prima del fatale 25 novembre, né dopo, fino all'avvistamento del Dei Gratia.

 

La nave seguiva una rotta meridionale abbastanza insolita, che la portò a passare presso l'isola di Santa Maria e, dopo il presunto abbandono, prese quella settentrionale che la portò a congiungersi con la rotta normale, più a nord, seguita dal Dei Gratia.

 

Soltanto Morehouse e forse Deveau, conoscevano, per aver parlato prima della partenza con il capitano Briggs, la rotta del Mary Celeste e, caso strano, a trovare la nave nell'immensità dell'oceano furono proprio Morehouse e Deveau.

 

Tutte le congetture fatte per risolvere il mistero partono dall'idea che il Mary Celeste sia stato abbandonato tra le 8 e le 12 del 25 novembre, dopo che il secondo ebbe annotato sulla lavagna la posizione: «Eastern Point Bears SSW, 6 miles distant». Questo perché nel giornale di bordo non vi sono altre indicazioni in proposito.

 

Tutto quel che sappiamo del Mary Celeste, del suo stato al momento in cui fu ritrovato, lo sappiamo, in sostanza, attraverso le parole di Deveau e di Wright, gli unici che abbiano messo piede sulla nave abbandonata.

 

Per otto giorni il Mary Celeste fu governato da Deveau e da due marinai, che poterono fare sulla nave tutto ciò che vollero.

 

Questi sei punti vanno meditati attentamente e, se vi si riflette, si deve ammettere che le congetture iniziali del procuratore Flood non furono poi così arbitrarie come gli autori moderni vogliono credere: Flood, si ricorderà, nutriva forti sospetti nei confronti di Morehouse e di Deveau, e a quest'ultimo venne anzi rimproverato di aver fatto sparire prove essenziali: per esempio, l'aver cancellato dalla lavagnetta del quadrato la scritta riguardante la posizione del 25 novembre; l'aver cancellato presunte macchie di sangue, lavando accuratamente il ponte; l'essere stato, in più di una occasione, reticente su alcuni particolari.

 

Se ne deduce, in conseguenza:

 

La rotta che segui il Mary Celeste, anche dopo il suo presunto abbandono del 25 novembre, è troppo “ teleguidata" da una intelligenza umana per potersi ricongiungere a quella normale, seguita dal Dei Gratia. Una nave abbandonata a se stessa per dieci giorni, col timone libero, segue una strada capricciosa che con tutta probabilità la porta o a girare in circolo o a finire contro qualche scoglio (e nei pressi delle Azzorre ce ne sono di pericolosissimi, quelli di Dollabarat). Invece soltanto nelle ultime 24 o 36 ore A Mary Celeste cambiò rotta, dirigendosi verso ponente e procedendo a zig zag, come avrebbe dovuto fare fin dal principio, visto che non ci sono correnti così forti che dall'isola di Santa Maria portino nel punto in cui la nave venne trovata.

 

Anche se, per qualche evento eccezionale e poco spiegabile, le dicci persone a bordo presero il mare in una scialuppa, non si vede perché avrebbero necessariamente dovuto affondare e annegare tutte, dal momento che in quel periodo l'Atlantico in quel punto era abbastanza calmo, e dal momento che uomini di mare sperimentati si sono potuti salvare in ben più disastrose circostanze.

 

Indubbiamente le descrizioni di Morehouse e di Deveau presentano molte, inspiegabili lacune che la prima inchiesta a Gibilterra non poté giustificare, ma che mise sufficientemente in luce.

 

Tentare a questo punto di azzardare una ennesima ipotesi è abbastanza assurdo, ma rimane il dubbio, non infondato, che il Mary Celeste non sia stato abbandonato il 25 novembre, ma assai più tardi, probabilmente non più di 24 ore prima del suo ritrovamento "ufficiale" da parte del Dei Gratia. Che il giornale di bordo non sia stato compilato dopo A 24 novembre non prova nulla: prova soltanto che il capitano Briggs o il suo secondo Richardson non poterono o non vollero compilarlo. L'ipotesi di un ammutinamento non può essere scartata solo perché Deveau e Wright assicurarono che, nel complesso, la nave ritrovata il 5 dicembre era «In ordine». Come già si è accennato, negli otto giorni in cui essi rimasero a bordo poterono, magari anche involontariamente, far sparire qualunque indizio. Né veramente può essere esclusa una complicità fra Morehouse, Deveau e altri del Dei Gratia, diretta a impossessarsi del brigantino‑goletta per ricevere l'ingente ricompensa che, secondo le leggi marittime, essi si aspettavano. Le due ipotesi possono addirittura completarsi a vicenda: può darsi che Deveau e Wright abbiano trovato a bordo qualcuno degli ammutinati ancor vivo e che abbiano compiuto l'opera facendoli sparire nell'oceano.

 

Si tratta, intendiamoci, di pure supposizioni di cui non esiste la minima prova, ma non più inverosimili delle tante avanzate per spiegare il mistero, e che avrebbero, se non altro, il vantaggio di rendere un po' più logica una delle poche cose certe trovate a bordo del Mary Celeste: i profondi tagli fatti con asce ben acuminate nelle murate della nave. A meno di ricorrere alla metapsichica o alla fantascienza, oggi tanto di moda. Quello che rimane indubbio è il fascino di un mistero che non ha precedenti negli annali della marineria e forse non avrà mai altri esempi.

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sarò semplicistico, ma un'ondata ben assestata ti può scardinare un portello (quello di prua)

L'equipaggio, ha pensato di non poter affrontare la massa d'acqua ed ha ammainato le scialuppe.

Solo troppo tardi si sono accorti che la nave continuava a tenere il mare e che loro non riuscivano più ad abbordarla.

 

ps: conoscevo questa storia, ma non con la dovizia di particolari da te fornita...E' stato molto interessante.

Modificato da Von Skion
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  • 4 months later...

Onde giganti e i pericoli del mare:

 

Riporto una notizia diffuse dall'ESA:

 

 

E’ stato l’ Ente Spaziale Europeo a dare comunicazione dell’esistenza di quelle che fino ad ora sembravano leggende da marinaio. Nel giro di tre settimane i due satelliti ERS 1 ed ERS 2 hanno prodotto immagini che ritraggono 10 onde giganti, alcune alte una trentina di metri, praticamente alte come un palazzo di dieci piani!

Negli ultimi venti anni più di 200 navi cargo lunghe più di 20 metri sono scomparse in mare. I testimoni di questi disastri hanno detto di aver visto questi giganti del mare venire affondati da altissimi e violenti muri d’acqua che si innalzavano improvvisamente dal mare piatto.

Nel 1980 l’ufficiale di bordo, Philippe Lijour, fotografa onde alte da 5 a 10 metri mentre si abbattono sulla petroliera Esso Languedoc per fortuna senza gravi conseguenze; nel 1995 la Queen Elizabeth II si imbatte in un muro d’acqua di 29 metri; nel 2001 la nave passeggeri Bremen è colpita da un'onda di 30 metri.

Le statistiche dicono che, in media, due grosse navi affondano negli oceani ogni settimana. Le cause di questi incidenti, però, non vengono mai studiate approfonditamente così come invece succede per gli incidenti aerei e solitamente la colpa ricade sulle cattive condizioni meteomarine.

Le statistiche che si ritenevano fino a questo momento valide, e che riportavano la possibilità di onde anomale pari ad una ogni cento anni, stanno quindi per essere riviste sulla base del progetto di ricerca giustamente denominato MaxWave.

 

 

Sarebbe interessante avere qualche testimonianza dai nostri LUPI DI MARE, avete mai incontrato onde giganti, mare forza 10, avete mai conosciuto la Potenza Distruttrice del Mare Oceano? Raccontate a noi terricoli le vostre esperienze....

 

Grazie sin d'ora.

Ursus

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Sarebbe interessante avere qualche testimonianza dai nostri LUPI DI MARE, avete mai incontrato onde giganti, mare forza 10, avete mai conosciuto la Potenza Distruttrice del Mare Oceano? Raccontate a noi terricoli le vostre esperienze....

 

Grazie sin d'ora.

Ursus

 

 

Da ragazzino ho sentito di sfuggita raccontare da mio padre di una sua brutta esperienza vissuta mentre era di guardia sulla vela del Tazzoli (ma non ci metterei la mano sul fuoco che si trattasse proprio di quel battello)... in sostanza tanto era forte il mare che non fu possibile dare il cambio a lui ed al suo collega che rimasero legati per diverse ore con degli ancoraggi di sicurezza per non essere portati via dal mare... ed alla fine anche lo scafo ebbe dei danni... se non ricordo male raccontava che alcuni metri "d'intercapedine" (?) vennero strappati dallo scafo.

Scusami per la scarsa precisione e per gli eventuali errori, ma questo racconto (che purtroppo non ho mai potuto approfondire e pertanto sopravvive soalmente nella mia memoria da anni ormai lontani) mi ha sempre impressionato... te l'ho raccontato così come lo ricordo.

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Da ragazzino ho sentito di sfuggita raccontare da mio padre di una sua brutta esperienza vissuta mentre era di guardia sulla vela del Tazzoli (ma non ci metterei la mano sul fuoco che si trattasse proprio di quel battello)... in sostanza tanto era forte il mare che non fu possibile dare il cambio a lui ed al suo collega che rimasero legati per diverse ore con degli ancoraggi di sicurezza per non essere portati via dal mare... ed alla fine anche lo scafo ebbe dei danni... se non ricordo male raccontava che alcuni metri "d'intercapedine" (?) vennero strappati dallo scafo.

Scusami per la scarsa precisione e per gli eventuali errori, ma questo racconto (che purtroppo non ho mai potuto approfondire e pertanto sopravvive soalmente nella mia memoria da anni ormai lontani) mi ha sempre impressionato... te l'ho raccontato così come lo ricordo.

 

Chedo che qualcosa sia riportato sul libro di Giorgerini, Uomini sul Fondo. Stasera controllerò.

 

Ciao

Ursus

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Visitatore Perla
Chedo che qualcosa sia riportato sul libro di Giorgerini, Uomini sul Fondo. Stasera controllerò.

 

Ciao

Ursus

 

Anche qui, da cui cito testualmente ".....23 dicembre 1941: il mare è improvvisamente impazzito. L'aria è glaciale. Gli uomini di vedetta si sono legati in plancia con robuste cinghie di sicurezza. Contro di essi si accaniscono invano le onde violente e gelide...."

Tratto dal bel libro di Antonio Maronari "Un sommergibile non è rientrato alla base", che racconta appunto l'epopea del Tazzoli.

Un episodio analogo è narrato anche nei nei primi capitoli, ma dovrei andarlo a cercare.

 

ciao - Perla

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Bellissimo post Ursus!! :s15: :s15: :s15: Mi hanno sempre affascinato le leggende e i miti del mare.

La pirateria in particolare... Tempo fa lessi un libro su Sir Francis Drake, il corsaro della regina.

A parte la vita straordinaria di questo personaggio c'è una leggenda che narra che ogni volta che l’Inghilterra sarà in pericolo, se si suona il tamburo di Sir Francis Drake, egli tornerà per salvare il paese....

Quì trovate la storia di questo incredibile personaggio Sir Drake

Modificato da Poseidon
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Non mi ricordo da quale sito ho preso il testo, ma lo avevo semplicemente salvato su un file .txt

Cmq riporto...

 

"JOLLYROGER

 

Il Vessillo dei Pirati

jollyroger_thumb1.jpg

Prima che nella marina si possedesse la tecnologia necessaria per comunicare, la bandiera e i suoi vessilli erano il metodo più efficace con cui riconoscere una nave e a quale paese appartenesse.

Anche i pirati ne facevano uso ed in maniera piuttosto varia.

E' scorretto pensare che per farsi riconoscere esponessero in assoluto la tipica bandiera nera con teschio e tibie incrociate. Spesso usavano lo stratagemma di esporre un vessillo rubato da una nave precedentemente depredata. In questa maniera potevano avvalersi dell'effetto sorpresa, fingendosi alleati o innocui e avvicinandosi con cautela agli obiettivi. Quando la nave avversaria si accorgeva dell'inganno era oramai troppo tardi.

Questo espediente veniva però utilizzato solo contro le navi più pericolose da abbordare perché in ogni caso, quando i pirati agganciavano un bersaglio, questi era spacciato. Le navi pirata erano attrezzate ed equipaggiate quanto, se non meglio, delle navi da guerra. Essere attaccati dai pirati significava venire investiti da una forza di fuoco micidiale e da un capacità di navigazione senza precedenti.

Proprio per questo i vessilli originali erano sempre simboli che incutevano terrore. Le composizioni disegnate erano per lo più triadi di simboli: morte, violenza, tempo limitato.

Usavano alternare due colori: il rosso e il nero. Ognuno possedeva un proprio significato. il rosso indicava battaglia, il nero la morte.

Ogni capitano con il suo equipaggio veniva riconosciuto per la simbologia e la composizione dei disegni.

Bartholomew Roberts ordinò ai suoi uomini di fabbricare un vessillo che lo raffigurasse in piedi sopra due teschi.

Calico Jack si fece invece riconoscere con il simbolo che tutti noi conosciamo: un teschio (testa di morto) davanti a due sciabole incrociate.

Bartholomew Sharp possedeva al centro della bandiera nera un grosso scheletro bianco con una freccia che trafigge un cuore sanguinante in una mano ed una clessidra nell'altra.

Solo nel 1730 il teschio con le tibie incrociate divenne il vessillo preferito dei pirati inglesi, francesi e spagnoli che navigassero le Indie Occidentali.

 

La leggenda

Diverse sono le ipotesi che raccontano l'origine del nome "Jolly Roger".

Una suggerisce che si tratti dell'anglocizzazione di "Jolie Rouge", termine usato per descrivere la bandiera rosso sangue.

Un'altra ipotizza che derivi da Ali Raja, il nome di un capitano pirata Tamil che operava nell'Oceano Indiano.

La più convincente invece sostiene che alluda al soprannome del diavolo, ovvero "Vecchio Roger"."

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Anche qui, da cui cito testualmente ".....23 dicembre 1941: il mare è improvvisamente impazzito. L'aria è glaciale. Gli uomini di vedetta si sono legati in plancia con robuste cinghie di sicurezza. Contro di essi si accaniscono invano le onde violente e gelide...."

Tratto dal bel libro di Antonio Maronari "Un sommergibile non è rientrato alla base", che racconta appunto l'epopea del Tazzoli.

Un episodio analogo è narrato anche nei nei primi capitoli, ma dovrei andarlo a cercare.

 

ciao - Perla

 

 

 

Io mi riferivo al Tazzoli 2° ex US Navy Barb... :s02:

mio padre è stato imbarcato su quel sommergibile per diverso tempo...

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[...]La leggenda

Diverse sono le ipotesi che raccontano l'origine del nome "Jolly Roger".

Una suggerisce che si tratti dell'anglocizzazione di "Jolie Rouge", termine usato per descrivere la bandiera rosso sangue.

Un'altra ipotizza che derivi da Ali Raja, il nome di un capitano pirata Tamil che operava nell'Oceano Indiano.

La più convincente invece sostiene che alluda al soprannome del diavolo, ovvero "Vecchio Roger"."

Io mi sono letto il libro de :"La storia della pirateriadi David Cordingly

Il jolly roger era la bandiera comune con la quale i pirati andavano all'assalto....Capitan Kidd per esempio aveva una sagoma di un'uomo rosso con lo sfondo nero e significava( quando veniva issata)la MORTE per tutti gli uomini a bordo!!!Vi riporto un'esempio:"capitan kidd era all'inseguimento di un vascello mercantile francese,aveva issato il jolly quando questa vascello fà partire due colpi ,con la quale fece saltare il trinchetto(credo che sia questo l'albero) allora Kid fece sparare una salva di avvertimento sul fianco dx della nave...ma il c.te nemico nn voleva arrendersi e fece partire un'altra salva...colpì la nave di kid e uccise due uomini e ne ferì 6; a questo punto Kid alzò la sua bandiera...e a quel punto il c.te nemico buttò in acqua tutti i cannoni e dispiegò tutte le vele a disposizione per poter guadagnare qualche nodo...ma non ci fù nulla da fare, verso le 19.00di sera vennerò abbordati e massacrarono 25 uomini su 32.

Rimasero vivi solo il c.te e altri 6 marinai...li torturarono per molte ore...e vennero a sapere che il c.te aveva un nascondiglio...saputo questo uccisero tutti i marinai e torturano il c.te,(nn vi dico come perchè nn è propio bello)sino a quando il c.te quasi in fin di vita rifirì il nascodiglio.

Alla fine il c.te lo legarono all'albero maestro e diedero fuoco alla nave!

 

Tutto questo per dirvi il significato dei colori e dei simboli; se vi interessa potrei ridare una spolverata al libro e trascrivere il significato di qualche altra bandiera o altri esempi, quelli me li ricordo bene....

 

purtroppo di leggende nn ne parla questo libro.

 

Bye--

Modificato da Sgt. Bull
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Interessanti anche le storie sui galeoni carichi d'oro...

 

"Numerosi carichi d'oro, d'argento e di pietre preziose giacciono da numerosi anni sul fondo del mare in attesa che qualcuno li riporti alla luce. Se ne trovano in ogni angolo del globo, nelle Americhe, a largo delle coste dell'Africa, nel Mare del Nord, nel Mediterraneo, nel Pacifico, etc. Lungo le rotte seguite dalle imbarcazioni nel corso della storia, dall'antichità fino ai giorni nostri.

 

Nel 1588 ci fu uno scontro navale nelle acque scozzesi, presso le Calais Roads, tra la flotta inglese e l'Invincibile Armata Spagnola, che voleva invadere la Gran Bretagna, al comando del Duca di Medina Sidonia, ma delle 130 navi che formavano l'equipaggio, solo 66 ritornarono in Spagna. Le 64 navi affondate portavano armi, munizioni, oggetti vari e... tesori. Una di queste navi, la San Juan de Sicilia, riportò gravi danni, ma riuscì a portarsi in salvo nei pressi dell'isola di Mull, dove cercò invano l'aiuto degli Scozzesi del clan McLean, inospitali e diffidenti. L'equipaggio fu costretto a vivere a bordo, in situazioni estreme per almeno tre mesi, dopo di ché, in seguito probabilmente ad un attentato da parte degli inglesi, la nave bruciò e con essa tutto il suo equipaggio e i suoi tesori. Colò a picco in quelle acque e nessuno ne parlò più. Ancora oggi, giace in quei fondali, a largo della Scozia.

 

Il galeone Flor de la Mar era una nave ammiraglia di una piccola flotta del sedicesimo secolo comandata da Alfonso de Albuquerque, un soldato portoghese inviato nelle Indie orientali nel 1506 per fondare delle colonie portoghesi. Nel 1509 era già Governatore di tutti i possedimenti portoghesi in India. Nel 1511 conquistò Malacca (ora chiamata Melaka) sulla penisola malese e si appropriò di grandi tesori, che caricò sulla sua nave. Albuquerque la caricò con 20 tonnellate di statue di elefantini, scimmie e tigri di oro massiccio a grandezza naturale, nonché tonnellate di monete, diamanti, rubini ed altre pietre preziose. Nel 1512 la flotta partì per ritornare in Spagna con questi tesori, ma nello Stretto di Malacca si imbatté in una forte tempesta che spinse la Flor de la Mar su una scogliera al largo del promontorio nord.orientale dell'isola di Sumatra. Albuquerque si salvò, ma la nave colò a picco con tutte le sue ricchezze in un fondale profondo 36,5 metri. Dei 400 uomini dell'equipaggio, ne sopravvissero solo 3.

Nel XX secolo, grazie alla tecnologia moderna, ci furono dei tentativi di recupero del tesoro, condotti da Bruno de Vincentiis, ricco cercatore di diamanti italiano, e Robert Marx. Ma ci furono problemi durante i negoziati coi governi malesi e indonesiani, che reclamavano il tesoro per intero senza scendere a compromessi. Il primo cercò il relitto, ma fu un insuccesso. Il secondo, invece, lo trovò, sotto uno strato di 15 metri di fango. Ma non ebbe molta più fortuna del primo, in quanto riuscì a recuperare solo qualche oggetto, statuette in oro e porcellana risalenti al periodo della dinastia Ming. Le condizioni per il recupero non sono delle migliori. Così, si può tranquillamente affermare che il tesoro della Flor de la Mar, dal valore approssimativo di 9 milioni di dollari, giace ancora in quei fondali a circa quaranta metri di profondità.

 

ISOLE FANTASMA

 

Tra le molte "isole fantasma", una delle più misteriose è l'Isola dei demoni, detta anche "Isola des Demonias". Secondo la testimonianza di molti, tra cui André Thevet, studioso e scrittore alla corte di Caterina de' Medici, dovrebbe trovarsi a largo di Terranova e si diceva fosse abitata da strani animali selvaggi, tra cui orsi, trichechi, nonché da creature mitologiche e demoniache, come grifoni, spiriti, mostri, etc. Si iniziò a parlare di questa isola dall'inizio del '500, da quando si incominciò a navigare in direzione delle Americhe. Thevet ne dà la descrizione più completa e accurata, essendoci stato lui stesso nel 1555.

 

Raccontò di aver visto con i suoi occhi questi demoni e di essere riuscito ad allontanarli solo con l'aiuto del Vangelo di S. Giovanni. I suoi scritti non vennero mai presi sul serio e, lui stesso, venne ritenuto pazzo. Ma il dubbio che l'isola possa essere esistita è lecito, in quanto Thevet non fu il primo a parlarne. Già prima di lui ne parlò nel 1540 Jacques Cartier, che viaggiò verso il Canada per conto della corona francese più di una volta. La sua flotta fu raggiunta a Terranova da quella del Signore di Roberval. Su una nave di questa flotta, Marguerite, nipote del comandante, si innamorò di un giovane ufficiale di bordo, ma la loro storia venne scoperta e Roberval decise di punire i due abbandonandoli, con la balia della ragazza, sua complice in quella vicenda, proprio sull'Isola del Demoni. Qui i tre ebbero a difendersi più di una volta da diverse insidie e spesso solo usando come arma la Bibbia. Morì la balia, poi morì anche il giovane amante e Marguerite rimase sola a combattere contro i demoni per due anni e cinque mesi, finché ebbe la fortuna di essere ripescata da un peschereccio che passava di lì per caso.

Ritornata in Francia raccontò la sua storia e parlò dell'Isola dei Demoni. Se quella di Thevet poteva essere fantasia, quella di Marguerite è confermata da varie fonti. Che un'isola con quel nome sia esistita è sicuro, ma la chiave per risolvere il mistero è altrove. Probabilmente gli animale mostruosi che più di una persona videro sull'isola non erano altro che trichechi (animali davvero caratteristici, impressionanti probabilmente agli occhi dei marinai del '500, che poco sapevano del mondo esterno, se non ciò che avevano già visto nei loro viaggi), o uccelli di grandi dimensioni, tipici di quelle terre. Inoltre, può essere che nel corso degli anni l'isola possa aver cambiato nome. Già Cartier battezzò un'isola a largo di Terranova, Isola degli Uccelli. Potrebbe essersi trattata della stessa Isola dei Demoni.

 

 

ANTILLA, L'ISOLA DELLE SETTE CITTÀ

Nel 507 i Visigoti si spostarono in Spagna e lì vi rimasero fino alla conquista musulmana del 711. Non fu difficile sconfiggerli, dato che già da tempo i re Goti erano più preoccupati di vivere una bella vita, piuttosto che pensare alla situazione politica del loro paese. Per sfuggire agli Arabi, alcuni Visigoti, accompagnati dai loro vescovi cristiani, fuggirono via mare. Si imbarcarono in Portogallo e presero a navigare verso ovest, fino a giungere su un'isola nell'Atlantico che essi chiamarono Antilla (da "Ante" + "Ihla", cioè "isola opposta al continente Europeo). Qui, fondarono sette città, una per ogni vescovo, e continuarono a vivere in pace.

 

Questi vescovi distrussero ogni carta nautica, ogni strumento di navigazione e bruciarono le navi sulle quali erano lì giunti, per evitare che qualcuno di loro potesse ritornare in Europa, in quanto l'isola così poteva rimanere segreta e loro sarebbero potuti vivere a lungo in pace, senza il pericolo di ulteriori conquiste. Nel corso dei secoli, furono diverse le persone che affermarono di aver visto l'isola da lontano o addirittura di esserci stati. Ancora all'inizio del '400, marinai spagnoli dichiararono di essere approdati sull'isola per caso e di aver assistito ad una cerimonia religiosa. Essi avevano portato con loro un pò di sabbia di quell'isola che si scoprì essere mista a polvere d'oro. Così, la corona spagnola si interessò alla cosa (ovviamente quando si sentiva parlare di oro, i governi erano i primi a muoversi), ma i marinai che avrebbero potuto ricordarsi l'ubicazione dell'isola, scomparvero misteriosamente, o per paura di ritornarvi, o perché avevano raccontato solo menzogne. Ferdinando Colombo, figlio del celebre navigatore che scoprì l'America nel 1492, aggiunge alcuni dettagli a questa leggenda, affermando che l'isola si trova a circa 200 leghe a ovest delle Canarie e delle Azzorre (686 miglia marine).

Nel 1452, il nobile portoghese Diego de Teive partì, assecondato dalla corona portoghese, alla ricerca dell'Isola delle Sette Città, ma non vi giunse mai. Girò per l'Atlantico arrivando nel Mar dei Sargassi, poi, fu costretto per vari motivi a ritornare in patria, ma la sua spedizione non fu un fallimento totale, in quanto durante il ritorno scoprì le isole Flores e Corvo, le due più occidentali delle Azzorre. Tra il 1462 e il 1487 i Portoghesi organizzarono almeno otto viaggi con lo scopo di trovare quest'isola misteriosa, nonché nuove isole nell'Atlantico, ma tutte le missioni fallirono. Anche Cristoforo Colombo si aspettava di trovare molte isole nell'Oceano Atlantico, compresa quella di Antilla, di cui aveva sentito molto parlare, ma con sua sorpresa, dovette ricredersi. Egli sbagliò di molto i suoi calcoli, così come molti altri studiosi del passato, pensando che l'Oceano Atlantico dovesse essere esteso verso ovest non più di mille miglia. Interessante da notare è il fatto che l'isola di Antilla dovesse trovarsi pressappoco nella stessa posizione in cui Platone collocò la mitica isola di Atlantide.

 

Entrambe sono un mito, di entrambe non v'è più alcuna traccia! Dopo le scoperte di Colombo, Antilla venne situata dai cartografi nel Nuovo Mondo, nella loro collocazione attuale, nel Centro America, divenendo più che altro un arcipelago di piccole isole (delle Antille) e non una sola isola. Ma il mistero dell'Isola delle sette Città rimane velato."

 

Dal sito del C.R.O.P.

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La nave del mistero di Claudio Bossi

 

Sebbene sia l’inchiesta americana che quella inglese condannassero il capitano Stanley Lord del Californian per non aver prestato soccorsi al TITANIC, il suo caso però continua a suscitare controversie. Era effettivamente il TITANIC la nave che, il comandante ed i suoi ufficiali, videro quella notte? In caso contrario poteva esserci stata una terza nave nella zona, vista sia dal TITANIC che dal Californian, che non si è mai identificata e si è allontanata ignorando la richiesta di soccorso? Qualunque sia la risposta, un esame accurato delle prove mostra numerose discordanze nel caso intentato contro il capitano Lord.

La notte del 14 aprile 1912, attorno alle 23, il Californian vide avvicinarsi le luci di una nave. Nessuno su il TITANIC vide le luci di un'altra nave se non un'ora dopo che il transatlantico si era fermato. Il Californian rimase immobile nell'oceano per tutta la notte; molti testimoni del TITANIC affermarono che la nave del mistero sembrava avvicinarsi. Questo è anche supportato da una certa logica: se la nave del mistero apparve dopo che il TITANIC si era fermato, era senz'altro in movimento, nonostante sia il TITANIC sia il Californian fossero fermi, la nave vista da entrambi si muoveva.

Altre grandi discrepanze non hanno avuto spiegazioni. Solo un ufficiale del Californian pensò che la nave da lui vista fosse una nave passeggeri, ed il TITANIC, grande il doppio di una qualsiasi altra nave passeggeri, avrebbe dovuto essere inconfondibile ad una distanza così ravvicinata. Il capitano Lord non tentò di comunicare via radio con la nave vicina perché l'operatore gli disse che l'unica nave in contatto radio nell'area era il TITANIC. E questa non era chiaramente l'enorme transatlantico.

Il capitano Smith, credendo che la sua nave avesse meno un'ora di vita, ritenne che la nave del mistero fosse così vicina da ordinare alle prime scialuppe di raggiungerla a remi, scaricare i passeggeri e ritornare.

I razzi di soccorso sparati dal TITANIC esplosero in una cascata di luce colorata, mentre i razzi visti dal Californian erano bianchi; in una notte così calma, il fragore dei razzi del TITANIC avrebbero dovuto essere udibile a qualsiasi nave nelle vicinanze, ma quelli a bordo del Californian non li udirono affatto.

In seguito, i sopravissuti del TITANIC dichiararono che udirono i razzi della Carpathia ancora prima di vedere la nave. Tutto questo mi suggerisce che un'altra nave poteva trovarsi nelle vicinanze, tra il TITANIC ed il Californian.

Certamente c'erano molte navi quella mattina nella zona dove la Carpathia recuperava i superstiti.

Duranti gli anni molte persone si sono fatte avanti dichiarando di essere a bordo della misteriosa nave di quella notte chiamata Mount Temple, Virginian o, la più probabile Samson, un veliero norvegese che stava navigando illegamente nell'area.

Nel 1962, mezzo secolo dopo il naufragio del TITANIC, Hendrik Naess del Samson, poco prima della sua scomparsa, resa pubblica una relazione che descrisse (sempre ammesso che fosse veritiera) con molti dettagli come il Samson, poteva trovarsi vicino al luogo dell'affondamento del TITANIC, abbastanza vicino per vedere i fuochi ed i razzi d'emergenza. Naess dichiarò che, nella notte dal 14 al 15 aprile 1912, appena prima della mezzanotte, era sul ponte quando ad un certo punto osservò due grandi stelle nel cielo. Queste stelle erano molto basse. Riferì ciò che vide al ponte di comando quindi, cercò di vedere ciò poteva essere: non erano stelle. Quindi, improvvisamente, alcuni razzi apparirono e subito, tutte le luci si spensero e tutto ricadde nella oscurità. Il comandante del Samson, Carl Johann Ring, si astenne dall'intervenire poiché temeva che la sua nave fosse in violazione della regolamentazione territoriale sulla caccia alle foche. Dopo avere visto i razzi, il Samson avrebbe dunque cambiato rotta.

Nel 1963, un elemento nuovo sollevò il dubbio che Naess avesse detto la verità. In occasione di ricerche effettuate si scoprì che il Samson si trovava in porto il 6 aprile 1912 e nuovamente il 20 aprile. In queste condizioni, come poteva essere che una nave, che navigava a 6 nodi, aveva potuto coprire 3.000 miglia tra il 6 ed il 14 aprile per arrivare sui luoghi del naufragio del TITANIC: quindi non poteva essere presente!

Nonostante si condanni l’atteggiamento del capitano Lord per non avere soccorso in seguito ai razzi di soccorso, un rapporto redatto di recente dal "Board of Trade" discolpa in parte il capitano del Californian: la posizione del Californian fu tra le 17 e le 20 miglia quindi fuori dal raggio visivo del TITANIC.

Non solo questo rafforza la teoria della nave misteriosa, ma conferma che se anche il capitano del Californian avesse agito immediatamente non sarebbe arrivato al TITANIC in tempo: in piena luce del giorno, in grado quindi di vedere il ghiaccio, il Californian impiegò due ore per raggiungere la Carpathia.

Il primo razzo fu visto dal Californian alle 0:40, due ore più tardi anche coloro che cercarono di sopravvivere nell’acqua gelata sarebbero comunque morti.

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Forza Bull, siamo tutti curiosi!!!

 

eccoti accontentato Marcuzzo :

"Nombre de Dios & Francis Drake

Nel 1570 era uno dei principali porti in cui venivano custoditi i tesori di tutto il mar dei CARAIBI !!Due volte l'anno una flotta di galeoni spagnoli gettava l'ancora nella biaia e caricava l'oro e l'argento trasportati per migliaia di chilometri,per nave o a dorso di mulo,dalle montagne di Perù e Bolivia.

Francis Drake che in seguito sarebbe diventato il più famoso navigatore britannico dell'epoca Elisabettiana,aveva fatto una visita di ricognizione alla città nel 1571.Camuffato da mercante spagnolo aveva individuato la tesoreria del Re;poi aveva cercato nelle vicinanze una baia protetta ove ancora le propie navi per eventuali spedizioni future, aveva preso contatto anche con alcuni schiavi neri chiamati Cimaroon,che vivevano nella giungla circostante ed erano sempre pronti a vendicarsi degli odiati spagnoli.

Nel luglio 1572 Drake ritornò a nombre de dios con due piccole navi,la Pasco e la Swan e settantatre uomini in tutto.Ancorate le imbarcazioni dietro un promontorio a est della città,durante la notte,aggirarono il lembo di terra e attraversarono la baia su piccole canoe.Approdarono alle 3 del mattino e si diressero verso la postazione militare costiera,composta da sei cannoni e piantonata da UN solo uomo.Dopo aver eliminato il pericolo delle armi Drake divise i suoi in due squadre: la prima guidata dal fratello John si diresse ,come manovra diversiva verso la parte occidentale,mentre Drake attaccava la città da Est,entrando in città a suon di tamburi e trombe.Gli abitanti,credendo di essere sotto attacco da un'esercito numeroso andarano nel panico.

 

Poi però la situazione prese una piega sbagliata.....

 

Se vi/ti interessa continuo... :s04:

 

Bye--

Modificato da Sgt. Bull
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Curiosità sulla pirateria del XVI e XVII secolo:

 

 

LE PUNIZIONI

 

I pirati colti sul fatto e giudicati colpevoli erano condannati al patibolo, la "ballata dell'impiccato" era la danza di morte che s’improvvisava dopo l'esecuzione, i pirati scherzavano sull'impiccagione, ma la loro sicumera finiva quando si trovavano davanti alla forca.

Tuttavia, per la maggior parte dei pirati, il pericolo della vita in mare, era molto più pericolosa del boia, erano pochi quelli che erano portati davanti alla giustizia e anche quelli giudicati colpevoli erano spesso graziati.

 

Per i corsari, la cattura significava il carcere, con la possibilità della libertà in cambio dei prigionieri, ma molti corsari temevano la prigione: le carceri erano luoghi malsani dai quali era difficile uscire vivi.

L'Inghilterra introdusse nel 1776 le prigioni galleggianti, situate sull'estuario del Tamigi, all'inizio erano ricavate da navi in disarmo, più tardi i pontoni (così erano chiamate) furono costruiti come prigioni galleggianti, erano umide e malsane, ed essere condannati a rimanervi rinchiusi era la peggior punizione, dopo la morte, per un pirata incarcerato una cella "singola" sarebbe stata considerata una sistemazione di lusso.

Nel XVII secolo le prigioni erano affollatissime, e solo quelli che potevano permettersi di corrompere il carceriere potevano sperare di vivere in condizioni accettabili, i prigionieri dovevano pagare per le candele, per il cibo e persino per stare vicino al fuoco che scaldava l'umida prigione.

I corsari francesi che erano catturati temevano le prigioni galleggianti, nel 1797 uno di loro scrisse: (in questi ultimi otto giorni siamo stati costretti a mangiare cani, gatti e topi... l'unica razione consiste in pane ammuffito... carne putrida e acqua salata).

L'impiccagione era il consueto sistema d’esecuzione per i pirati, in Inghilterra e nelle colonie, erano impiccati al livello della bassa marea, per dimostrare che il crimine commesso, rientrava sotto la giurisdizione dell'Ammiragliato, le loro ultime parole erano spesso pubblicate, per la morbosa curiosità del pubblico, tutte le impiccagioni dei pirati, anche quella di Stede Bonnet, nel 1718, fu pubblica: la gente di Charleston (Stati Uniti meridionali) si affollò intorno ai magazzini del porto dove la condanna fu eseguita, temerario e spavaldo come pirata, Bonnet aveva chiesto al governatore la grazia, che però gli fu negata.

William Kidd fu impiccato nel 1701 e il fatto attirò una gran folla nella piazza delle esecuzioni al porto di Londra, il cappio si ruppe al primo tentativo, ma non al secondo, il cadavere incatenato ad un palo, fu sommerso tre volte dalla marea, come prescriveva la legge dell'Ammiragliato, come monito a tutti i marinai che percorrevano l'estuario del Tamigi, il suo corpo fu poi ricoperto di catrame per evitarne la decomposizione, e appeso nella gabbia, alla forca di Tilbury Point.

I corpi dei pirati impiccati erano spesso lasciati appesi alla forca come monito, oppure incatenato in una gabbia di ferro, per impedire ai parenti che lo rimuovessero per seppellirlo.

Un pirata abbandonato su un'isola deserta, osserva con disperazione la sua nave che si allontanava, quel luogo diventava per lui una prigione senza pareti, il mare impediva di fuggire e le possibilità di essere avvistato da un'altra nave erano quasi inesistenti, ai pirati abbandonati erano lasciate alcune provviste essenziali, vi erano poche possibilità di sopravvivere per coloro che non avevano mezzi per cacciare o pescare.

Questa crudele punizione era inflitta a chi derubava i propri compagni o chi disertava il combattimento, lo stesso destino di naufraghi toccava ai pirati, quando la loro nave andava a fondo.

Il codice dei pirati stilato dal capitano inglese John Phillips prevedeva che il "condannato" fosse fornito di una fiaschetta di polvere da sparo, una bottiglia d'acqua, e una piccola arma, ma lo sfortunato non aveva possibilità di cucinare o riscaldarsi, la pistola era utile per difendersi dagli animali selvatici, ma per cacciare era meglio il moschetto, la bottiglia d'acqua durava un giorno o poco più, dopo questo periodo il naufrago doveva darsi da fare, per trovare ciò di cui dissetarsi.

Stanco dei litigi sulla sua nave, il corsaro scozzese Alexander Selkirk (1676-1721) chiese d’essere sbarcato su un'isola, dove visse dal 1704 al 1709, la sua residenza fu un'isoletta del Pacifico meridionale, 640 chilometri ad ovest del Cile, una delle isole del gruppo Juan Fernandez, Mas a Tierra aveva abbondanza d’acqua, suini e capre Selkirk, si nutrì di carne di capra, e frutti di palma, e si vestì con pelle di capra.

Nella letteratura il naufrago più famoso fu creato da Daniel Defoe (1660-1731), che per il racconto s’ispirò alla vicenda di Alexander Selkirk, ma diede a Crusoe un selvaggio come compagno, Venerdì. Crusoe passò più di venticinque anni nella sua isola e visse molto più comodamente di qualsiasi vero naufrago.

 

LE ARMI

 

PALLE INCATENATE: raramente i colpi di cannone potevano affondare una nave, ma l'impatto della palla di ferro contro lo scafo provocava un'esplosione di schegge mortali. Bastavano due palle incatenate insieme e lanciate in alto per abbattere gli alberi e le vele e danneggiare un vascello.

SCIABOLA TAGLIAGOLA: nel XVII e XVIII secolo la sciabola corta, o squarcina, era l'arma preferita da tutti coloro che combattevano in mare, la sua lama corta e larga la rendeva ideale in un corpo a corpo; una lama più lunga poteva impigliarsi facilmente nel sartiame.

TROMBONE: la canna corta del trombone limitava la sua precisione, i pirati lo usavano solo a distanza ravvicinata, come il moschetto, era appoggiato alla spalla, ma la canna corta rendeva il trombone più maneggevole sul ponte della nave, beccheggiante e affollato.

PISTOLA A PIETRA FOCAIA: leggera e maneggevole, era l'arma da fuoco preferita dai pirati quando assaltavano una nave, tuttavia, a volte l'umidità dell'aria, e gli spruzzi, bagnava la polvere e la pistola faceva cilecca, ricaricare l'arma richiedeva molto tempo, che i pirati preferivano usarne l'impugnatura come una clava.

IL MOSCHETTO: il tiratore scelto poteva colpire il timoniere della nave avversaria, anche da notevole distanza, la rigatura all'interno della canna stabilizzava la traiettoria, migliorando la precisione del colpo.

ASCIA D'ATTACCO: i pirati che andavano all'arrembaggio dei grandi vascelli, usavano asce per scalare le murature delle navi e, una volta sul ponte, le utilizzavano per abbattere le vele, un solo colpo d'ascia poteva tagliare una grossa cima, come il braccio di un uomo.

ARMA SEGRETA: il pugnale poteva essere facilmente nascosto sotto i vestiti e in un attacco a sorpresa, dove non c'era spazio per brandire la spada, poteva infliggere ferite mortali.

BOMBE INCENDIARIE: scagliate dal castello di prua della nave pirata, bombe spesso fatte di una mistura di pece e stracci potevano appiccare un incendio che si propagava rapidamente, la cortina di fumo che ne seguiva creava confusione e panico.

PIEDI DI CORVO: a volte i corsari francesi, spargevano chiodi a quattro punte, detti "piedi di corvo", sul ponte della nave che stavano per arrembare, poiché i marinai andavano a piedi nudi per evitare di scivolare sui ponti bagnati, i piedi di corvo potevano infliggere terribili ferite a chi li calpestava.

Quando i pirati abbordavano una nave, lo facevano con la speranza di trovare la stiva colma di tesori, se avevano fortuna, il bottino poteva far diventare l'intero equipaggio ricchissimo.

Nel 1693, quando Thomas Tew depredò una nave nell'Oceano Indiano, ogni membro dell'equipaggio ricevette una ricompensa di oltre 3000 sterline e, secondo il tenore di vita di quei tempi, tutti diventarono miliardari (un marinaio inglese percepiva allora, come salario, la somma di una sterlina al mese),

Ma bottini di questa entità rappresentavano casi eccezionali: la maggior parte delle volte l'equipaggio divideva tesori di entità più modesta e, nei casi veramente sfortunati, scopriva una stiva con un carico ingombrante e per di più senza valore, quando il carico non aveva valore, i pirati derubavano i passeggeri e si disputavano i loro beni personali, valeva la pena di accapigliarsi per un pugnale d’ottima fattura se ne poteva ricavare un buon prezzo.

I favolosi tesori dei pirati spesso erano solo delle leggende, William Kidd seppellì veramente un tesoro, poi recuperato, sull'isola di Gardiner (New York), il bottino preferito dai pirati era l'oro e l'argento trasportati dalle navi spagnole, un doblone d'oro spagnolo equivaleva alla paga di sette settimane di un marinaio, i pezzi da otto in argento potevano vanire tagliati per ottenerne spiccioli.

Dopo il saccheggio di un vascello portoghese (1721), John Taylor ricompensò ciascun membro dell'equipaggio con 4000 sterline, e 42 piccoli diamanti.

I pirati dividevano il bottino abbastanza equamente, anche se al capitano, e agli ufficiali spettasse una parte più grande, considerando il valore di un’unità, la ricompensa del marinaio, il capitano riceveva 2,5 il chirurgo 1,5, il maestro d'ascia, che non aveva rischiato la vita nei combattimenti, solo tre quarti, i mozzi solo la metà.

Dopo aver depredato una nave, i pirati dovevano rientrare nel loro porto per dividersi il bottino, ma la ciurma era spesso autorizzata a depredare i passeggeri e l'equipaggio, le armi e le munizioni, erano considerate un prezioso bottino.

Intorno al 1860, era divenuto di moda fiutare il tabacco, i ricchi passeggeri avevano spesso delle tabacchiere decorate e preziose, che rappresentavano un bottino allettante, come regola, i corsari dovevano dividere il tutto secondo il rango, ma in pratica molti intascavano di nascosto piccoli oggetti come anelli d'oro.

 

Ciao

Ursus

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LA NAVE MALEDETTA....

 

 

nave russa “Iván Vassili” fu costruita nei cantieri di San Pietroburgo nel 1897.

La struttura era un solido blocco di ferro con la coperta in legno che faceva di questo mercantile un mezzo più che confortevole, oltre che solido e resistente.

Una macchina a vapore a tripla espansione le permetteva di raggiungere la velocità media di otto nodi e una autonomia di 2500 miglia.

Nei primi cinque anni dal varo, operò esclusivamente nel mar Baltico, ma nel 1903 il Governo Russo decise di utilizzarlo per inviare materiale bellico a Vladivostok.

Attraversato l'Atlantico e doppiato il capo di Buona Speranza,

l' Iván Vassili iniziò quella che doveva essere una tranquilla navigazione nell'Oceano Indiano facendo però i conti con un crescente nervosismo dei marinai.

All'inizio, il capitono della nave attribuì questo nervosismo alle notizie sul Giappone, da cui pervenivano notizie che facevano presumere un imminente conflitto.

Il nevosismo però continuava ad aumentare, senza che se ne potesse giustificare qualsiasi ragione: secondo le testimonianze dei pochi sopravvissuti, "era come se una forza invisibile e possente li sovrastasse".

Una presenza estranea che non poteva sfuggire agli esperti marinai, inesplicabile, inquietante e ipnotica.

Durante le guardie a bordo della nave, nel calore delle notti tropicali, alcuni marinai sentirono improvvise ondate di gelo, altri si sentirono "osservati", altri, meno fortunati, videro con chiarezza una strana forma luminosa, di sembianze umanoidi, muoversi da prua a poppa fino a scomparire tra le scialuppe di salvataggio.

L'inquietudine crebbe ancor più, poco prima di raggiungere la base militare di Port Arthur, quando la "cosa" iniziò a rivelare tutto il suo potere. Una epidemia di panico attraversò la nave da parte a parte con l'equipaggio spinto da un irrefrenabile orrore a fuggire da un lato all'altro della nave gemendo e urlando.

Finchè non fu immolata la prima vittima, il marinaio Alexander Govinski, che morì affogato dopo essersi lanciato fuori bordo: allora tutto si placò e la nave riprese la sua vita normale.

A Port Arthur la nave si rifornì di carbone e proseguì fino alla sua destinazione finale di Vladivostok, ma durante il tragitto il panico se ne impossessò di nuovo, causando una nuova vittima.

Giunti a Vladivostok, i marinai cercarono di disertare ma furono costretti all'imbarco forzato.

Sulla rotta per Hong Kong, le porte dell'inferno parvero aprirsi a bordo della nave maledetta: suicidi, follia e attacchi di panico irrefrenabile costellarono una navigazione che parve interminabile.

Anche il capitano, Sven Andrist, morì affogato dopo essersi gettato fuori bordo.

A Hong Kong, l'equipaggio disertò al completo, e si dovette ricostituire una nuova ciurma, di marinai cinesi.

Con questo nuovo equipaggio, il capitano Chris Manson, prese il mare alla volta di Sidney, senza giungere a vedere le coste australiane poichè si suicidò impiccandosi a un trave.

A Sidney, anche l'equipaggio di Hong Kong disertò al completo.

Con un nuovo equipaggio, dopo quattro mesi di attracco al molo di Sidney, la nave riprese la navigazione verso San Francisco.

Il bilancio del viaggio fu di due morti per pazzia furiosa e il suicidio del capitano, anch'egli impiccatosi e la nuova diserzione completa dell'equipaggio all'arrivo in porto.

Il comando fu preso allora dal secondo ufficiale, uno dei pochi ufficiali ancora rimasti tra le continue diserzioni, che decise di ritornare a Vladivostok, riuscendovi senza ulteriori problemi.

Una volta rientrata in Russia, il mito della nave maledetta si sparse ai quattro venti e nessuno più si azzardò ad arruolarsi nel suo equipaggio.

Una mattina del 1907, senza particolari motivi, la nave andò a fuoco. Il legno con cui era costruita la coperta fu bruciato in breve tempo e la nave iniziò a inclinarsi a babordo. La estrema forza delle fiamme impedì qualsiasi tipo di intervento e la nave affondò insieme alla sua maledizione; ma prima di scomparire tra le onde si potè distintamente udire un grido di estremo terrore provenire dalla nave: l'Iván Vassili era morto.

 

Sebbene nessuno possa dire con certezza le ragioni per cui da quella nave sprigionarono tante forze misteriose e orrende, si racconta che al momento dell'inizio della guerra tra Russia e Giappone, un membro della famiglia imperiale nipponica abbia lanciato una maledizione sulla prima nave che fosse giunta al porto con intenzioni o materiale bellico; e il primo carico di guerra era proprio quello dell'Iván Vassili.

 

 

brrrr.... che storia....

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Veramente un bel racconto!

Grazie Ursus!

 

In questo thread ci sono tante belle storie per far addormentare i bimbi capricciosi... :s11: :s11:

 

heheh già silvio!! :s03: :s03:

 

Oggi pome se sono a casa finisco di raccontare la fine delll'assalto di Drake.... :s15:

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Brrrr...da brivido la storia dell'Iván Vassili...cmq storie fantastiche :s15: :s15: :s15:

L'olandese volante poi... :s15: :s15: :s15:

 

OT: vado un secondo fuori discussione... avete presente il ristorante del capitano con un occhio solo nei Simpson, il suo ristorante si chiama "dall'olandese sfrigolante" che in inglese sarebbe Frying Dutchman, una parodia appunto del termine inglese Flying Dutchman, ovvero l'Olandese Volante. :s04: :s04: fine OT

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Visitatore Perla
Io mi riferivo al Tazzoli 2° ex US Navy Barb... :s02:

mio padre è stato imbarcato su quel sommergibile per diverso tempo...

 

Scusa, non lo sapevo.

Sai, animata da sacro fuoco e dal bel libro che sto leggendo, ho pensato si trattasse dell'altro Tazzoli..... :s02:

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Lessi qualcosa anche io tempo fa. Vi racconto quelle più impressionanti. Ai tempi navi e U boat non erano ancora la mia passione quindi non ricordo bene i nomi dei battelli coinvolti, ma se li ritrovo li citerò.

 

Il primo riguarda propio un U boat tedesco nella seconda guerra. Mi sembra a largo dell'Irlanda fu silurato un mercantile e un uffuciale con altri marinai osservavano il relitto in fiamme affondare fino alla sua sparizione, ad un certo punto il mercantile esplose ormai sommerso e dalla colonna d'acqua prodotta saltò in aria un animale che sembrava nella descizione un drago. La lunghezza fu stimata intorno ai 50 metri! Era simile ad un grande lucertola. Tutto scritto sul diario di bordo e firmato da almeno tre testimoni.

 

Nel '45 fu ripescato un naufrago da una nave americana, a largo delle coste americane, l'uomo non aveva documenti ma in ottimo inglese diceva di essere un marinaio della reale marina inglese di essere stato imbarcato su una nave con tanto di nome che non ricordo che era affondata. Il problema era che la marina inglese rispose di non avere alcun marinaio in servizio con il nome che il naufrago sosteneva di possedere, che la nave su cui lui diceva di essere stato non era mai affondata ma si trovava in operazione da tutt'altra parte. Preso come un naufrago tedesco che per salvarsi dichiarava il falso fu portato in america, e qui viene il bello : si scoprì che lui si riferiva a ben 150 anni prima. La sua nave esisteva realmente, una goletta mi pare, che realmente affondò li in quel periodo 150 anni prima, conosceva alla perfezione l'accademia inglese di 150 anni prima e cos' altre informazioni. L'evento pare non sia stato mai chiarito e l'individuo in questione visse fino agli anni 70 in america!

 

Un u boat tedesco riferì durante una missione di guerra di essere stato invaso da fuochi verdi per circa un'ora all'interno del vascello, tale evento però potrebbero essere fuochi di sant'anselmo, frequenti anche sui vecchi aerei, si tratta di fenomeni non ancora bene conosciuti di tipo elettrico.

 

In una missione un B24 americano riferisce di strani oggetti luminosi che lo seguono viaggiando a velocità incredibile per poi sparire, delle navi che sorvola confermano la presenza di tali oggetti.

 

Durante una missione nel nord della francia un B17 in americano tra l'altro in seri guai tecnici riferisce di essere circondato da oggetti volanti che sfrecciano nella sua zona. Tutta la vicenda è trascritta dalle comunicazioni a bordo tra i vari membri d'equipaggio (mitraglieri, navigatore, piloti, marconista ecc) e con le comunicazioni di terra. Non ho sul PC i dialoghi che sono lunghi ma in pratica iniziano a notare questi oggetti, all'inizio credono siano i crucchi (tedesci colloquialmente) che erano in zona, ma i me109 che lo inseguono e che già lo avevano danneggiato gravemente alla vista di questi oggetti scappano (un pilota tedesco deporrà una relazione sullo stesso evento). I mitraglieri aprono anche il fuoco ma nulla, alla fine il pilota chiama la base e riferisce, da terra chiedono informazioni ; comportamento ostile? Velocità degli oggetti? Descrizione? Posizione ecc. Il pilota risponde di non notare atteggiamento ostile ma non comprensibile, di stimare velocità circa 10 volte risspetto a lui e che sono metallici ma luminosi. Da terra si alternano alla radio vari ufficiali con varie domande ma alla fine nessuno ci capisce un c***o praticamente, così gli chiedono di ignorarli di tenere rotta e che contatteranno il servizio caccia per scortarlo. Mezz'ora dopo un squadriglia di P47 che non troppo lontano stava mitragliando dei treni viene inviata ad intercettarlo. Qui la comunicazione passa al capo squadriglia, anche questa trascritta, in parole povere annuncia alla direzione di terra di avere in vista il B17(matricola ecc...io la faccio breve) ....e altro intorno! Chiedono spiegazione da terra ma il pilota letteralmete esclama "ma che diavoleria è?" dice che sembrano scintille. Gli viene chiesto di ingaggiare gli oggetti ma appena si avvicina al B17 e agli oggetti questi schizzano viain alto e spariscono.

 

Vere o no ciò che mi stupisce è che eventi del genere, che oggi sono anche frequenti, fanno impressione se raccontate da militari in una missione di guerra. Cretini oggi che dicono di vedere UFO ce ne sono, ma ce lo vedete un pilota di B17 ,anzi tutto l'equipaggio,con un motore in fiamme rincorso da Messerschmit 109 aggrappato alla vita pregando di non morire che dicono hey inventiamoci una storiella? Con tanto di obbligo di deposizioni, relazioni ed interrogatori da parte dei superiori dopo? Boh... a voi larga sentenza

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Scusa, non lo sapevo.

Sai, animata da sacro fuoco e dal bel libro che sto leggendo, ho pensato si trattasse dell'altro Tazzoli..... :s02:

 

 

Figurati! Iodavo la cosa per scontata vista la mia età... ma avrei dovuto essere più chiaro. :s02:

 

 

Argo io lo fui per tre mesi solo come RT..fine estate58 o59... comincio ad avere le idee confuse..tuo padre quando fu imbarcato?

 

fly37

 

Ciao Fly, mio padre è stato imbarcato dal luglio del 1959 all' agosto 1964 come silurista.

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Visitatore Perla

Figurati! Iodavo la cosa per scontata vista la mia età... ma avrei dovuto essere più chiaro. :s02:

 

Hai ragione...vedo adesso la tua scheda e prima non avevo pensato che il"75" del tuo nick stesse per l'anno di nascita. Cosa vuoi..... l'età!!!! (la mia!) :s02:

 

A conferma di quanto ho detto vedi un po' zia Alzheimer dove è andata a postare!

Modificato da Perla
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Qualcuno sa nulla sul "Pasadena experiment" ??

A memoria mi sembra fpsse la storia di una nave che imbarcato un nuovo tipo di radar fosse stata vista in due porti diversi nello stesso momento o qualcosa di simile.

 

Ciao

Gil

Leggende moderne

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Qualcuno sa nulla sul "Pasadena experiment" ??

A memoria mi sembra fpsse la storia di una nave che imbarcato un nuovo tipo di radar fosse stata vista in due porti diversi nello stesso momento o qualcosa di simile.

 

Era il cosiddetto "Philadelphia experiment", su cui si sono scritte tonnellate di roba e si è fatto un film...

 

LINK

 

After many years of searching, the staff of the Operational Archives and independent researchers have not located any official documents that support the assertion that an invisibility or teleportation experiment involving a Navy ship occurred at Philadelphia or any other location.

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ho controllato per me era il 58... peccato.. ci siamo quasi incontrati tuop padre ed io..

 

fly37

 

 

Per pochi mesi... peccato!!!!! :s06:

 

Sono sempre alla ricerca di colleghi d'imbarco di mio padre... lui è sempre stato molto avaro nei racconti e mi piacerebbe molto poter ricostruire qualcosa dei suoi tant anni d'imbarco e dei tanti anni passati in Marina...

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Per pochi mesi... peccato!!!!! :s06:

 

Sono sempre alla ricerca di colleghi d'imbarco di mio padre... lui è sempre stato molto avaro nei racconti e mi piacerebbe molto poter ricostruire qualcosa dei suoi tant anni d'imbarco e dei tanti anni passati in Marina...

 

ti ho contattato in IM...

 

fly37

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  • 4 years later...
Era il cosiddetto "Philadelphia experiment", su cui si sono scritte tonnellate di roba e si è fatto un film...

 

LINK

 

After many years of searching, the staff of the Operational Archives and independent researchers have not located any official documents that support the assertion that an invisibility or teleportation experiment involving a Navy ship occurred at Philadelphia or any other location.

Ma c'era un fondo di verità?

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