In realtà l'azione contraerea ci fù ma venne inficiata dalla tipica "dottrina di reazione" alla era stata addestrata.
gli elementi che giocarono un ruolo determinante furono l’alta velocità della bomba, dovuta al suo peso di 1.400 kg, e la possibilità di correggerne la traiettoria,elementi che consentivano di sganciare la bomba da una altezza di 5-7.000 metri, e quando si era quasi sulla verticale del bersaglio, sito 80°. Ci si trovava quindi di fronte a un nuovo e sconosciuto tipo di attacco in quanto fino al 9 settembre 1943, le bombe venivano sganciate da una altezza di 3-3.500 metri e su un sito di 60° (angolo compreso tra il piano orizzontale della nave e la congiungente nave-aereo). L’incarico di attaccare la Roma fu affidato al migliore equipaggio, che era costituito dal pilota sergente Kurt Steinbor, dal puntatore sergente Eugen Degan, da un marconista e da un addetto alla mitragliera.
Alle 15.15 il comandante in capo delle Fnb avvistò una formazione di bombardieri in avvicinamento e identificò che erano tedeschi. L’ammiraglio Bergamini, dato l’elevato numero di aerei e l’alta quota a cui volavano - che consentiva di fare solo un fuoco di interdizione, poiché i nostri cannoni dovevano sparare con il massimo alzo - e data la maggiore potenza delle mitragliere tedesche e l’elevato numero di aerei, decise di non catapultare gli RE 200 perché avrebbe significato mandarli, inutilmente, incontro a una morte sicura. Alle 15.16, un minuto dopo l’avvistamento, fece alzare il segnale a bandiere P3, che significava “Posto di combattimento – pronti ad aprire il fuocoâ€, dette inoltre l’ordine di zigzagare e diradarsi. Alle 15.37 i primi cinque aerei volavano a una quota di 6.500 metri e avevano superato il sito di 60°, in cui avrebbero dovuto sganciare le bombe. Vennero perciò considerati in allontanamento.
Non sussistevano quindi elementi tali da far giudicare, come un’azione ostile, il loro volo e quindi permettere al comandante in capo di dare l’ordine di “aprire il fuocoâ€. Ma proprio in quel momento venne sganciata la prima bomba. Fu subito ordinato: “Aprite il fuoco†e i nostri cannoni antiaerei da 90/55 aprirono il fuoco. Si ritiene che un aereo tedesco sia stato abbattuto. Alle 15.42 l’aereo pilotato dal sergente Steinborn raggiunse la Roma sul lato dritto, il sergente Degan sganciò la prima bomba che colpì la nave al centro-poppa di dritta tra i complessi antiaerei n° 9 e n° 11. La bomba attraversò la nave e scoppiò in mare poco al di sotto della chiglia. Si apri una falla che provocò l’allagamento del locale caldaie e motrici di poppa, le eliche dell’estrema poppa si bloccarono, la velocità della nave si ridusse da 22 a 16 nodi.
L’ammiraglio Bergamini ordinò di alzare il segnale a bandiere V16 (a tutti: riducete la velocità a 16 nodi); si portò, insieme all’ammiraglio Caraciotti sulla aletta di plancia di dritta per osservare il punto in cui la Roma era stata colpita. Alle 15.52, mentre la Roma, zigzagando, faceva una accostata di 60° a sinistra, l’aereo pilotato dal sergente Steinborn sorvolò di nuovo la corazzata e sganciò la seconda bomba che colpì la nave sul lato sinistro nelle vicinanze del torrione corazzato, dove si trovavano anche le plance ammiraglio e comandante. La bomba si infilò tra il torrione corazzato, la torre n.° 2 dei cannoni da 381/52 e l’impianto dei cannoni da 152/55 di prora a sinistra. Scoppiò nell’interno dello scafo provocando la deflagrazione del deposito munizioni dei 152/55 e, per “simpatiaâ€, la deflagrazione del deposito della torre n.° 2 che venne lanciata in aria. Allo stesso tempo si aprì una falla e l’acqua allagò il locale motrici che si bloccarono. Si bloccarono pure i comandi del timone e quindi la nave proseguì per abbrivio nella sua accostata di 60° gradi a sinistra.
Dalle viscere della nave si elevò una grande colonna di fiamme e fumo alta 400 mt, che avvolse il torrione corazzato provocando la morte di tutto il personale che vi si trovava. La corazzata sembrò sollevarsi, ricadere in mare, e si inclinò sul lato di dritta. Le riservette antiaeree, che si trovavano nelle vicinanze del torrione, si incendiarono, le munizioni presero fuoco, i proiettili vennero lanciati a 360°, ferendo e uccidendo molti marinai. Il comportamento del personale della Roma fu esemplare, come risulta da tutte le testimonianze dei superstiti. Moltissimi furono gli episodi di abnegazione per salvare i compagni feriti, così come fu encomiabile l’opera degli ufficiali e sottufficiali che, con la loro sicurezza e tranquillità , riuscirono a riportare e mantenere la calma e l’ordine, specie nelle zone colpite. Molti persero la vita pur di salvare i compagni che erano rimasti intrappolati in alcuni locali.
Ed è proprio questo che dobbiamo ricordare.
Non importi che si recuperi o meno il relitto, non importa avere i dati della sua posizione.
Importa solo sapere che laggiù da qualche parte riposano 1.393 Uomini che hanno onorato sino alla fine il loro esssere marinai d'Italia.