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Rostro

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Tutti i contenuti di Rostro

  1. Rostro

    la fine dei guerrieri

    Non so se qualcuno ha letto il libro di Valerio Massimo Manfredi “Il mio nome è nessuno – il ritorno” C’ è una frase che rappresenta bene quello che sta accadendo ai nostri guerrieri: “Le navi hanno un’anima e una voce, e quando affondano salutano con un ultimo gemito straziante il loro comandante, prima di morire.” Il Marconi non sta affondando ma è consapevole della morte che lo attende in modo così spietato. Forse ha cercato nel Vento e nel Mare due fedeli compagni per rendere il suo destino meno sofferto. Lo so, le mie sono solo romanticherie, ma a me, come a Totiano, piace pensarle queste cose, e tutta questa triste storia mi ha fatto tornare in mente il commovente film di De Robertis “I fantasmi del mare”
  2. Rostro

    la spia italiana

    Il cumulo delle pene sarebbe di 50 anni ma operato il criterio moderatore previsto dall'art. 78 c.p., in sede di esecuzione la pena complessiva da scontare non potrà superare i 30 anni
  3. Rostro

    la spia italiana

    La dichiarazione del difensore riportata dai giornali è questa: “Walter Biot è determinato, è una battaglia per lui ma anche di civiltà giuridica affinché nessuno possa essere giudicato con prove segrete - ha detto dopo la sentenza il suo legale - Siamo passati da 30 anni a 20 anni: questo significa che più si approfondisce e si ragiona su come questo processo ha fatto spostare la bilancia della giustizia verso la ragion di stato più che verso lo stato di diritto, più le pene si riducono. E siamo solo in primo grado", conclude Roberto De Vita”. Sarebbe interessante capire cosa intende il difensore per “prove segrete”. L’Ufficiale è stato arrestato in flagranza di reato mentre consegnava documenti segreti a funzionari russi. A questo punto posso ipotizzare che la difesa, allo scopo di far valutare alla Corte l'effettiva importanza di quei documenti ai fini della rilevanza della condotta, abbia chiesto, inutilmente, di svelarne il contenuto ma abbia ottenuto un diniego motivato dal segreto di Stato.
  4. Rostro

    la spia italiana

    Il principio del libero convincimento del giudice nel valutare le prove, peraltro già limitato dall’obbligo di motivazione delle sentenze, può portare ad esiti differenti o addirittura opposti. Ecco perché il nostro sistema giudiziario prevede generalmente tre gradi di giudizio. Questa forma di discrezionalità, direi inevitabile negli esseri umani, viene in tal modo temperata per garantire che il margine di errore sia il più limitato possibile. Il nostro ordinamento prevede, inoltre, la possibilità di correggere eventuali errori sfuggiti a tale sistema di garanzie attraverso un ulteriore grado di giudizio straordinario: la revisione della sentenza di condanna (art. 630 cod.proc.pen.). A titolo di esempio, tra i casi previsti da questo articolo, la revisione può essere chiesta qualora, dopo l’irrevocabilità della sentenza, emergano prove nuove che dimostrino l’innocenza del condannato (il caso dell’omicidio plurimo di Erba per il quale i due imputati furono condannati all’ergastolo ne è il caso più recente avendo i loro legali presentato istanza di revisione, condivisa anche dal Procuratore generale, che verrà discussa il prossimo marzo presso la Corte di Appello di Brescia).
  5. Rostro

    la spia italiana

    Da quanto letto nelle notizie riportate nel link posso ipotizzare che la Procura ordinaria abbia contestato all’Ufficiale i reati previsti dagli articoli 257 e 319 del codice penale. L’art. 257 si intitola “Spionaggio politico o militare” e prevede la pena non inferiore ad anni quindici di reclusione L’art. 319 riguarda il reato di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e prevede la pena da quattro ad otto anni di reclusione. La pena richiesta dal Pubblico Ministero potrebbe derivare da un calcolo ragionato che, tenuto conto delle pene previste per i due suddetti reati, sia giunta al totale complessivo di 18 anni di reclusione. Mentre il processo ordinario non si è ancora concluso, il Tribunale militare ha invece già giudicato in primo grado l’Ufficiale per una serie di reati militari che, sempre dalla lettura del medesimo link, dovrebbero essere i seguenti: art. 86 Rivelazione di segreti militari, a scopo di spionaggio; art. 88 Procacciamento di notizie segrete, a scopo di spionaggio; art. 89 bis Esecuzione di disegni, introduzione in luoghi di interesse militare a scopo di spionaggio; art. 93 Procacciamento o rivelazione di notizie di carattere riservato e art. 94 Comunicazione all'estero di notizie non segrete nè riservate -del codice penale militare di pace. Reati tutti estremamente gravi tant’è che il Pubblico ministero militare aveva chiesto l’ergastolo (previsto come pena dal primo di tali reati). Il Tribunale militare ha invece ritenuto di condannare l’Ufficiale alla pena complessiva di “soli” 30 anni di reclusione. Detto questo, e rifacendomi a quanto avevo già scritto nel mio precedente post, le due giurisdizioni, quella ordinaria e quella militare hanno ritenuto di procedere separatamente non ravvisando, almeno sino ad ora, una connessione tra i reati contestati all’Ufficiale che giustificasse la riunione dei due procedimenti. Ciò significa che si può ragionevolmente prevedere l’ipotesi di due giudicati, uno ordinario ed uno militare, che in teoria potrebbero anche porsi in contrasto tra loro (tanto per intenderci, assoluzione per uno e condanna per l’altro). Comunque, entrambe le sentenze potranno essere impugnate davanti alla Corte di Appello (rispettivamente ordinaria e Militare) il cui giudizio potrà a sua volta essere impugnato con ricorso in Cassazione (competente per entrambe le giurisdizioni, ordinaria e militare). Qualora si arrivasse a due sentenze di condanna entrambe irrevocabili (cioè esauriti tutti i gradi di giudizio previsti), nel momento in cui le pene saranno messe in esecuzione la Procura competente (quella ordinaria per entrambe le pene) emetterà un provvedimento di esecuzione pene concorrenti (previsto dagli artt. 663 e 665 cod.proc.pen.) nel quale la pena complessiva (derivante dalla somma di quella ordinaria e di quella militare) non potrà superare i trenta anni di reclusione dovendo applicarsi il criterio moderatore previsto dall’art. 78 del codice penale. Con ciò spero di aver sciolto alcuni dubbi e perplessità di alcuni di voi, compreso quello che, in caso di condanna irrevocabile, l’Ufficiale dovrà restare ospite delle patrie galere per un lungo periodo di tempo, sicuramente molto superiore ai quattro, cinque anni paventati da qualcuno.
  6. Rostro

    Quiz: Indovina Il Personaggio

    E’ proprio lui. Nato a Chambéry, entrò nella Regia Scuola di Marina di Genova dalla quale uscì guardiamarina di 2ª classe nel 1846. Nel giugno 1860, in seguito alla cessione della Savoia alla Francia entrò a far parte della marina imperiale francese. Nell'aprile 1861 si dimise dalla marina francese e fu riammesso nella marina italiana. Nel 1865 prese il comando della pirocorvetta "Magenta" con la quale effettuò la prima circumnavigazione del globo (a vela) ad opera di una nave militare italiana. A te la mano
  7. Rostro

    Quiz: Indovina Il Personaggio

    A distanza di due settimane ancora calma piatta… Provo a soffiare un “refolo di vento” che dia lo spunto per un tentativo di individuazione: Il nostro personaggio fece parte di due Marine e fu protagonista della prima circumnavigazione del globo ad opera di una nave militare italiana.
  8. Rostro

    Quiz: Indovina Il Personaggio

    Ecco il nuovo personaggio Non dovrebbe essere difficile
  9. Rostro

    Quiz: Indovina Il Personaggio

    Assomiglia ad un giovane Sergio Nesi ma non era sommergibilista e non mi risulta che fu coinvolto nella progettata missione dei minisommergibili su New York. Pertanto direi Eugenio Massano.
  10. Rostro

    Mostra Visentini al MOSA di Taranto

    Sono andato a vedere la mostra al MO.S.A. e sono rimasto piacevolmente sorpreso dal fatto che c'era tanta gente. La mostra si è tenuta all'interno di un rifugio antiaereo recentemente ristrutturato che ha reso ancor più suggestiva la vista dei reperti donati dai famigliari all'Associazione "Unione degli Istriani" (i fratelli erano nativi di Parenzo) che li ha catalogati con cura ed esposti con targhette identificative. Nonostante gli spazi ridotti del rifugio avessero persino creato una fila fuori, dove caldo estivo e sole cocente avrebbero scoraggiato chiunque, appassionati ma anche famiglie con figli di varie età non hanno voluto perdere questa occasione per conoscere da vicino i fratelli Visintini ed il significato del loro sacrificio. Ecco alcune foto che ho scattato: L'ingresso del rifugio antiaereo
  11. Oggi 22 maggio ricorre il 136° anniversario dell'inaugurazione del ponte girevole di Taranto, uno dei monumenti simbolo della città dei due mari. Proprio il 22 maggio 1887, infatti, il ponte girevole fu inaugurato nella sua prima versione con il nome di ponte Umberto Cataldo in onore del sovrano e del santo patrono della città. Nel 1958 fu sostituito dall'attuale ponte san Francesco di Paola. (se ne è parlato qui https://www.betasom.it/forum/index.php?/topic/48609-altre-curiosità-sul-canale-e-sul-ponte-girevole-di-taranto/ ) Quel primo ponte, “ardita opera di nazionale industria”, come ci ricorda la lapide murata sulla spalla sul lato città vecchia, avrebbe unito le due sponde del canale che era stato nel frattempo completato il 14 aprile 1886 dopo tre anni dall’inizio dei lavori. Non era stata impresa facile. Si era dovuto mettere in secco il vecchio fosso e sacrificare il ponte in muratura di porta Lecce a suo tempo fatto costruire da Ferdinando I di Borbone. Come se non bastasse la città era stata colpita dall'alluvione del 14 settembre 1883 che aveva complicato ancor di più le cose. Alla fine però le ture che avevano chiuso il canale per consentire i lavori furono rimosse e il passaggio dell'acqua colmò in circa dodici ore l'antico fossato, dando così inizio alla storia del "Canale navigabile" di Taranto. Dopo pochi anni dal suo completamento però si manifestarono alcuni seri problemi. Beninteso, il Genio militare aveva svolto con grande perizia il proprio lavoro grazie all’ingegno ed alle capacità del capitano Giuseppe Messina. Il Comune, però, aveva trascurato la manutenzione delle aree di sua pertinenza che sovrastavano le opere militari. Nel 1897 comparvero alcune preoccupanti lesioni nel grosso muro di contenimento del tratto nord del canale che, alla fine dell’anno 1899, si aggravarono a seguito di un ulteriore cedimento dello stesso muro attiguo al ponte girevole. Si procedette così a tamponare le lesioni e a rinforzare i muri di sponda le cui basi furono allargate e fatte poggiare su “palificate”. Ma cosa aveva prodotto quelle lesioni in una struttura che avrebbe dovuto assicurare una solidità a tutta prova? Qual è quell’elemento senza il quale non ci sarebbe vita sulla terra ma che allo stesso tempo è capace di provocare spaventosi disastri? L’acqua, che con stillicidio lento ed inesorabile, in modo subdolo e nascosto riesce ad infiltrarsi in ogni piccola crepa o anfratto, agendo indisturbata fino a compromettere la resistenza di strutture apparentemente indistruttibili. Subito verrebbe da pensare che fosse stata l’acqua di mare nel canale a compromettere dal basso la stabilità delle sponde. E invece no. Fu l’acqua piovana che, infiltrandosi dall’alto, aveva infradiciato le strutture fino a farle sgretolare. La Marina intervenne rappezzando alla meglio le sponde ma di più non poteva fare. I lavori necessari per risolvere alla radice il problema competevano all’Amministrazione comunale perché l’area al di sopra di quelle opere militari era di sua pertinenza. Venne pertanto stipulata una convenzione secondo la quale il Comune avrebbe dovuto occuparsi della manutenzione delle aree soprastanti le strutture militari del canale navigabile vicino al ponte allo scopo di far cessare le infiltrazioni di acque piovane che avevano determinato le lesioni ed il crollo del grande muro di sostegno. Il Comune, però, o sottovalutò il problema o, come spesso accade, non ritenendolo urgente ne rimandò la soluzione in attesa di tempi migliori. Ciò innescò un lungo contenzioso legale che in entrambe le fasi di giudizio vide il Genio prevalere sull’Amministrazione comunale. Alla fine la vertenza fu composta bonariamente con i buoni Uffici della Prefettura di Lecce. Ma l’Amministrazione comunale continuò a temporeggiare fino a che il mattino del 29 ottobre 1904 l’alto muro di sostegno crollò per un tratto lungo 55 metri, trascinando con sé nel canale l’antistante banchina. Il relativo muro di sponda divenne talmente pericolante che fu necessario demolirlo parzialmente. I lavori di ripristino furono complessi. L’allora direttore del Genio di Taranto, Colonnello ingegnere Vincenzo Monaco, predispose un progetto che prevedeva l‘impiego di cassoni a perdere ad aria compressa lunghi dai 12 ai 15 metri e larghi da 3,60 a 5,50 e spinti alla profondità di 8.13 m. dal livello medio del mare per raggiungere il banco di argilla resistente. I lavori vennero affidati alla Ditta fratelli Borini di Torino. Il Colonnello Monaco La costruzione delle fondazioni del muro di sponda del canale navigabile di Taranto su progetto del Colonnello Monaco fu tra le prime applicazioni in Italia della moderna tecnica dei cassoni pneumatici a perdere. Prima dei lavori nel canale l’Ufficiale si era scrupolosamente documentato sulla costruzione del Ponte Cavour sul Tevere a Roma nell’anno 1905, a cura dell’Impresa Vitali che aveva adottato la stessa innovativa tecnica costruttiva. Per concludere va detto che i muri di sponda del canale sono oggetto di lavori di manutenzione anche in quest’ultimo periodo. Il tempo passa, la struttura invecchia ed è soggetta ad un continuo e scrupoloso monitoraggio. Tuttavia, grazie alla perizia dei suoi progettisti, di coloro che li hanno degnamente seguiti nelle opere di ristrutturazione e consolidamento, e delle maestranze impegnate nei lavori, continua a svolgere con efficienza il suo compito donando a cittadini e turisti la possibilità di godere di una delle passeggiate più suggestive al mondo.
  12. Rostro

    Licio Visintini: La Sua Corrispondenza

    Ricordo a tutti che il prossimo 2 giugno 2023, organizzato dalla Mostra Storica dell'Arsenale di Taranto (MO.S.A.), vi sarà all'interno di un Bunker ristrutturato nell'Arsenale di Taranto un'esposizione di cimeli dei fratelli Visintini. L'ingresso sarà libero dalle ore 10,00 alle ore 19,00 senza prenotazione. https://www.betasom.it/forum/index.php?/topic/48727-mostra-visentini-al-mosa-di-taranto/&tab=comments#comment-537318 Lo stesso giorno si terrà sempre in Arsenale nelle sale del MO.S.A. una mostra fotografica curata dal prof. Oreste Serrano (Presidente dell'Associazione Treni Storici Puglia) su "Il sistema dei trasporti di Marinarsen Taranto dal vapore al motore termico 1884 - 2023. Anche in questo caso ingresso libero dalle ore 10,00 alle ore 19,00 senza prenotazione.
  13. Rostro

    Quiz: Indovina Il Personaggio

    Un'unità della Marina militare statunitense porta il nome della trasvolatrice Amelia Earhart ma non è un battello… E' una nave appoggio, progettata per il trasporto di munizioni, cibo, rifornimenti, carburante etc. per le unità navali statunitensi e degli alleati Continuiamo la ricerca...
  14. Rostro

    Quiz: Indovina Il Personaggio

    Giusto. E' Giuseppe Pisanelli. Delle vicende politiche e delle fasi salienti relative alla nascita dell'Arsenale di Taranto ho parlato qui: https://www.betasom.it/forum/index.php?/topic/48207-il-vinzaglio-nella-cruna-dellago/ e qui https://www.betasom.it/forum/index.php?/topic/48634-la-travagliata-nascita-dellarsenale-di-taranto/ A te il giuoco Massimiliano
  15. In un precedente post https://www.betasom.it/forum/index.php?/topic/48207-il-vinzaglio-nella-cruna-dellago/ avevo raccontato le fasi salienti della nascita dell’Arsenale Militare Marittimo di Taranto. Avevo però lasciato in sospeso il racconto delle vicende e dei retroscena politici dai quali era maturata la sua nascita travagliata. Riprendo qui il discorso cercando di riassumere in modo esauriente quella lunga gestazione durata più di vent’anni. Di Taranto come sede di una base navale e di un Arsenale dipartimentale si cominciò a parlare nel 1861 grazie ad una breve ma incisiva pubblicazione dell’allora deputato tarantino Cataldo Nitti: “Il porto di Taranto nelle future condizioni dell’Italia “. Cataldo Nitti In essa veniva sottolineata l’eccellente posizione geografica di Taranto, proprio al centro del Mediterraneo, dove lo scenario geopolitico che si andava delineando imponeva all’Italia di disporre di una forte stazione navale nel sud della penisola per assumere il controllo di ogni movimento su quei mari. Le argomentazioni del Nitti trovarono ampia risonanza non solo negli ambienti dei notabili tarantini ma anche a Napoli dove furono riprese con molto interesse dal quotidiano l’Indipendente fondato da Alessandro Dumas dopo l’entrata di Garibaldi nella città partenopea. Uscirono in proposito articoli entusiastici sull’avvenire militare e commerciale di Taranto che riflettevano, all’indomani dell’unità d’Italia, un ambiente ancora tutto permeato di amor patrio in cui le considerazioni erano basate sul sentimento di grandezza nazionale piuttosto che sugli interessi di campanile. Una situazione destinata a mutare in fretta. L’importanza della questione non sfuggì alla Commissione permanente per la difesa dello Stato, istituita nel 1862, che nella seduta del 4 aprile di quello stesso anno affermò in una sua relazione che la baia di Taranto, per caratteristiche fisiche e geografiche, era destinata ad avere una grande importanza come piazza marittima militare e come cantiere di costruzioni navali. Ciò spinse il Governo nel 1863 ad inviare a Taranto in missione esplorativa il Capitano del genio militare Giuseppe Bifezzi con l’incarico di redigere uno studio particolareggiato della città e dei litorali di mar Grande e di mar Piccolo. Bifezzi rappresentava in quel momento la persona più competente alla quale il Governo potesse affidarsi. Esperto cartografo del Regio Officio topografico di Napoli, Bifezzi era stato autore, durante il periodo borbonico, di un pregevole “Atlante corografico, statistico, storico, ed idrografico del regno delle Due Sicilie, diviso ne'dominii al di quà ed al di là del Faro”. Conosceva già molto bene, quindi, le caratteristiche del litorale tarantino e dei suoi due mari. Si trattava ora di riprenderle ed aggiornarle per capire se fosse possibile l’insediamento di una base navale e di un arsenale. Alla venuta del Bifezzi seguì l’opuscolo “I veri destini di Taranto nell’interesse d’Italia” del medico tarantino Giovanni Battista Savino che aggiunse nuovi incitamenti sull’opportunità di un grande Arsenale marittimo a Taranto. Mentre Bifezzi era impegnato a Taranto, alla Camera qualcosa cominciava a muoversi. Nella seduta del 17 dicembre 1863, durante la discussione sul bilancio per la Marina, il deputato Nino Bixio prese la parola e con toni molto decisi criticò tutto quello che secondo lui non andava, a cominciare dalla darsena di Genova da spostare al più presto e dai lavori per l’Arsenale di La Spezia che languivano per colpa dei troppi cavilli burocratici. Bixio, poi, prosegue parlando di Napoli e della necessità che la Marina abbandoni assolutamente non solo la darsena della città partenopea ma anche il cantiere di Castellammare. Si tratta, afferma, di impianti che per la loro dislocazione sono troppo esposti ad eventuali attacchi da parte di malintenzionati e perciò vanno spostati in località più sicure. Dove se non a Taranto? “Voi avete oggi la possibilità di andare a Taranto, postochè la natura vi ha dato una posizione insenata, il cui fondo è già tanto distante dai promontori estremi da potervi mettere i vostri depositi, i vostri bacini al sicuro. Se non potete far questo subito, ebbene andate almeno a Siracusa, ad Augusta, a Portoferraio, a Santo Stefano ed Orbetello che sarà tosto o tardi il vostro porto di Roma. Ma non rimanete così; scegliete un punto anche provvisorio, esposti quali siete ad una flotta nemica la quale può ad un dato punto venire a bruciare i vostri depositi, i vostri bacini. Preoccupatevi di questo, l’Italia vi darà i mezzi, ma per carità andate in qualche luogo sicuro, e fatelo in tempo.” L’intervento di Bixio raccoglie l’approvazione dell’Ammiraglio Napoleone Scrugli che afferma: “Dico che Taranto è il solo luogo”. Bixio conclude il suo intervento sottolineando che a Napoli fu lo stesso generale La Marmora a riferirgli “di non aver mai sentito un marino inglese che non fosse sorpreso di vedere che il nostro magnifico porto di Taranto fosse lasciato in dimenticanza, mentre il nostro materiale di mare fosse abbandonato al caso”. LA COMMISSIONE VALFRE’ La Commissione permanente per la difesa dello Stato dà seguito all’interessamento già mostrato per Taranto nel 1862 e sul finire del 1864 nomina una sottocommissione speciale composta da Ufficiali del Genio, di Artiglieria e della Marina presieduta dal Tenente Generale dell’esercito Leopoldo Valfrè di Bonzo. Come aveva segnalato Bixio la sottocommissione procede ad esaminare i porti dell’Italia meridionale tra i quali dovrà individuare quello più adatto per ospitare l’arsenale del 2° Dipartimento, e arriva a Taranto ai primi del 1865. L’esame dei luoghi è minuzioso e si avvale dello studio preliminare del capitano Bifezzi. Va sottolineato che in quegli anni le condizioni della Marina non erano delle migliori. Come abbiamo visto molti erano i problemi strutturali e logistici che destavano le preoccupazioni e le proteste di alcuni parlamentari. Così che anche in occasione della discussione per l’approvazione del bilancio della Marina avvenuta nel giugno 1864 venne in particolare rimarcata dal deputato Ricci la totale mancanza di bacini di carenaggio. Si trattava di un grosso problema in quanto non permetteva di fornire adeguata assistenza tecnica alle corazzate negli stabilimenti esistenti in Italia perché il governo li aveva lasciati languire privi di forniture. Gli studi che si stavano intraprendendo erano la conseguenza di questa non rosea situazione. Ne era ben consapevole il deputato tarantino Cataldo Nitti che, prima che la Commissione deliberasse, decise di spingere ulteriormente a favore della scelta di Taranto con un nuovo scritto dal titolo “Considerazioni economiche e politiche per le quali l’Italia deve accrescere le sue forze marittime onde meglio giovarsi della sua posizione nel Mediterraneo e massime nel porto di Taranto”. La relazione Valfrè, nella quale fu espressa la scelta a favore di Taranto, venne approvata dal Consiglio Superiore per la difesa dello Stato. Toccava a quel punto al ministro della Marina Diego Angioletti individuare la persona giusta a cui affidare l’incarico di redigere un progetto dettagliato degli impianti da realizzare. Domenico Chiodo, l’ingegnere militare più quotato del tempo, era già impegnato a La Spezia dove problemi burocratici stavano ritardando l’andamento dei lavori di quell’arsenale. A ciò si aggiungeva una fastidiosa malattia che in quel periodo affliggeva il generale. La scelta ricadde, pertanto, sul Capitano di Fregata Simone Pacoret di Saint Bon che si era fatto una solida esperienza di stabilimenti militari anche all’estero. Il Saint Bon scese a Taranto e, con l’aiuto del maggiore del genio Cesare Guarasci, dopo aver studiato nei particolari ogni dettaglio, elaborò il c.d. “progetto di ubicazione”, imponente e dai criteri rivoluzionari. Prevedeva ben sette bacini di carenaggio e sette scali di costruzione, oltre ad officine e magazzini per tutti i servizi navali. La caratteristica innovativa consisteva nell’aver previsto molti spazi liberi tra le varie officine, vie larghe, dritte ed alberate, una rete ferroviaria completa, gru e piani elevatori per i servizi in banchina ed un acquedotto indipendente da quello della città (la struttura, ormai abbandonata, è tuttora visibile lungo la strada che da Taranto conduce al paese di san Giorgio Ionico). Ma non è finita. Erano previsti due caserme per la Marina ed una per la fanteria di marina, da far sorgere davanti all’Arsenale, un ospedale di marina nel giardino dell’ex convento di sant’Antonio mentre l’Ammiragliato avrebbe trovato posto in quello che oggi è il Palazzo degli Uffici. Il preventivo di spesa per il complesso delle grandiose opere previste dal Saint Bon raggiungeva la cifra, allora enorme, di circa sessantacinque milioni! Quando le intenzioni del Governo di dotarsi di uno stabilimento militare marittimo anche nel sud della neonata nazione sembravano avviate a diventare operative, cominciarono i problemi. Taranto, futura protagonista di quel supporto tecnico e logistico alla Regia Marina che Cavour aveva ipotizzato prima della sua prematura scomparsa, dovette attendere altri 16 anni. Quello che di lì a poco stava per accadere avrebbe scombinato tutti i propositi di una rapida realizzazione del progetto. LA PRIMA BATTUTA DI ARRESTO Il c.d. “Progetto di ubicazione” elaborato dal Saint Bon subì la prima battuta di arresto nel 1866 quando l’Italia decise di intervenire nel conflitto tra Austria e Prussia allo scopo di ricavarne vantaggi territoriali soprattutto sul confine nord orientale della penisola. Quella guerra si rivelò invece un disastro sia politico che militare. La Marina lo ricorda dolorosamente con una sola parola: “Lissa”, una battaglia navale dal valore tattico e strategico praticamente nullo che invece di fornire la tanto richiesta vittoria clamorosa, ebbe il risultato di incidere in modo negativo, profondo e duraturo sul morale della nazione e della Marina in particolare. Durissimo fu, inoltre, il colpo che subirono le già deficitarie finanze dello Stato con la conseguenza di interrompere e ritardare progetti ed opere di apparente prossima realizzazione. Si imponeva infatti un deciso riassestamento delle finanze del Regno con consistenti economie di spesa di fronte alle enormi esigenze di uno Stato unitario di recente istituzione. Erano necessarie strade, ferrovie, scuole, ospedali, edifici e tanto altro ancora, per non parlare dell’ancora aperta questione romana che calamitava l’attenzione di tutto il Parlamento. Le già notevoli spese per il costruendo Arsenale di La Spezia suggerivano inoltre una particolare cautela amministrativa nei bilanci della Marina. La conseguenza di questa situazione poco incoraggiante fu che le progettate opere militari di Taranto vennero messe in naftalina in attesa di tempi migliori. Tuttavia, il Consiglio Superiore di Marina agli inizi del 1867 cominciò ad esaminare il progetto dell’Arsenale di Taranto. Ma un particolare era alla base di tutte le difficoltà ed i disagi: di quali somme si sarebbe potuto disporre? Su questo punto non vi fu mai la chiarezza necessaria tanto che il Consiglio Superiore di Marina ritenne opportuno, in una deliberazione adottata proprio l’ultimo giorno di quel 1867, di esprimere la necessità di studiare con attenzione la collocazione e la disposizione di stabilimenti ed edifici così da avere la possibilità in futuro di ampliarli all’occorrenza e convertire la stazione navale di Taranto in arsenale di primo ordine. Vale a dire: si cominci intanto a costruire qualcosa ma con la prospettiva di poter disporre in futuro dello spazio e delle opportunità per aggiungere altro. In parlamento si riprese a parlare di Arsenali durante la discussione dell’8 febbraio sul Bilancio della Marina per il 1868. Il deputato Eduardo D’Amico (si tratta del comandante D’Amico che era stato Capo di Stato Maggiore dell’ammiraglio Persano a Lissa) parlando dei fondi necessari per ultimare l’Arsenale della Spezia e per proseguire i lavori nell’arsenale di Venezia considerò necessario stanziare dei fondi anche per un nuovo arsenale a Taranto. Il ministro della Marina Augusto Riboty nella sua risposta annunciò di aver ordinato che si facessero studi per l’arsenale di Taranto e dichiarò: “spero di poter presentare uno schema di legge per la costruzione di questo importantissimo stabilimento marittimo, il quale, senza dubbio, riuscirà il più bello, il più sicuro e il meglio difeso di quanti ne abbiamo in Italia”. IL DEPUTATO GIUSEPPE PISANELLI In questo contesto entra in scena il deputato di Taranto Giuseppe Pisanelli. Insieme al già citato Cataldo Nitti rappresenta una delle figure di maggior rilievo in questa storia, tale da poter essere considerato il politico chiave per le future sorti di Taranto e del suo Arsenale. Giuseppe Pisanelli Nativo di Tricase, in provincia di Lecce, giurista insigne, avvocato e politico per passione, il 3 dicembre del 1868, mentre in Parlamento si discuteva un progetto di ampliamento dell’arsenale di Venezia, il cui relatore era l’onorevole Nino Bixio, Pisanelli rispolvera la questione dell’Arsenale di Taranto presentando un ordine del giorno, appoggiato calorosamente dallo stesso Bixio, con il quale veniva chiesto al Ministro della Marina Riboty di assegnare i fondi necessari per iniziare i lavori del nuovo stabilimento nella città bimare: “La Camera – diceva l’ordine del giorno – visto il bisogno di un arsenale militare e marittimo sulle coste meridionali dello Stato e la necessità di coordinare fra loro i diversi stabilimenti marittimi, invita il Ministero a presentare, all’aprirsi della prossima Sessione legislativa, un progetto di legge per la sistemazione definitiva degli arsenali marittimi dello Stato, e che assegni i fondi necessari a dare principio al nuovo arsenale di Taranto nei limiti che risulteranno necessari”. La necessità di coordinare i vari stabilimenti rappresentava, come affermava il deputato Eduardo D’Amico, un elemento basilare che avrebbe consentito di stanziare i fondi in base alle effettive esigenze, evitando opere colossali come l’arsenale di La Spezia che all’Erario era già costato 50 milioni e non era ancora terminato. L’iniziativa del Pisanelli innesca un vivace scontro parlamentare che vede tra i protagonisti più accesi i deputati napoletani preoccupati per il possibile abbandono degli stabilimenti partenopei e quelli di Siracusa interessati a far cadere la scelta della sede sulla propria città. Ciò nonostante, il 4 dicembre la Camera approva l’ordine del giorno di Pisanelli. Si tratta di una circostanza molto importante perché rappresenta il primo voto del Parlamento a favore dell’Arsenale di Taranto. Poco male se, come visto, viene dato di straforo nell’ambito di una diversa discussione, e non per iniziativa del Governo. Fu in occasione della discussione che condusse a quel voto che Bixio, fautore della necessità di sloggiare l’arsenale da Napoli e di trasferire il cantiere di Castellammare per inadeguatezza del sito ove sorgeva, pronunciò la famosa frase “Voi potete dire cento volte di non fare l’arsenale a Taranto, la natura vi risponderà sempre di sì”. Una frase ad effetto, pronunciata con evidente teatralità, che probabilmente contribuì a dare la spinta definitiva alla Camera che a grande maggioranza il 16 dicembre 1868 deliberò che “il Ministro della Marina è autorizzato a presentare una legge relativa alla costruzione di un arsenale nel mare di Taranto…” Il ministro della Marina Riboty, prima di presentare la legge, aveva inviato a Taranto il maggiore del genio Cesare Prato ordinandogli nuovi studi per l’Arsenale con la raccomandazione di ridurre sostanziosamente il megaprogetto del Saint Bon. Prato si mette al lavoro e il 26 marzo 1869 presenta un progetto per 25.500.000 di lire. Si tratta del c.d. “progetto definitivo che, approvato dal Consiglio di Marina con alcune modifiche il 10 maggio 1869, venne alla fine considerato come il piano regolatore dell’Arsenale di Taranto. In esso viene messa a frutto l’esperienza del recente conflitto che evidenziava alcune inadeguatezze dell’originario progetto di Saint Bon e la necessità di una rielaborazione anche alla luce dei progressi industriali e cantieristici che ormai influivano sulle costruzioni navali. Nel rispetto delle indicazioni di Riboty il maggiore Prato operò anche un sostanzioso ridimensionamento del progetto di Saint Bon. Niente più opere di fortificazione della rada; bacini di carenaggio e scali di costruzione ridotti entrambi a due; magazzini ed officine su un’area di 50.000 mq; una sola caserma per gli equipaggi e la fanteria di Marina per 1500 uomini; un ospedale da 400 posti letto ed una polveriera per 600.000 kg di esplosivo. SECONDA BATTUTA DI ARRESTO Ma essere giunti ad un “progetto definitivo” non basta. Nelle discussioni sul bilancio della Marina che seguirono alla Camera nel 1869 e nel 1870 venne sollevata la questione dell’inopportunità di sparpagliare i fondi disponibili tra più opere e della necessità di attendere il completamento dei lavori negli arsenali di Venezia e di La Spezia, concentrando in particolare su quest’ultimo i mezzi finanziari prima di intraprendere le opere di Taranto. Poichè la legge istitutiva dell’Arsenale di Taranto non arriva, il deputato Pisanelli nel Maggio 1871 si rifà vivo presentando un’energica interrogazione parlamentare per sollecitare il nuovo ministro della Marina Guglielmo Acton. Niente da fare. Ancora silenzio. E così il 6 giugno 1871 Pisanelli torna alla carica con una nuova interrogazione con la quale, lamentandosi della mancata presentazione della legge: “ma oramai sarebbe quasi colpa l'obliare una deliberazione che è stata presa, come dissi, quasi unanimemente dai deputati”, sottolinea che: “nelle attuali congiunture più che mai il paese desidera che sia provveduto alla difesa nazionale segnatamente delle coste marittime. Si tratta di un'opera per la quale sono compiuti gli studi né da noi si richiede che in un tratto si spenda una grande somma” (per Pisanelli l’importante era cominciare, anche con un budget ridotto; il resto sarebbe venuto in seguito). Il deputato tarantino conclude il suo intervento con la speranza che “definita la questione politica col trasporto della capitale, il Ministero non incontrerà più difficoltà per corrispondere realmente e sollecitamente al desiderio della Camera che era la espressione di quello di tutto il paese.” Il ministro Acton replica rassicurando il Pisanelli: “Tanto i miei onorevoli predecessori, quanto io, abbiamo sempre dichiarato di riconoscere la necessità che l'Italia abbia tre dipartimenti, tre centri marittimi, qualunque fossero le economie dello Stato, uno cioè nel mare Adriatico, uno nel mar Ionio e l'altro nel Mediterraneo. L'onorevole Pisanelli conosce forse gli studi a cui il Ministero fece procedere, e quelli che furono fatti anche dal compianto generale Chiodo. Non ostante dunque le strettezze dell'erario, posso assicurarlo che la deliberazione della Camera sarà eseguita.” Pisanelli ribatte con queste parole: “Sono soddisfatto di queste dichiarazioni, e prendo atto delle parole dell'onorevole ministro, sperando che egli vorrà adempire alla sua promessa” (Si ride). L’annotazione “si ride”, riportata nel resoconto stenografico della seduta si presta a qualche riflessione. Perché i parlamentari ridono alle parole finali di Pisanelli? Forse perché sono espresse in tono sarcastico, come a voler dire “abbiamo sentito tante rassicurazioni in questi anni, speriamo sia la volta buona” oppure Pisanelli è scettico e ritiene già vana la sua “speranza” di fronte ad una ennesima “promessa di marinaio”? Non lo sappiamo ma, visti i precedenti, appaiono ipotesi non improbabili. Ed infatti, nonostante le rassicurazioni del ministro, si deve attendere la fine del 1871 per vedere presentato uno schema di legge per l’inizio dei lavori dell’arsenale di Taranto. Ne è promotore Augusto Riboty che a fine Agosto di quell’anno diviene nuovamente ministro della Marina. Riboty ha idee molto chiare su quali siano le necessità della Nazione in campo marittimo militare e il 20 dicembre 1871, di concerto con il ministro delle finanze Sella, presenta alla Camera un disegno di legge che assegna 6 milioni e mezzo da spendere in sei anni. Ma si procede sempre al rallentatore. Il progetto non solo è modesto ma viene portato alla pubblica discussione dopo più di un anno, nei tre giorni dal 28 al 30 aprile 1873. I pareri dei vari deputati impegnati nella discussione si scontrano sull’opportunità di costruire un terzo arsenale, giudicato superfluo data la consistenza della flotta. Anche la scelta della rada di santa Lucia dove ubicare le strutture viene contestata mentre altri sottolineano, invece, la necessità politica, militare, marittima ed economica in base alla quale occorrerà comunque provvedere malgrado qualsiasi opposizione. La Commissione parlamentare che esamina il progetto, relatore l’on. Eduardo D’Amico, trova insufficiente la proposta del Ministero. Viene pertanto opposto un contro progetto che eleva la spesa a 23 milioni in 10 anni tenendo conto di un ricavo di 10 milioni dalla vendita dell’Arsenale di Napoli e del Cantiere di Castellammare di Stabia. Che fa il Ministero della Marina? Considerandolo troppo oneroso respinge il contro progetto che però viene ugualmente messo ai voti con il risultato che, superate le forti resistenze del ministro delle Finanze Quintino Sella, viene approvato dalla Camera a grande maggioranza. Dietro tale voto non è difficile scorgere strategie politiche tese a far cadere il Governo ed infatti il giorno dopo, 1° maggio, il Presidente del Consiglio dei Ministri on. Lanza annuncia di aver presentato al Re le dimissioni del suo gabinetto “perché il voto approvato per l’Arsenale di Taranto aggravava troppo le finanze dello Stato”. Il Ministero, si disse, era naufragato nel mar piccolo di Taranto. La discussione alla Camera di quel progetto rappresentò un distillato di machiavellismo politico. La deputazione napoletana, in gran parte di sinistra, apparsa favorevole alla proposta della Commissione D’Amico (anche se così facendo avrebbe compromesso gli interessi di Napoli) in realtà sperava di allontanare Pisanelli ed i suoi amici dal Ministero innescando così la crisi. (Il deputato tarantino, invece, come abbiamo visto, era favorevole anche ad uno stanziamento esiguo e non si prestò al gioco). Alle manovre della sinistra si aggiunse l’opposizione della città di Napoli che, tuttavia, si limitò ad una timida petizione con cui quel Consiglio Comunale chiedeva alla Camera: “che fosse dichiarato per legge che la soppressione dell’Arsenale marittimo di Napoli non seguisse nel fatto, se non prima fosse stato compiuto in tutte le sue parti l’Arsenale marittimo di Taranto”. L’INCARICO DI FORMARE IL NUOVO GOVERNO La situazione per Taranto ed il suo Arsenale sembra tornare in stallo ma il tenace Pisanelli rimane protagonista della scena. Le dimissioni di Lanza inducono il re a convocarlo al Quirinale per affidargli l’incarico di formare un nuovo governo. Pisanelli si trova in imbarazzo. E’ un galantuomo d’altri tempi e, pur con la comprensibile difficoltà che gli provoca esprimere un rifiuto al sovrano, risponde che in quanto deputato di Taranto e causa diretta della crisi, ritiene di non poter accettare l’incarico. Non solo, suggerisce di affidarlo nuovamente al Lanza. Il re accetta le argomentazioni del deputato tarantino ed il suo cavalleresco suggerimento. Lanza riceve nuovamente l’incarico e il 5 maggio 1873 si ripresenta alle Camere ottenendone la fiducia dopo aver dichiarato che avrebbe ritirato il progetto dell’Arsenale di Taranto che era i discussione promettendo di presentarne a breve un altro.. Il 17 maggio il ministro della marina Riboty presenta quindi il progetto di legge rivolgendosi così alla Camera: “In relazione all'impegno preso dal Governo, in unione al mio collega il ministro delle finanze, ho l'onore di presentare alla Camera il progetto di legge che autorizza il Governo a dar principio ai lavori dell'arsenale marittimo a Taranto”. Anche in questo caso il resoconto stenografico della seduta riporta “Viva ilarità a sinistra”. Questo fa pensare che molti non avessero intenzione di prendere sul serio la questione dell’Arsenale a Taranto. Tant’è che viene nuovamente accantonata. Verrà riportata alla Camera circa un anno dopo, il 27 marzo 1874, dal nuovo ministro della Marina Simone Pacoret di Saint Bon. Essendo l’autore del primo grandioso progetto si presumeva che dovesse esserne accanito sostenitore ed invece ripresenta il precedente schema di legge presentato da Riboty il 17 maggio 1873. La chiusura della sessione, tuttavia, ne impedì la discussione. La nuova proposta aveva però una particolare caratteristica che la differenziava dall’altra: l’ubicazione del canale di comunicazione tra il mare piccolo ed il mare grande di Taranto da aprirsi sul versante di porta Lecce e non più su quello di porta Napoli. Tutto definito, quindi. Macchè. Nonostante i lavori da autorizzare corrispondessero al piano regolatore già stabilito per questo arsenale e gli uffici della Camera avessero esaminato il progetto di legge nominando i rispettivi commissari, nella Commissione sorsero diverse obbiezioni sulla proposta ministeriale, specialmente dal punto di vista della spesa. Avvicinandosi, poi, nel giugno del 1874 le ferie parlamentari, durante le quali era prevedibile lo scioglimento della Camera, l’onorevole Nicotera domandò nella seduta del 3 giugno che durante le medesime la Presidenza fosse autorizzata a ricevere la relazione sul progetto di legge per l’Arsenale di Taranto, confidando nello zelo del relatore per compiere questo lavoro. Però la relazione non fu mai presentata. Il relatore, onorevole Fano, approfittò dello scioglimento della Camera per esimersi dall’incarico ricevuto. Ciò nonostante Saint Bon non si ferma e nel frattempo fa completare gli studi ed i progetti esecutivi del canale navigabile e del ponte girevole. Il canale navigabile in origine (1865) era stato progettato come un modesto passaggio di trenta metri di larghezza. Il Consiglio Superiore di Marina in una sua relazione del 26 febbraio 1874 aveva in seguito osservato che questo era “l’ingresso ad un porto militare” e pertanto doveva essere di dimensioni tali da permettere “il libero e pronto ingresso sotto vapore alle più grosse navi da guerra”. La sua larghezza minima venne quindi portata a sessanta metri. Ma in quegli otto anni che erano trascorsi molte cose erano cambiate nella fisionomia urbana di Taranto. Il piano regolatore nel frattempo intervenuto prevedeva l’espansione della città oltre i limiti dell’isola (l’attuale città vecchia) ed erano quindi cominciati a sorgere alcuni palazzi al di là del fosso. Nel rettificare il tracciato e nel delimitare le sponde del canale ci si accorse, pertanto, che era necessario demolire non solo l’ultima torre settentrionale del castello, quella di Sant’Angelo, ma anche tutti e tre le torri del vecchio muro civico che affacciava sul fosso stesso, quelle di mater Dei, della Monacella e del Vasto. Ma tutto si blocca un’altra volta e non certo per un improvviso ravvedimento archeologico-culturale. Il testo del progetto, infatti, venne ripresentato il 21 gennaio 1875 ma con un preventivo di spesa davvero modesto: 5 milioni di lire suddivisi in sette anni. Il Presidente del Consiglio Minghetti lo giustificò con la scarsa disponibilità finanziaria dovuta all’enorme esborso per l’Arsenale di La Spezia arrivato fino a quel momento a 54 milioni. A Taranto, pertanto, non si sarebbe costruito un arsenale ma solo una stazione di ricovero in caso di guerra. Le prospettive di qualche anno prima si infrangevano miseramente ancora una volta su questioni di bilancio. Comunque anche questo progetto non giunse in porto e dell’Arsenale a Taranto si smise di parlare. La sinistra, infatti, era salita al potere e con l’aumentata influenza dei deputati napoletani l’attenzione sulla base marittima nella città dei due mari scemò del tutto malgrado gli sforzi dei deputati tarantini Carbonelli e Santa Croce succeduti al Pisanelli. L’ASTUZIA DI ACTON Occorre attendere il dicembre del 1880 quando il nuovo ministro della Marina ammiraglio Ferdinando Acton presenta una legge che, fissando l’ordinamento degli Arsenali dello Stato, riporta a galla la vecchia idea di Nino Bixio di trasferire il 2° Dipartimento da Napoli a Taranto, non appena i lavori fossero giunti ad un punto tale da poterveli stabilire, destinando un milione e trecentomila lire per avviarli. E’ il fiammifero che riaccende il fermento nella città di Taranto. Ad alimentarlo è ancora Cataldo Nitti, il precursore di tutto questo travagliatissimo iter. Il 6 febbraio 1881, divenuto senatore del Regno, consapevole della necessità di creare un movimento di opinione cittadina che sollecitasse la discussione del progetto di legge presentato alla Camera, tiene un appassionato comizio in cui arringa la folla dei Tarantini intervenuti. Ma deve trascorrere ancora più di un anno prima che il 27 maggio 1882 la legge venga discussa in Parlamento. Tempo necessario per cercare una soluzione al problema che avrebbe rappresentato un ostacolo insormontabile per la sua approvazione. L’opinione pubblica napoletana ed i suoi rappresentanti in Parlamento, visti i precedenti, mai avrebbero accettato un testo che, spostando la sede del 2° Dipartimento a Taranto, dove sarebbe sorto il nuovo arsenale, e sopprimendo i cantieri di Castellammare, avrebbe non solo azzerato l’importanza militare e strategica del capoluogo campano, offuscandone il prestigio a livello nazionale, ma avrebbe anche creato una grave crisi occupazionale in tutta l’area partenopea. D’altro canto la costruzione di un nuovo arsenale a Taranto con il passare degli anni (e ne erano trascorsi già più di venti da quando se ne era cominciato a parlare) era diventata un’esigenza primaria per il governo alla quale non si poteva più derogare. Occorreva mediare in qualche modo. Ecco, allora, che il testo originario presentato dal Ministro Acton ne esce completamente trasformato, per così dire edulcorato, allo scopo di prevenire la fiera opposizione dei deputati napoletani. Come detto, la legge in discussione riguarda l’ordinamento degli Arsenali. Come fare, allora, perché tra questi venga preso in considerazione anche l’arsenale di Taranto senza prevederne la formale istituzione? Con un sapiente giuoco di prestigio. Dall’originario progetto di legge vengono ritirati gli articoli 1, 6 e 7, che ne prevedevano l’istituzione formale ed il trasferimento della sede del 2° Dipartimento da Napoli a Taranto. Così facendo, però, nell’ambito di una generale previsione di stanziamenti per nuove costruzioni da eseguirsi negli arsenali di La Spezia e di Venezia, nel testo della legge compare a sorpresa l’art. 3 con la seguente previsione: “Per il primo impianto del nuovo arsenale di Taranto verranno eseguite le seguenti opere: 1. Il canale di comunicazione fra la rada ed il mar piccolo a levante della città; 2. Un bacino da raddobbo capace di ricevere le più grandi navi da guerra; 3. Uno scalo di costruzione; 4. Le officine occorrenti pel bacino e lo scalo; un magazzino pel deposito di carbone, un magazzino per i viveri e due grandi cisterne d'acqua; 5. Una gru idraulica di 160 tonnellate. Le dette opere saranno coordinate al piano generale dell'arsenale approvato dalla deliberazione 10 maggio 1869 del Consiglio superiore di Marina con intervento di membri del Comitato del Genio militare” (Si trattava del c.d. “progetto definitivo” dell’Ing. Prato). Nel testo di legge, quindi, si parla di "opere da eseguire per il primo impianto dell’arsenale di Taranto", come se l’istituzione di quest’ultimo fosse stata già prevista. In realtà, come abbiamo visto, gli articoli che la prevedevano erano stati cassati. Uno stratagemma che dava per esistente ciò che non avrebbe dovuto esistere. Ma, se il fine giustifica i mezzi, questo illusionismo legislativo fu un colpo di genio che sanciva qualcosa che fino ad allora non vi era stato verso di far passare in alcun modo. Finanziare le opere, descrivendole accuratamente nell’art. 3 della legge, per costruire un arsenale la cui istituzione non era stata formalmente sancita fu un classico esempio di quello straordinario equilibrismo legislativo di cui, in determinate circostanze, sono capaci i governanti più smaliziati. Si compie in tal modo quell’opera di dissimulazione che avrebbe, da un lato, tacitato le proteste napoletane e, dall’altro, assecondato le esigenze strategiche della Nazione e le aspettative dei Tarantini. Un’impresa che suscitò l’approvazione del deputato di Lecce Gaetano Brunetti che durante il dibattito tenutosi alla Camera apprezzò con convinzione l’iniziativa del ministro Acton del quale “ammirava la prudenza ed il suo ardente desiderio di condurre in porto un disegno che subì in vent’anni tanti disinganni”. La decisione fu quindi condivisa da tutti i deputati. Anche di quelli napoletani? Si anche di loro che, avallando la “prudenza” normativa di Acton, evitarono le rimostranze del proprio elettorato di fronte ad un testo di legge che, diversamente, sarebbe stato giudicato inaccettabile. Napoli, quindi, non solo restava sede del 2° Dipartimento ma conservava anche il proprio arsenale ed i cantieri di Castellammare (cantieri, occorre ricordarlo, nei quali furono poi varate negli anni ’30 le navi scuola Vespucci e Colombo…) Relatore del progetto di legge fu il deputato Galeazzo Giacomo Maria Maldini che nella sua esposizione sintetizzò il percorso tortuoso e difficile del progetto, deplorando “che nel nostro paese le questioni marittime, così importanti per noi, possano essere spesso esaminate sotto un solo punto di vista, quello dell’aggravio dell’erario pubblico.” Ma non fu solo quella la causa, come abbiamo visto. Forse il deputato Maldini ritenne che sarebbe stato sconveniente far cenno ad altro… Con la pubblicazione della legge n. 833 del 29 giugno 1882 sulla Gazzetta Ufficiale del Regno n. 160 del 10 luglio 1882 ebbe così finalmente termine la lunga gestazione politica dell’Arsenale di Taranto. Gli studi ed i progetti susseguitisi negli anni potevano finalmente passare nel campo pratico. Si inaugurava così un nuovo periodo nella storia dello stabilimento, un’opera dal grande rilievo militare e strategico che avrebbe cambiato la fisionomia e la vita economica e sociale dell’intera città dei due mari. La contropartita, amara e duratura, fu lo sconvolgimento di una delle zone naturali più belle di Taranto, la baia di santa Lucia. Negli anni a venire, inoltre, il c.d. “muraglione” di cinta avrebbe nascosto la vista di quel tratto di costa negando ai cittadini anche un semplice e fugace sguardo. Il "Muraglione" di cinta dell'Arsenale di Taranto
  16. Rostro

    Quiz: Indovina Il Personaggio

    Sembra che ci siamo arenati... un piccolo aiuto: il solido contributo dato dal nostro personaggio riguarda una piazzaforte marittima del sud Italia
  17. Forse non tutti sanno che sul margine nord di ciascuna delle spalle che reggono i due bracci del ponte girevole di Taranto sono apposte queste due lapidi commemorative Lato città vecchia: la lapide si vede a destra sul margine alto della spalla Lato città nuova: qui la lapide si vede a sinistra sul margine alto della spalla La prima delle due lapidi, che ha una scritta un po' più leggibile, venne scoperta il giorno dell’inaugurazione del ponte girevole il 22 maggio 1887 al termine di una cerimonia che nelle cronache dei giornali risentì dell’accesa polemica politica di quei giorni. Alla cerimonia di inaugurazione erano state invitate numerose Autorità politiche, civili e militari che per l'occasione si concentrarono nella piazza del Municipio (l'attuale piazza Castello - n.d.r.). E le Autorità religiose? In quel periodo la massima autorità religiosa presente a Taranto era l'Arcivescovo Pietro Alfonso Jorio il quale avrebbe dovuto impartire la benedizione al ponte. Nei giorni precedenti, però, la presenza del presule e la benedizione del ponte avevano innescato una vivace polemica. Massoni ed anticlericali, infatti, non avevano gradito né la partecipazione dell'Arcivescovo e, tantomeno, la benedizione. Di conseguenza l'invito a mons. Jorio era rimasto in sospeso sino all'ultimo. Gli pervenne solo la sera prima, pare su pressione dell'Ammiraglio Acton il quale, paventando un grave incidente diplomatico con la Chiesa, aveva minacciato che, in assenza dell'alto prelato, neanche lui avrebbe preso parte alla cerimonia. Mons. Jorio non perse occasione per togliersi il sassolino dalla scarpa facendo una domanda in apparenza innocente: "Che nome darete al ponte? - Umberto, gli fu risposto, in omaggio al Re. "E io ci aggiungerò il nome Cataldo, in omaggio al santo Patrono; il trono e l'altare. Ma battezzare un ponte poco c'entrava con quel sacramento cristiano, rivolto alle persone e non alle cose. Il gesto polemico di mons. Jorio, probabilmente, volle sottolineare l'importanza del suo ruolo di rappresentante della Chiesa in quella solenne occasione . Ma torniamo alla cerimonia. Il sindaco Sebastio, insieme alla giunta comunale, scese dal Palazzo municipale alle 10,35 e, preceduto dalla banda della Marina Militare, si incamminò lungo il pendio La Riccia seguito dal numeroso corteo. Il Pendio La Riccia (dal nome di una delle famiglie più in vista della Taranto di un tempo, che dette due sindaci alla città) Attraversò per l’ultima volta la passerella provvisoria di collegamento tra le due sponde del canale e giunse sul lato orientale. Qui venne accolto dagli onorevoli Pietro D’Ayala e Alfonso Pignatelli, dai senatori Nitti e Schiavoni e dal nutrito gruppo di Ufficiali del genio militare che, a vario titolo, avevano avuto un ruolo nella realizzazione dell’opera: i generali Guarasci e Prato, il maggiore Cugini, il capitano Micheluccini ed il direttore dei lavori capitano Giuseppe Messina. Alle ore 10,45, a bordo di una lancia a vapore, giunse anche il vice ammiraglio Ferdinando Acton in rappresentanza del Ministro della Marina, Generale Benedetto Brin. Mentre l’Ammiraglio e le altre autorità salivano verso l’imboccatura del ponte, sfilando davanti ad una grande folla che intanto si era assiepata lungo il canale, dalla parte opposta (lato città vecchia) era intanto arrivato l’Arcivescovo Jorio “in pompa magna, col clero e i seminaristi”. Immaginiamo la scena: all’imboccatura di ciascun lato del ponte si trovano schierati, a mo’ di disfida, i prelati dal lato della città vecchia e le autorità civili, politiche e militari dal lato della città nuova Ne seguì un gustoso siparietto. Acton dette il segnale di chiusura del ponte. Tra gli applausi della folla i due bracci cominciarono a muoversi fino a chiudersi dopo pochi minuti con la benedizione del Vescovo. Poi Acton e Jorio, al suono della marcia reale, avanzarono dalle sponde opposte per incontrarsi esattamente nel mezzo del ponte dove l’Ammiraglio “fece un profondo inchino imitato da tutti gli altri del seguito”. Concluso il siparietto, il generale Guarasci lesse un breve discorso che concluse con un caloroso saluto all’ammiraglio Acton e con un “evviva” al Re ed alla Regina. Subito dopo il capitano Messina ordinò l’attenti e, mentre ancora risuonavano le note dell’inno reale, l’ammiraglio Acton diede il segnale per lo scoprimento della lapide. La scritta che si svelò al pubblico recita: ARDITA OPERA DI NAZIONALE INDUSTRIA QUESTO PONTE LA EDIFICAZIONE DELLO ARSENALE PER LA MARINA INIZIANDO APRIVASI AL PUBBLICO TRANSITO IL XXII MAGGIO MDCCCLXXXVII Veniamo ora alla seconda lapide, quella sul lato della città nuova. La scritta soffre dell'ormai lungo tempo trascorso. E’ in buona parte danneggiata, scolorita e quasi illeggibile ma con un’opera di tenace ed attenta interpretazione potrebbe essere riportata così: ADDI’ XXI AGOSTO MDCCCXXXIX UMBERTO I RE D’ITALIA SULL’INCROCIATORE SAVOIA ATTRAVERSAVA QUESTO CANALE PER VISITARE LE PRIME (OPERE) DELL’ARSENALE MILITARE COMINCIATE NEL DICEMBRE MDCCCLXXII (ESEGUITE) DAL GENIO MILITARE ESSENDO (ACTON) MINISTRO DELLA MARINA Le parole che ho chiuso tra parentesi sono incerte in quanto risultano quasi o del tutto illeggibili. In particolare la parola Acton è frutto di una mia personale interpretazione basata sulle parole abbastanza chiare che seguono; “Ministro della Marina”. Nel dicembre 1882, infatti, Ministro della Marina era lo stesso Ammiraglio Ferdinando Acton che avrebbe poi partecipato cinque anni dopo all’inaugurazione del canale e del ponte girevole. Diversamente dall’altra (per la quale ho attinto notizie in particolare dal volume "Il ponte girevole di Taranto" - autore Giovanni Acquaviva - Edizioni Archita -), di questa frase e delle circostanze riguardanti l’apposizione della lapide non ho trovato traccia nei numerosi testi e articoli che ho consultato. Per cui saranno ben accolte eventuali ulteriori notizie al riguardo, come anche possibili diverse interpretazioni delle parole incerte che ho segnalato. Quello che comunque mi è apparso assai interessante in quella scritta è la frase riportata nel quarto rigo: “per visitare le prime opere dell’arsenale militare”. Perchè interessante? Perché rappresenta un documento di ciò che avevo riportato anche in un mio precedente post a proposito della nascita “clandestina” dell’Arsenale https://www.betasom.it/forum/index.php?/topic/48207-il-vinzaglio-nella-cruna-dellago/. Nella data del XXI Agosto 1889, ricordata negli annali della città come quella dell'inaugurazione ufficiale dello stabilimento, il Re, recatosi Taranto per la prima volta, non fece alcuna inaugurazione (che in effetti non c'è mai stata) ma si limitò a visitare lo stato dei lavori dell'Arsenale ancora in costruzione. Arrivando ai giorni nostri, è giusto segnalare che negli ultimi mesi del 2023 la Marina procederà ad effettuare gli ormai necessari lavori di ristrutturazione del ponte che, ricordiamolo, avrà raggiunto la veneranda età di 65 anni (quello attuale, inaugurato il 10 marzo 1958 ed intitolato a San Francesco di Paola ha, infatti, sostituito il ponte originario del 1887). In occasione di tali lavori i due bracci del ponte saranno smontati e portati in Arsenale per ricontrollare tutte le lamiere e cambiare la parte stradale che diventerà più moderna grazie all’utilizzo di materiali ad alta tecnologia che garantiranno maggiore resistenza. Non dimentichiamo che il ponte attuale è in acciaio chiodato, caratteristica che, nonostante l’età, e pur con qualche doverosa cautela adottata da qualche tempo (autobus e mezzi pesanti possono percorrerlo solo uno per volta), continua ad assolvere regolarmente il suo compito. In conclusione mi faccio portatore di una proposta che vorrebbe essere anche un auspicio: visto che il ponte dovrà essere smontato, quale migliore occasione per riportare alla originaria chiarezza le due lapidi? Anche loro, per tornare nuovamente lustre e con le frasi ben visibili, hanno bisogno di rifarsi il trucco con una accurata pulizia ed un ritocco di colore sulle parole che vi sono incise. Rappresentano un pezzo della nostra storia e meritano di non essere abbandonate all’oblio.
  18. Rostro

    Quiz: Indovina Il Personaggio

    Grazie Per una volta ha fatto lui da bersaglio... La prossima proposta Premetto che non si tratta di un militare ma ha contribuito molto nella nascita di una famosa piazzaforte della nostra penisola
  19. Rostro

    Quiz: Indovina Il Personaggio

    Simo Hayha, detto "la morte bianca" famoso cecchino nella guerra russo/finlandese
  20. Rostro

    Duello in Adriatico?

    Milites forse dovrebbe porre un po' più di attenzione nel riportare il nome delle nostre unità (marcegaglia? longobardi?)
  21. Rostro

    Curiosità sul canale navigabile di Taranto

    Gli anfratti del Castello li ho esplorati tante volte quando ero un ragazzino e mio padre, terminato l’anno scolastico, mi portava con se quando faceva servizio al Comar. Durante le mie esplorazioni i militari di servizio, che ben mi conoscevano, mi tenevano d’occhio ma allo stesso tempo mi intrattenevano con storie e spiegazioni affascinanti. A metà mattinata, poi, arrivava l’immancabile rituale della rosetta con la mortadella a ricaricare le energie. All’epoca il castello era ancora una caserma e quegli spazi che anni di scavi e di sapienti restauri hanno ora riportato alle antiche origini, erano ancora adibiti ad uffici, camerate, cucine, mense, bar, cooperativa marinai, casermaggio, prigioni e, dove ora è la cd. sala Celestino V, anche una piccola rimessa per le due FIAT 1100 blu di servizio. Come se non bastasse, nella piccola cappella di san Leonardo ho fatto la prima comunione. Di quella cerimonia ricordo ancora oggi la penetrante suggestione ispirata dal luogo, piccolo e raccolto, dove sacro e militare si mescolavano trasmettendomi un sentimento di reverente rispetto che il cappellano militare officiante, esigente catechista nei mesi precedenti, aveva contribuito ad alimentare. Non solo di anfratti si tratta, Totiano. Di quel Castello credo di aver respirato nelle mie frequentazioni molti frammenti della storia che nei secoli lo ha caratterizzato. Il legame è così tenace che ogni tanto torno a visitarlo per aggiornarmi sulle nuove scoperte che riservano gli scavi tuttora in corso e per riaffacciarmi in quegli ambienti che, chiudendo gli occhi, rivedo pieni della vivace operosità di un tempo. La foto con il cartello d’epoca l’ho fatta proprio durante l’ultima visita un paio di settimane fa. Il “capo” che guidava il gruppo di visitatori, nel suo giro ci ha condotti dalla banchina all’interno della torre di san Lorenzo raccontando, con ricchezza e precisione di particolari, la storia dell’originario movimento del ponte che forse solo io già conoscevo. Ecco allora che, scivolato in fondo alla fila, ho potuto osservare meglio e più da vicino quel posto, custode di uno dei frammenti di storia che grazie alla Marina restano tuttora vivi ed affascinanti.
  22. Durante alcune recenti passeggiate alla scoperta (o forse dovrei dire riscoperta) della mia città mi sono imbattuto in particolari che in occasioni precedenti avevo osservato senza farmi troppe domande. Da tempo però, sarà l’età che avanza, la mia curiosità è aumentata e queste domande ho cominciato a pormele con risultati che si sono rivelati sorprendenti. IL VECCHIO PONTE DI PORTA LECCE Quando il canale navigabile ancora non esisteva Taranto era concentrata sull’isola (l’attuale città vecchia) ed era protetta a levante dal fossato del castello aragonese. La città era inoltre circondata da mura fortificate sulle quali si aprivano due porte di accesso: Porta Napoli a ponente e Porta Lecce a Levante. Uscendo da Porta Lecce un ponte in muratura a tre arcate permetteva di attraversava il fossato in direzione della città salentina. Per trasformare il vecchio fossato in canale navigabile si dovette procedere ad ingenti lavori di scavo e banchinamento che comportarono la demolizione di alcune fortificazioni della città vecchia e del ponte di Porta Lecce. Il Ponte di Porta Lecce. A destra si vede bene il ballatoio risparmiato dalla demolizione Una testimonianza di quel ponte tuttavia è rimasta. Si decise infatti di risparmiarne il ballatoio, e cioè la soglia della porta sulla quale poggiava il ponte levatoio. Quello che oggi si vede è un terrazzino che sporge sul muraglione del canale, sostenuto da beccatelli e circondato da alcune piante. Ciò che rimane oggi del vecchio Ponte di Porta Lecce LA RINGHIERA DEL CANALE NAVIGABILE Guardate ora questo disegno che appare sulla ringhiera che corre lungo tutto il canale navigabile: E' composto da elementi che non furono scelti a caso. Il progettista del canale, l’allora maggiore del Genio Giuseppe Messina, disegnando una stella a cinque punte, segno distintivo dei militari, ed aggiungendovi l’ancora con timone, segni distintivi della gente di mare, aveva voluto evidenziare, con orgoglio e passione per il lavoro svolto, che quella era un’opera militare-marittima e che sarebbe toccato poi al Comune occuparsi del resto. L’ORIGINARIO SISTEMA DI APERTURA DEL PONTE GIREVOLE In questa vecchia immagine del Castello aragonese si osserva una struttura cilindrica sulla sommità del torrione di san Lorenzo. Forse non tutti sanno che in origine il ponte girevole sul canale navigabile si muoveva grazie ad un sistema di turbine idrauliche poste sotto ciascuna spalla del ponte. Le turbine, che avevano un consumo di 70 litri al secondo ed una la caduta utile di 20 metri, erano alimentate da un serbatoio collocato alla quota di 22 metri sull’attiguo castello. Il serbatoio aveva una capacità di 600 metri cubi di acqua, era formato da un cilindro di lamiera di ferro di 12 metri di diametro e 5 metri di altezza ed un fondo a calotta sferica avente saetta di 1,50 metri (immaginiamo questo cilindro come fosse un siluro messo a testa in giù e tagliato al di sopra della punta. La distanza tra il punto centrale della calotta ed il centro del piano dove è stato tagliato è la c.d. “saetta”). La capacità di 600 mc era sufficiente per assicurare quattro manovre (di apertura e chiusura) che, calcolate con condizioni estreme di vento, comprese eventuali false manovre e perdite di tempo, avevano la durata di 1000’’ (cioè circa 8 minuti per ciascun movimento). Il serbatoio era rifornito di acqua di mare “aspirata” per mezzo di due pulsometri ad azione diretta piazzati sotto la torre del castello, affianco alla caldaia che generava il vapore per alimentarli. Per attivare il meccanismo di apertura del ponte, l’acqua per le turbine veniva fatta scendere dal serbatoio in due ampie tubolature posizionate in un vano praticato all’interno della torre. Giunte al livello della banchina le due tubolature si separavano. Una girava a nord (verso mar piccolo) per mettersi in comunicazione con la turbina sotto la spalla occidentale del ponte. L’altra continuava la sua discesa verticale nel pozzo, entrava in una galleria sottomarina dopo un percorso a sifone sotto il canale, usciva dalla banchina di fronte e andava a mettersi in comunicazione con la turbina esistente sotto la spalla orientale del ponte. Apposite valvole chiudevano l’emissione dell’acqua. Le turbine venivano invece messe in moto attraverso volantini posizionati sulle piattaforme delle spalle. Varie coppie di ingranaggi conici comunicavano il movimento dell’albero verticale delle turbine ad altri alberi orizzontali che mettevano in movimento le ruote di spostamento del ponte. Foto recente all'interno del torrione di San Lorenzo con cartello d'epoca alle cui spalle si intravede la griglia di sicurezza che copre il pozzo dove scorrono le vecchie tubolature Un sistema apparentemente complesso ma in realtà semplice, dotato di facilità di manovra e poco dispendioso per la sua manutenzione. Venne sostituito da un più pratico sistema di motori elettrici solo nel 1932 in occasione di lavori di ristrutturazione del canale. Ciò permise di rimuovere quell’orribile serbatoio che per anni aveva sfregiato l’immagine del castello. Per chiudere inserisco qui di seguito il link di un bel video trovato su internet che illustra molto meglio della mia approssimativa spiegazione il vecchio meccanismo a turbine idrauliche: https://www.telmarnetwork.it/ponte-girevole-di-taranto-funzionamento-in-data-1887/
  23. Rostro

    Quiz: Indovina Il Personaggio

    È il generale Giuseppe Messina progettista ed esecutore del canale navigabile di Taranto. A te la mano Red
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