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PELLICANO

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Risposte pubblicato da PELLICANO

  1. Carlo M. Cipolla

    Vele e Cannoni

    Ediz Il Mulino – ISBN 978 88 15 23427 8

    Aprile 2015 173 pp – 13 Euro

     

    Rovistando tra gli scaffali più defilati di una grande libreria di Milano ho trovato questo interessantissimo saggio, di un autore che non annoveravo tra gli storici navali.

    173 pagine di profonda analisi e poco note citazioni (1/3 del volume è dedicato alle note, 20 pagine alla bibliografia che può divenire veramente una interessante guida agli approfondimenti), che rappresenta uno studio comparativo sulla nascita ed evoluzione della “nave da guerra”, prendendo in considerazione non solo le Marine mediterranee ed atlantiche ma anche le pochissimo note marine asiatiche, cinesi, giapponesi ed indiane, con l’ influenza turca

     

    Il saggio era stato pubblicato addirittura nel 1965 in Inghilterra con il molto più appropriato titolo di “Gun and Sails in the early phase of European expansion 1400-1700” ed è la traduzione in italiano dall’ originale stesura in lingua inglese (!!)

     

    Il tema portante è il come ed il cosa ha reso possibile nel Cinquecento la supremazia mondiale dell’ Europa; grazie a nuovi tipi di navi, come velieri e come armamento, le Marine europee poterono varcare mari sconosciuti e scoprire nuove terre

     

    Fu anche il sorpasso e la supremazia delle marine atlantiche rispetto alle mediterranee.

     

    Fu con i cannoni, e si esamina la loro evoluzione e lo sviluppo dell’ industria relativa, che queste Marine si assicurarono un incontrastato e secolare dominio sugli oceani e sulle coste, molto di più di quello che i rispettivi paesi ed eserciti riuscirono a fare sulla terra .

     

    Un’ interessante sintesi rapportando il progresso tecnologico ed i fattori economici, sociali e politici.

     

    Erano anche i tempi della massima espansione turca (ed araba) e le nuove tecnologie ed i nuovi sistemi e mezzi navali permisero una rapida e drammatica transizione da una situazione di difesa incerta, nel Mediterraneo, ad una situazione di espansione audace ed aggressiva, negli oceani, radicandosi in Asia e nelle Americhe.

     

    Interessante e veramente poco conosciuta la trattazione degli aspetti navali (ed industriali) dell’ espansione europea dall’ Oceano Indiano alla Cina ed al Giappone.

  2. Terrorismo e Islamismo - basta con le ipocrisie , da una parte e dall' altra

     

    Sottoscrivo l’ esortazione di Malaparte, e credo che un’ associazione come la nostra, che condivide un sito di storia e politica militare , non possa esimersi da un’ analisi strategica, non strumentale,

    Nessuno, meglio di chi è stato militare od è analista di storia militare, può nascondere il fatto che siamo già ben addentro un conflitto, un conflitto che una parte del mondo occidentale tende a negare, obnubilato da una difesa del benessere che ormai è solo di retroguardia .

     

    Credo si debba parlane, lasciando da parte un poco della nostra passione navale, confrontarci, solidarizzare, educarci, senza però entrare in provocazioni o strumentalizzazioni partigiane.

    Proprio per il nostro motto dobbiamo essere evidenza di solidarietà e consapevolezza.

     

    Gli attentati di Parigi devono imporci sia un’ introspezione sia un’ assunzione di responsabilità.

     

    La prima assunzione di responsabilità è ammettere di essere in guerra, ma anche di essere parte di una guerra; ciascuno di noi non sceglie né può scegliere il mondo in cui è chiamato a vivere, ma può scegliere come viverlo, è una delle scelte è l’ abbandono delle ipocrisie.

     

    La prima delle ipocrisie è negare, anche di fronte all’ evidenza, che ci trovi di fronte ad una guerra di religione: ci dimentichiamo anche che nei tempi passati, neppure troppo remoti, anche nel mondo occidentale, e tra diverse professioni di fede nel mondo occidentale, ci siamo trovati di fronte e nel mezzo di guerre di religione, sanguinose, disastrose. Siamo la stessa “civiltà” occidentale che ha superato gli scontri non solo tra confessioni, ma sino ad oggi anche gli scontri che la cultura laica ha avuto in generale con il Cristianesimo quanto con il più radicale Cattolicesimo, anche per le ingerenze ed i condizionamenti della religione nella politica, nello stato, nelle divisioni sociali: siamo la stessa o no la stessa civiltà, quanto si resiste a riconoscere che oggi dobbiamo trattare allo stesso modo l’Islam?

     

    Quella pietra miliare di “una libera chiesa in un libero stato” che ormai fa parte non solo della nostra cultura ma ormai del nostro DNA, non è neppure un’ aspirazione della comunità islamica, che con la Sharia e l’ applicazione della stessa ne è la negazione.

    Integrazione ed accoglienza si intrecciano con tutto questo: il modello non può essere quello ereditato dal colonialismo, che è una sorta di licenza (sotto tutti gli aspetti) a soggiornare, anche per sempre, sul territorio, il nostro nel caso.

    Integrazione ed accoglienza non sono beneficienza, e non si devono confondere con la stessa: significano accettazione e rispetto mutuo, e questo manca da parte di una religione che non ammette differenze, che taccia di infedeli i diversi e ne pretende la sottomissione .

     

    Esiste un radicalismo religioso, islamico, che non solo giustifica, ma muove il terrorismo, ma purtroppo esiste una generale adesione a pratiche religiose che nel privato, nel trasfondo di luoghi di culto chiusi, accettano e giustificano questo radicalismo, che portate a scegliere tra i valori del paese che accoglie ed i valori (o non valori) della tradizione, scelgono questi ultimi, senza esitazioni.

     

    Non voglio esprimere solo mie opinioni, ma farmi ripetitore anche delle lucide considerazioni di un pensatore come Ernesto Galli della Loggia, che non può essere tacciato di radicalismo, e meno di liberticida.

    Credo esprima il senso comune di una maggioranza, moderata, silenziosa, ma se i moderati tacciono, da ambo le parti, se ci sono moderati islamici che si trincerano nell’ ignavia dicendo sommessamente che hanno le mani legate, bisogna stanare gli autoinganni e le falsità che da ambo le parti nutrono l’estremismo radicale.

     

    Bisogna chiedersi come faccia il terrorismo che tutti, ma proprio tutti, definiscono islamista a non avere nulla a che fare con l’Islam: è qualcosa che dovrebbe richiedere una spiegazione, che invece non ci viene mai data dai tanti – tra noi - che pure ci ammoniscono con severità a tenere separate le due cose. Magari la stessa severità dovrebbe essere applicata ad un’ analisi della situazione …

    L’unica spiegazione che spesso ci viene fornita, se non giustificazione stessa, starebbe nel fatto che la maggior parte delle vittime del terrorismo, come espressione di un confronto tra due professione di fede, sarebbero in realtà proprio gli islamici. Visto da questo punto di vista è vero: peccato però che nessuno dei mille attentati commessi in quell’ ambito “locale” sia mai stato rivendicato, che si sappia, con proclami a base di citazioni di «sure» del Corano e di relative maledizioni contro gli «infedeli»: come invece è la regola quando nel mirino è ieri Parigi o in genere l’Occidente.

    In realtà, a Bagdad, in Siria, nello Yemen, a Beirut, l’impiego del tritolo o del kalashnikov corrisponde semplicemente al modo oggi più comune da quelle parti di regolare i conflitti con gli avversari, siano essi religiosi, politici, di sette.

     

    L’impiego ad uso bellico dei testi sacri, insomma, è riservato soltanto all’ occidente infedele, a noi.

    Dunque, smettiamola di nasconderci dietro un dito: la religione c’entra eccome. Innanzi tutto perché sinora i terroristi si sono rivelati islamici ferventi e religiosamente motivati, e poi per un’altra importante ragione, il ricatto della comune appartenenza religiosa, e della pratica religiosa nelle moschee.

    Si giustifica che questa comune appartenenza religiosa leghi le mani all’islamismo moderato - che senz’altro esiste e confidiamo sia maggioritario - impedendogli regolarmente di farsi sentire e di opporsi alle imprese sanguinarie degli altri.

    E’ sempre questo ricatto-vincolo che a suo modo crea nella gran parte dell’opinione pubblica islamica, nelle sterminate folle delle periferie come negli strati più elevati, se non una qualche tacita complicità, certamente l’impossibilità di dissociarsi, di schierarsi realmente contro. Qualcosa che a propria volta vincola in misura determinante anche l’azione dei governi dei Paesi islamici, che dietro le quinte giocano su due sponde.

     

    Ma se le cose stanno così, se per l’esistenza del terrorismo è decisiva l’esistenza di questo ampio retroterra costituito e cementato dal fortissimo ruolo identitario della religione, non è forse qui, allora, a proposito di questo ruolo, che l’Occidente dovrebbe impegnarsi in uno scontro, lanciare una sfida?

     

    Certe guerre non si vincono solo militarmente grazie alle armi (che pure sono importanti e vanno impiegate al più presto e fino in fondo) ma anche con altri strumenti. Ma non bisogna avere paura di combattere, come sottilmente inculcano i teorici della libertà regalata e non della libertà conquistata.

     

    Noi siamo ancora quelli della libertà conquistata, e sappiamo che i morti al fronte saranno sempre meno delle vittime innocenti dei massacri in atto.

     

    Non si tratta di dichiarare né una guerra tra civiltà né una guerra tra religioni, bensì – insieme all’ azione - di iniziare un’analisi, una discussione dai toni anche aspri se necessario, sugli effetti che ha avuto per l’appunto il ruolo identitario della religione islamica sulle società dove essa storicamente è stata egemone, una discussione su che cosa sono queste società, e sulle vicende storiche stesse del mondo islamico, forse un po’ troppo incline all’ oblio e all’ auto-assoluzione, forte anche del ricatto economico/energetico che oggi è certamente meno importante.

     

    Il modo migliore per aiutare l’Islam moderato a liberarsi del ricatto religioso, delle sue paure di lesa solidarietà comunitaria, è proprio quello di incalzarlo a un confronto senza mezzi termini con un punto di vista diverso che non abbia paura della verità.

    Questo deve essere fondamentale e necessario per chi ha scelto di vivere in Occidente, pur conservando – tutelato – la propria fede, ma l’ identificazione deve essere con l’ Occidente, se cosi è stata la scelta di vita.

     

    Giustificare l’ inazione, tra noi, dicendo che esiste (anche?) un Islam moderato senza pretendere che questo stesso islam moderato, almeno nel nostro occidente dove è enormemente tutelato, si pronunci è un falso ed un assurdo, un’ ipocrisia che coinvolge molte fasce della nostra società occidentale; è un’ ipocrisia ed allo stesso tempo una autoassoluzione il non cercare nemmeno un confronto con questa professione di fede nel nostro territorio, che ha gli stessi diritti e lo stesso valore delle nostre professioni.

    Il terrorismo islamista e il suo richiamo religioso si nutrono in misura notevole degli autoinganni, dell’ ignoranza della realtà storica, delle vere e proprie falsificazioni, che hanno più o meno largo corso nelle società che gli stanno dietro, e che da lì arrivano anche alle comunità islamiche in Europa. Non esiste un clero islamico “regolare”, esistono predicatori che sfuggono spesso ad ogni controllo, che si mimetizzano in una ragnatela di luoghi di riunione, che rifiutano ogni contatto.

     

    È di questi succhi velenosi, al pari dell’ inazione occidentale, che si nutre la formazione elementare di molti dei violenti, già terroristi o complici o simpatizzanti, od in ultimo moderati conniventi: i musulmani delle nostre città ora ci dicano con chi stanno, dividano con noi gli stessi rischi e le stesse tutele di cui godiamo

     

    Le comunità islamiche sanno di essere in guerra, lo dichiarano e lo dimostrano, ma la nostra comunità occidentale tende a negarlo, ma guerra è, guerra di nuovo tipo.

    Quella che qualcuno chiama guerra asimmetrica, che è (anche) una guerra senza frontiere, senza contrapposizioni di Stato, una guerra due volte nuova perché mescola il modello fluido, pan territoriale, di Al Qaeda e il vecchio paradigma territoriale al quale l’IS (o Isis) è tornato per ricostituire il Califfato.

     

    Di fronte a una guerra che né i paesi occidentali né lo stesso Israele , ne gli odiati (da tutti) Stati Uniti hanno voluto, è valida una sola domanda: che fare?

    Come rispondere, sopravvivere e tentare di vincere, quando questo tipo di guerra ci colpisce?

    Una guerra in cui non esiste un fronte con trincee, non ci sono soldati in posizione, ma ciascuno di noi, bambini, donne, anziani, è un avversario, è un bersaglio, senza esserne cosciente. Bisogna allora che ciascuno sia se non un combattente almeno un consapevole focolaio di resistenza, un punto di mobilitazione e di supporto a chi meglio agisce, e soprattutto di spinta politica.

     

    Tra gli avversari della pace, subdoli alla pari del terrorismo religioso, ci sono certi movimenti pacifisti divenuti confessionali (dietro i quali sarebbe opportuno dare un’ occhiata ..) che intimidiscono politici e democratici quando sono sul punto di prendere decisioni: la guerra c’ è, e non è stata dichiarata dall’ occidente, bisogna affrontarla per quella che è, e non solo sul fronte interno, con le forze di sicurezza, ma sul campo.

    Negli ultimi decenni (ma anche pochi mesi fa quando timidamente si parlava di Libia) sedicenti esperti agitavano lo spettro di centinaia di migliaia di soldati che si sarebbero dovuti impiegare sul terreno, con perdite immani (boots on the ground = blood on the ground).

    Lasciamo le considerazioni agli specialisti ai professionisti, purché appoggiati dalla volontà politica e dalla solidarietà nazionale, che è quella che viene richiesta in questi frangenti: nessuno più che un soldato, che la conosce e ne è preparato, è contrario alla guerra.

    In realtà, giunto il momento, potrebbero bastare meno forze di quelle che si pretendono ipotizzare, ma certo non solo qualche attacco aereo: le orde dell’IS potrebbero rivelarsi per quello che sono, delle bande, molto più coraggiose quando si tratta di sgozzare ostaggi esausti e di far saltare il cervello a giovani parigini inermi rispetto a quando bisogna affrontare veri soldati della libertà.

    Siamo di fronte a una minaccia spaventevole forse più che spaventosa, ma il mondo occidentale, se lo vuole, ha tutti i mezzi per fermarla.

     

    Fermare la minaccia sul campo e bonificare il retroterra culturale, con una vera politica di accoglienza ed integrazione, mirata, diversa dall’ emarginazione in ghetti: bonifica del retroterra che significa anche e moderatamente continuare a ricevere i migranti e nello stesso tempo rendere inoffensivo il più gran numero di cellule pronte a uccidere...

    Accogliere a braccia aperte chi fugge dall’IS, ma discernere e contemporaneamente essere implacabili con quelli fra loro che traessero vantaggio dalla nostra fedeltà ai nostri principi per infiltrarsi da noi quale terra di missione e commettervi i loro misfatti...

    Non è contraddittorio, è applicare la pietà e la carità, ma non porgere inutilmente e colpevolmente l’ altra guancia come neppure il Vangelo prevede. È anche un modo, insieme all’ azione, per non offrire al nemico la vittoria che si aspetta, cioè di vederci rinunciare al modo di vivere insieme, aperto, generoso, che caratterizza le nostre democrazie, e così sottometterci.

    E’ il modo coerente di procedere in una guerra che consideriamo giusta, che comporta anche non lasciare amalgamare ciò che storicamente ha vocazione ad essere diviso; e nella circostanza mostrare alla grande maggioranza dei musulmani che non solo possono essere nostri alleati, ma concittadini se non fratelli.

    Non possiamo però essere traditi nella nostra generosità ed apertura …

  3. Lacrime di coccodrillo ed inazione

     

    Concordo totalmente sul messaggio e l' impostazione di Totiano

    La tragedia di Parigi è il risultato dell’ inazione, il frutto della negazione del conflitto in atto da tempo e dei suoi aspetti di guerra globale ed asimmetrica.

    Persino il Papa riconosce che è in corso una terza guerra mondiale e persino il Papa ha dato un’ interpretazione opportuna e pragmatica sul porgere l’ altra guancia, condannando lui stesso l’ inazione.

    Purtroppo, a di la di inopportune ed addomesticate dichiarazioni politiche sul fatto di non essere colpiti ( aggiungo personalmente … non ancora colpiti …). Noi italiani, persone, e noi Italia, paese, siamo obbiettivi prioritari e tutto vorrei essere fuori che profeta ma chi conduce una guerra (e non siamo noi) ha una strategia ed in base ad essa decide dove, come e quando colpire; forse qui si aspetta solo l’ opportunità di maggior risalto, e quella più logica ed evidente è il giubileo.

    Siamo di fronte ad una guerra che è condotta (efficientemente, e da tempo) e solo i ciechi e sordi (soprattutto in politica) negano che sia stata dichiarata ed in corso.

    Non vorrei tornare su un tema ovvio, e molto sfruttato, oltre che dibattuto, quello dell’ immigrazione incontrollata ; certamente l’ immigrazione non è terrorismo, ma come viene gestita da ambo le parti è strumento di terrorismo.

    Il terrorismo sfrutta e si avvale dell’ immigrazione illegale, che è uno degli aspetti della guerra asimmetrica in atto, l’ aspetto della saturazione, e noi la interpretiamo diversamente, non ne cogliamo l’ aspetto del controllo, controllo che non è la negazione dell’ aiuto umanitario ma è parte della nostra difesa, della tutela della nostra gente e della nostra civiltà.

    Anche qui l’ inazione è colpevole, ed i nemici non hanno comprensione né ringraziano per la nostra “bontà”, per gli sforzi umanitari (… loro decapitano ..), la interpretano come debolezza e così la sfruttano per colpire meglio, per dividere il fronte occidentale.

    La discutibile chiusura dei confini francesi, in un paese dove un certo modello di integrazione (lo stesso che si vorrebbe adottare in Italia) è chiaramente fallito e si è dimostrato un boomerang, è anche un monito, un segnale all’ Italia.

    Dobbiamo capire che il terrorismo è l’ espressione della guerra ai simboli (e non cito volutamente quelli religiosi, cattolici, che sono lo stesso simbolo del nostro Paese):

    · non ci riguarda il perché l’«ebreo» è il nemico numero uno che secondo la visione dei fondamentalisti deturpa la purezza della terra sacra dell’Islam, ma questo vale anche per noi cristiani (praticanti o no), e pertanto anche i simboli cristiani vanno colpiti.

    · Non capiamo che la cultura è blasfema, e le sale dove si tengono concerti, perché la musica è peccaminosa. Non capiamo che lo sport è pericoloso, e perché gli stadi, dove si permette alle donne di assistere alle gare, e magari senza velo.

    L’ elenco sarebbe infinito, sono solo esempi, richiami, non sono provocazioni, è solo un minimo riepilogo di quanto è stato affermato pubblicamente ed autorevolmente.

    E’ stato detto e reclamato in Francia, in Gran Bretagna, in Danimarca dove è partito il tumulto per le vignette su Maometto e dove un vignettista è stato raggiunto in casa da un gruppo di assalitori armati d’ascia, è quanto è stato fatto con la fatwa per i Versetti Satanici, per istigare e permettere agli zelanti fedeli sparsi per il mondo di uccidere lo scrittore blasfemo.

    Erano e sono segni premonitori, che dovevamo e dobbiamo capire, non far finta di niente.

    Bisogna capire che vogliono colpire non solo Londra, Madrid, Parigi, ma soprattutto Roma, e Milano è solo un segnale, con l’ accoltellamento di un ebreo davanti a una pizzeria kosher.

     

    Dobbiamo quindi decidere se vogliamo difendere questi simboli, che vanno al di la’ delle stesse libertà: Se continuiamo così ci troveremo soli nei momenti di maggior bisogno e più tragici che ci dobbiamo ormai aspettare.

    Siamo soli, e soprattutto sordi e ciechi, anche all’ interno: appena due giorni fa, alla vigilia dei fatti di Parigi, le nostre forze di sicurezza avevano smantellato una rete islamica (con base a Merano), chiaramente indirizzata a fatti violenti: che ha fatto la magistratura tollerante? Liberati sulla parola. E non è il primo caso, vedasi il marocchino di Rozzano, illegale, pregiudicato, accusato (forse con qualche evidenza) di partecipazione od almeno connivenza con l’ eccidio di Tunisi, e non espulso in ulteriore caso di buonismo e comodo garantismo, intanto qualcun altro provvederà …..

    Islamico non è sinonimo di terrorista, ma l’ atteggiamento islamico non può essere ambiguo quando si parla di difesa e lotta al terrorismo, ed i distinguo di questi giorni delle comunità radicate in Italia e dei loro rappresentanti sono la dimostrazione di quanto sia inefficace la nostra concezione di integrazione (condita da sovvenzioni che non possiamo né sappiamo elargire ai nostri concittadini ..)

    Riflettiamo, soprattutto sul fatto di essere un paese in guerra …..

  4. Gli incendi sulle corvette classe Albatros, con i motori 409, e molto di più in precedenza con i motori 407 della classe Ape/Gabbiano, erano provocati dal sistema di lubrificazione, e dall’ accumulo di olio nelle condotte di scarico (quindi verso l’ alto) ed erano comunque controllabili, non portando quasi mai a conclusioni catastrofiche; gli incendi dei motori a duplice effetto coinvolgevano invece il carter, verso il basso, e le conseguenze erano molto più facilmente lo scoppio del cartel, per i gas accumulati.

     

    Le corazzate tascabili tedesche accoppiavano comunque una serie di “piccoli” motori (quasi sicuramente a 4 Tempi), già disponibili dall’ industria tedesca nella prima metà degli anni 30, mentre da noi, pur esistendo una tradizionale produzione di motori endotermici per sommergibili (purtroppo molto frammentata tra diversi costruttori), si riuscirono a fornire motori diesel di media potenza (sotto 2000 CV, non sovralimentati) di dimensioni e pesi appena accettabili per unità di medie dimensioni, solo agli inizi degli anni 40.

    Siamo quindi ben lontani dalle reali possibilità di impiego per i programmi navali degli anni 30, e per le navi tipo Washington, che furono la strada seguita dalla Reichmarine.

     

    Non so quanto considerare facile e semplice l’ adozione da parte tedesca di molti diesel accoppiati su poche linee d’ assi, ma certamente per i trattamenti delle acque e le difficoltà delle caldaie ad alta pressione riscontrate dalla Reichsmarine, la soluzione di multipli diesel assicurava una certa ridondanza, permetteva grandi autonomie anche in caso di avarie ad un singolo motore, che veniva grazie a giunti molto avanzati per l’ epoca immediatamente scollegato.

    Va anche notato che quando si trattò di valutare la soluzione diesel (diesel elettrica) per le grandi navi da battaglia, a costruzione degli scafi già avviata tale soluzione fu scartata dalla Reichsmarine, credo per la mancata risposta dell’ industria per motori di potenza elevata.

     

    Certamente le soluzioni diesel, anche per un solo asse, difficilmente potevano ipotizzarsi per il programma degli incrociatori classe Ciano; va posta molta attenzione anche su un altro aspetto di queste “navi di carta”: il dislocamento inferiore a 9000 tonn previsto per navi di queste caratteristiche è del tutto assurdo, irrealizzabile, solo una enunciazione ai fini dei trattati. Per specifiche di quel genere saremmo stati su dislocamenti superiori a 12000T, che era del resto la contemporanea posizione dei “giovani leoni” guidati dall’Amm Bernotti che chiedevano la revisione o la denuncia dei trattati. Con tali dislocamenti, a maggior ragione, la soluzione dell’ a.m. doveva essere totalmente diversa

  5. Al di la di meraviglia ed entusiasmi, redo sia necessario fare un pò di riflessioni, e magari un po’ d’ ordine , in merito alle “navi di carta” (ri)cominciando dalla ricerca tecnica.

    La storia navale non è fatta (anche se sembra, e cosi è intesa da molti) solo di puntigliose ricostruzioni cinematiche e temporali, oppure di sottili disquisizioni estetiche, con competizioni di spotting, corredate più o meno di aneddoti, ma è giunto il momento che si parli anche di storia della tecnica, investendo un poco anche sulla conoscenza de problemi e dei parametri fondamentali di una nave .…. magari cominciando da una maggiore conoscenza degli apparati motori.

    Personalmente, dopo più di mezzo secolo non solo di lavoro ma di esperienza appassionata, credo sia giunto il momento di fare chiarezza, per quanto riguarda la R.M. ed anche per gli uomini che in essa si sono sacrificati per un’ ideale, di Patria e di Nazione.

     

    Sono un po’ provocatore, ma affermo per cognizione di causa che quando un apparato motore dovrebbe essere lo strumento che permette ad una nave “equilibrata” di andare per mare ed assolvere i compiti che le sono stati assegnati (sia come specifica di progetto sia per esigenze operative) nel periodo tra le due guerre , più per scelta politica e pressioni di lobbies che per scelta strategica, per ragioni di immagine ci siamo trovati di fronte all’ assurdo di navi fatte per portare a spasso gli apparati motori, mettendo in secondo piano e minore priorità le altre caratteristiche, apparati che poi solo sulla carta ed in condizioni eccezionali fornivano quelle prestazioni tanto sbandierate.

     

    Nel caso dell' incompiuto programma navale all' origine di questo post, e delle notizie ed ipotesi che si sono fatte intorno alle unità previste, vale, ed è opportuna, una considerazione generale: per la propulsione navale (navale come nave militare) è stata dominata sino a tutti gli anni 50 da apparati a vapore, che prevalsero specie per le grandi potenze (20 MW ed oltre), in quanto il loro rendimento (efficienza con cui viene sfruttata energia meccanica dal calore) era di quasi il 50%, contro il 35% dei Diesel, pur essendo più complicata nella costruzione.

     

    Malgrado le grandi premesse (e promesse, con speranze e scommesse soprattutto da parte tedesche) i motori a combustione interna non riuscirono a soddisfare esigenze di grande potenza e soprattutto, sopra le medie potenze, non riuscirono a soddisfare quelle esigenze dimensionali ancor più che di peso che erano necessarie per le navi da guerra.

    I motori diesel di piccola/media potenza furono certamente la soluzione ideale per sommergibili ed unità scorta (e su questo l’ industria italiana non ebbe un gap tanto grande come nel caso di altri tipi di apparato motore) e solo per motivi in parte inspiegabili (tra cui la velocità di spunto) il sistema italiano continuò ad utilizzare obsoleti apparati a vapore per le unità scorta.

     

    Il Diesel superata la fase di “accettazione” da parte dell’ industria navalmeccanica come degli utenti (le varie marine) solo con gli inizi degli anni 60 (con i motori veloci, a 4 tempi) ebbe un’ impiego esteso. Aumentarono le potenze totali, si raggiunsero rendimenti migliori, ed il maggiore successo si ebbe con l’ integrazione/complementarietà con le TAG (Turbine a Gas).

     

    Negli anni 30 i motori Diesel che in Italia potevano competere per l’ installazione a bordo erano a 2 Tempi (con poche centinaia di giri/min), sovralimentati – quando lo erano - con pompe di lavaggio meccaniche, e non si conoscevano né si aveva accesso a turbocompressori a gas di scarico. Credo sia stata più che una novità l’ ordine a guerra ben inoltrata di motori diesel con turbocompressori Sulzer/ABB per l’ unità soccorso/rimorchiatore di altura (che poi nella MMI divenne l’ “innominato”); purtroppo avvenne troppo tardi per costituire un’ esperienza ed un’ acquisizione di capacità.

     

    L’ industria italiana negli anni 30, pur avendo progettato, costruito e fornito motori per unità mercantili (comprese unità passeggeri veloci ) non era in condizione di fornire macchine di dimensioni idonee per la propulsione di unità navali maggiori. La soluzione sarebbe stata molto complicata, inserendo molte macchine, ma questo avrebbe comportato la difficile inserzione di nuovi tipi di giunti e di riduttori (quando proprio l’ assenza del riduttore poteva essere uno dei maggiori vantaggi dei motori endotermici). Peggio ancora, come complicazione, l’ adozione di apparati motori “misti”, ossia con parte dei motori collegati meccanicamente alla linea d’ assi, su cui agiva anche (con o senza il tramite del riduttore) un motore elettrico mosso da altri motori diesel.

    Non bisogna poi dimenticare che il motore diesel marini, e navale in misura maggiore per ridondanza e sicurezza, ha bisogno di numerosi ausiliari, peggio ancora quando la stessa “sovralimentazione” avrebbe dovuto essere assicura da motrici separata . pesi e rendimenti sarebbero stati estremamente penalizzanti.

     

    Certamente nella RM esistevano menti brillanti, di giovani e di vecchi leoni, dal Bernotti al Bernardis, che precorsero i tempi, che tentarono di rompere le barriere e spezzare i lacci delle lobbies industriali che soffocarono lo sviluppo industriale e navale tra le due guerre, ma i loro interventi furono nella maggior parte troppo ottimisti.

     

    I progetti di motorizzazione o rimotorizzazione di unità (e solo di grandi unità) per le insufficienti potenze disponibili e per la scelta del ciclo a 2 Tempi, riposero molte speranze su una nuova tipologia di motori configurati a "doppio effetto", che risultarono all’ epoca inaffidabili, sia per i materiali disponibili, sia per i problemi di tenuta in corrispondenza delle aste dei pistoni, con il rischio costante di innescare incendi al carter, con conseguenze devastanti ed inaccettabili per una nave da guerra. Per inciso questa soluzione fu ripresa negli anni 50 per gli a.m. di alcune motonavi, grazie alla disponibilità di migliori materiali, ma presto abbandonata ancora a causa d'incendi.

     

    I motori diesel ipotizzati all’ epoca avevano poi un drammatico inconveniente per le unità militari (solo mitigato nel caso di grandi unità, corazzate e portaerei): l’ altezza necessaria, ancora più penalizzante del peso; non parliamo dei 20 metri dei motori più recenti, ma comunque parliamo sempre di almeno 10 metri di altezza disponibile in corrispondenza dei MMTTPP (e con molte limitazioni per lo smontaggio di testate e pistoni) che rendevano nella pratica impossibile l’ adozione anche per unità della classe di incrociatori

  6. Pur con tutte le limitazioni ed inefficienze di macchine (caldaie e turbine) molto datate e risalenti come tecnologia agli anni 20, per ragioni di ingombro ed esponente di peso commisurati alla velocità richiesta dalla R.M. (su cui molto ci sarebbe da discutere) gli apparati motore vapore rimasero l’ unica vera opzione per le unità di nuova costruzione della RM.

    Per quanto riguarda lo sviluppo di motori diesel – e malgrado relativamente buoni risultati raggiunti finalmente dall’ industria nazionale con i motori della serie 400 solo ad inizi anni 40 – esisteva un “vizio concettuale” di origine e mancavano condizioni tecnologiche (processi metallurgici e materiali idonei); il vizio concettuale è stata la scelta univoca dei 2 tempi, mentre tra le limitanti tecnologiche basta ricordare il ricorso a basamenti fusi per l’ assoluta arretratezza (e sfiducia) nelle strutture saldate, la mancanza di acciai resistenti ad alte temperature, problemi sui lubrificanti e non ultimo (comprensivo di tutti quanti) il problema della sovralimentazione. La FIAT cominciò a sperimentare un sistema a turbo soffiante (molto complesso ed esterno) solo nel 1942, ed i motori (a due tempi) italiani erano “sovralimentati” con pompe a stantuffo, generalmente collegate all’ albero a gomito dei motori stessi. Si ottenne qualche risultato sui pesi dei motori stessi (ma poi viziato da quello degli ausiliari), ma il problema continuò a riguardare le dimensioni i volumi. Questo permetteva di prendere almeno in considerazione l’ ipotesi per “grandi navi” (corazzate e portaerei) ma rendeva non fattibile (per le velocità richieste) l’ adozione per incrociatori.

    Non eravamo però soli, la stessa Reichmarine, partita in grande stile con i motori diesel (propulsione turboelettrica e non) per le unità maggiori, confidando su una produzione tedesca che era certamente all’ avanguardia almeno per i motori leggeri e di media potenza, ripiegò su apparati motori a vapore, poi con altre problematiche di affidabilità.

    Gli studi per nuovi apparati moti, a cavallo del 1935, a cui fa riferimento anche il Turrini, giunsero alle stesse conclusioni (con il condizionamento, badare bene, delle opinabili condizioni di velocità richieste per le unità italiane). Non mi risulta siano mai stati presi in considerazioni 5 assi, ma solo un coplicato incrocio tra propulsione diretta ed integrazione inserie sullo stesso asse di motori elettrici (diesel-elettrica) per raggiungere velocità di spunto

  7. TURBINE A VAPORE

    E’ molto difficile parlare di apparati motori ed in particolare di turbine senza ricorrere a termodinamica, fisica, matematica, vettori e tante altre complicazioni, con molte formule. Ho comunque tentato, sarebbe stato più facile postare tante foto con ampie didascalie, ma ho cercato di introdurre alcuni concetti base senza far ricorso ad astrusità per eletti; la storia navale è bella, interessantissima, è una comune passione tra tutti noi, ma non può essere solo cronaca di avvenimenti, scambi di foto. Ritengo sia necessario chiedersi le ragioni, comprese quelle tecniche, porsi dei perché, avere dei percorsi di approfondimento …..

     

    Un’ infarinatura, almeno sui termini usati e sulle peculiarità degli apparati motore, certamente ci aiuterà a capire certi perché, riguardo a molti avvenimenti, non solo bellici; queste note sugli apparati motori, con la massima complicazione sulle turbine, vogliono anche essere una provocazione per stimolare una maggiore partecipazione, stimolare una ricerca anche su “cose” che non ci sono più, come gli apparati a vapore.

     

    Le navi hanno un’ anima, e vanno conosciute da dentro .. nell’ eterno confronto tra Stato Maggiore e Genio Navale (detto anche, con i suoi reparti, la Mano Nera) quando i ruoli erano molto più netti, separati, di quanto oggi per fortuna avviene nella MMI, si diceva : … la macchina è il cuore, la plancia il cervello ..pazzi si vive, senza cuore si muore! Vediamo di conoscere le navi anche “da dentro” e vedrete quante cose interessanti verranno fuori ..

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    1.— GENERALITÀ – PRINCIPI E CENNI STORICI

     

    A partire dai primi anni del 900 la turbina sostituì progressivamente le macchine alternative nella propulsione delle navi militari (nelle marine mercantili il processo fu più lento).

     

    Le macchine alternative, che tanta importanza hanno avuto nella storia delle propulsione meccanica, a vapore, in campo navale hanno dovuto cedere il campo alle turbine che, possedendo tutti i pregi delle macchine rotative, permettevano di realizzare maggiori potenze per asse con pesi ed ingombri notevolmente inferiori.

     

    Noi consideriamo la turbina a vapore da un punto di vista della propulsione navale, ma non possiamo dimenticare che il maggior sviluppo delle turbine (e di tutto il ciclo vapore), riguardò la generazione elettrica terrestre che, in tutto il mondo meno che in Italia, retro alimento l’ industria navalmeccanica.

     

    La ragione della progressiva prevalenza delle turbine è semplice: mentre la resistenza dei materiali limitava la potenza delle macchine alternative permettendo velocità dello stantuffo non superiori generalmente al 10 m/sec, la velocità di spostamento delle palette delle turbine poté nel tempo arrivare a 300 - 350 m/sec che, negli ultimi apparati, sono stati anche largamente superati.

    Inoltre, mentre nelle macchine alternative il lavoro meccanico viene generate periodicamente, nelle turbine viene generato con continuità con conseguenti minori sollecitazioni degli organi, di trasmissione.

     

    Basta del resto considerare alcuni dati di un apparato motore a vapore postbellico per vedere che mentre in questo si realizzavano facilmente espansioni del vapore dai 50 Kg/cmq della caldaia ai 0,1 Kg/cmq del condensatore con una variazione di volume specifico da 0,07 a circa 15 m3/Kg, tale espansione non si sarebbe potuta realizzare in una macchina alternativa a meno di non impiegare un eccessivo numero di cilindri di espansione con conseguente proibitivo aumento di peso, ingombro e perdite nel ciclo che avrebbero abbassato enormemente il rendimento.

     

    Le turbine sono strutturalmente costituite da una parte fissa o "statore" (nella,quale sono sistemate le valvole di adduzione del vapore, le valvole di sicurezza, i collegamenti con altre turbine o col condensatore, le corone di palette fisse e le corone di ugelli) e di una parte mobile o "rotore" (sulla quale sono sistemate le corone di palette mobili) che è quella collegata direttamente con gli organi di movimento (il riduttore e via questo l’ asse elica).

     

    A continuazione un semplice e generico schema di turbina con la nomenclatura base relativa.

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    Turbina di AP con coperchio sollevato – indicazione dei componenti

    In primo piano del rotore la palettatura ad azione

     

    2.- CENNI TEORICI SUL FUNZIONAMENTO DELLE TURBINE

     

    2.1.- Funzionamento per azione

     

    Quando un fluido contenuto in un certo recipiente viene messo in comunicazione, mediante un condotto di forma appropriata, con altro ambiente nel quale regna una pressione minore, il fluido si espande fino a raggiungere la pressione esistente nel predetto ambiente esterno.

    Il condotto cui viene affidato il compito di mettere in comunicazione i due ambienti a pressione diversa, per fare avvenire l'espansione del fluido con le minori perdite possibili, viene chiamato “ugello" (o, meno usato, "boccaglio").

     

    L'espansione del fluido si manifesta oltre che con il diminuire della pressione del fluido, anche con l'au-mento del suo volume specifico e della sua velocità.

    E' intuitivo che tanto maggiore sarà l'espansione, cioè tanto minore sarà la pressione finale del vapore tanto maggiori risulteranno il volume specifico e la velocità finale; specificamente, con riferimento allo schema del ciclo di vapore, si cercherà di sfruttare come estremi la massima pressione (del vapore) fornita dalla caldaia con la minore pressione raggiungibile e mantenibile al condensatore, che per questo viene mantenuto sottovuoto.

     

    Durante l' espansione nell'ugello l' energia termica che il fluido contiene si trasforma in parte in energia cinetica, e l'aumento di questa energia cinetica è equivalente alla diminuzione del contenuto termico del fluido in espansione.

     

    In termini molto semplicisti la caduta di contenuto termico si definisce salto entalpico.

     

    Il fluido espandendosi nell'ugello, acquista velocità e quindi è sede di accelerazione. Dalla fisica è noto che ad ogni particella è applicata una forza d'impulso uguale alla variazione della quantità di moto del fluido nell' unità di tempo, ed a questa forza d'impulso si contrappone una forza di inerzia uguale e contraria.

    La risultante di tutte queste forze d'inerzia applicate alle particelle del fluido in espansione, diretta in senso contrario al moto del fluido ed esplica la sua azione sul complesso recipiente–ugello, sollecitandolo a muoversi nella direzione del suo asse (effetto di propulsione).

    Nel caso che stiamo esaminando supponiamo che recipiente–ugello siano vincolati ad un basamento, per cui la risultante delle forze d'inerzia non possa compiere nessun lavoro.

    Se un condotto formato di due palette viene presentato alla vena fluida uscente dall'ugello, il fluido, costretto a variare la direzione della sua velocità per seguire la curvatura del condotto, viene ad esercitare una forza d'impulso sulle palette stesse; il valore di questa forza, dipenderà evidentemente dalle caratteristiche delle palette, dalla variazione di quantità di moto subita dal fluido nell'attraversarle e dalla portata ponderale, cioè dalla quantità in peso di fluido che esce dal condotto nell'unità di tempo.

     

    Se supponiamo ora di sistemare una fila continua di palette su una ruota libera di girare e che le palette siano montate in modo che quando una qualsiasi di esse, muovendosi, esce dalla vena fluida, quella immediatamente successiva si sia già presentata, abbiamo realizzato una turbina nella forma più semplice e poiché il suo funzionamento dipenderà dagli impulsi esercitati dal fluido sulle palette, viene chiamata "turbina ad azione".

     

    Nel caso precedente abbiamo supposto che ii complesso recipiente-ugello sia vincolato ad un basamento.

    Se supponessimo ora di renderlo libero di muoverci nella direzione dell'asse dell'ugello, la risultante delle forze di inerzia applicate alle particelle del fluido in espansione, esplicando la sua azione sul complesso, compirebbe lavoro meccanico di propulsione.

    In questo caso l'energia termica del fluido si trasforma contemporaneamente in due energie: una meccanica di propulsione, data dal prodotto della risultante forze d'inerzia per lo spostamento del complesso recipiente-ugello, una cinetica data, come nel caso precedente, dalla differenza tra l'energia cinetica del fluido all'uscita dall'ugello a quella posseduta all'inizio dell'espansione.

     

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    Con riferimento allo schema anteriore, supponiamo di avere alla periferia di una ruota, libera di girare, un certo numero di ugelli,disposti tangenzialmente, e collegati a tubi in comunicazione con la sorgente del fluido, attraverso l'albero cavo della ruota .

    Se le cose si dispongono in modo da avere un flusso continuo di fluido dagli ugelli, la ruota si muoverà sotto l'azione delle forze d'inerzia del fluido in espansione attraverso gli ugelli. Questa è, nella sua forma più elementare, una "turbina a reazione".

     

    TIPI DI TURBINE

     

    Siamo abituati ad una classificazione sommaria delle macchine in turbine ad azione ed in turbine a reazione, anche se tale classificazione non corrisponde alla realtà. Se poi si considera il modo secondo il quale il vapore fluisce all’ interno delle macchine, queste possono essere a loro volta suddivise in turbine assiali, radiali e tangenziali.

     

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    Quantunque le turbine radiali offrano qualche vantaggio in alcuni casi per il loro ingombro e le turbine a flusso tangenziale siano spesso usate per muovere macchinari ausiliari, il tipo di turbina quasi esclusivamente impiegata sulle navi, prima della R.M. e poi della MMI, è quella a flusso assiale.

     

    Le turbine assiali, adottate sia per i turboalternatori sia come motrici di propulsione, non possono essere solitamente annoverate con esattezza tra quelle dette ad azione o fra quelle dette a reazione, ma piuttosto tra le turbine di tipo misto.

     

    Generalmente la completa espansione del vapore, dalla caldaia al condensatore viene realizzata con il passaggio successivo in più macchine che lavorano accoppiate sullo stesso riduttore, partendo da quella in cui il vapore entra alla pressione più elevata, chiamate turbina di Alta Pressione, di Media Pressione, di Bassa Pressione.

     

    Per quanto riguarda gli apparati motori più recenti della MMI l’ espansione avveniva in sole due macchine, la turbina di AP e la turbina di BP.

     

    In qualche caso, soprattutto terrestre, l'espansione viene fatta avvenire totalmente in una sola la turbina, poco usuale per ragioni di dimensioni e peso, nelle applicazioni navali anche se al proposito va segnalata l’ esperienza seguita dalla MMI nel primo programma navale postbellico, anni 50, su Indomito ed Impetuoso, e non più replicata (su queste navi, con una inusuale soluzione detta “compound” agivano due turbine in parallelo, in ciascuna delle quali avveniva la completa espansione).

     

    In ogni caso comunque, i primi stadi dell'A.P. sono ad azione (per permettere la regolazione della potenza mediante parzializzazione) e solitamente sono costituiti da elementi Curtiss. La Curtiss infatti, ha la proprietà, di poter sfruttare, a parità di velocità periferica, salti entalpici più elevati.

     

    Gli elementi Curtiss sono generalmente seguiti da altri elementi ad. azione, Curtiss o Rateau, oppure da elementi ad azione con un grado di reazione che diventa sempre più grande quanto più ci si avvicina alle basse pressioni. Gli ultimi stadi nei quali avviene l'espansione, che generalmente costituiscono la turbina di Bassa Pressione (sempre di maggiori dimensioni), sono in genere a reazione (grado di reazione = 0,5) perché con questi si riescono meglio a sfruttare i piccoli salti di pressione .

     

    A differenza degli impianti terrestri, negli impianti navali deve essere prevista la possibilità di invertire il senso di rotazione delle turbine, per assicurare la MAD, la marcia indietro, problema non da poco, soprattutto quanto in manovre rapidissime bisogna invertire l’ andatura della nave (arresto, manovra di crash stop, e per le navi militari ormeggio in banchina e manovre operative ed in formazione): la turbina di marcia indietro è fisicamente inserita, con corone di palette separate, in una delle turbine di un gruppo TR, una delle stesse turbine utilizzate normalmente per la marcia AV, ed è costituita in genere da tre o più elementi (corone di palette) Curtiss, poiché in questo caso si deve sfruttare l' intero salto entalpico disponibile, senza preoccupazioni del rendimento ma solo limitando l'ingombro ed il peso.

    Per le stesse o per analoghe ragioni, la turbina Curtiss viene adottata anche per azionare la maggior parte dei turbomacchinari ausiliari

     

    Pur seguendo sempre da vicino il suddetto schema, le varie motrici di propulsione si differenziano sempre tra loro per alcune caratteristiche costruttive, principalmente per i sistemi usati nella manovra delle valvole di ammissione vapore (nella Marina Italiana, RM e poi MMI una grande difficoltà fu la grande diversità di questi sistemi da nave a nave, secondo le pratiche dei diversi costruttori), per i gradi di reazione generalmente adottati, per particolari accorgimenti per la regolazione della potenza ecc.

    Queste differenze creano, soprattutto oggi, a distanza di tempo dalla fine dell’ epoca del vapore sulle navi militari, molti dubbi di interpretazione sulle definizioni degli apparati motore; riepilogando si può dire che le turbine relativamente più recenti per la propulsione navale non sono mai state semplicemente ad azione od a reazione. Si è sempre trattato di turbine “miste” composte cioè da elementi ad azione ed a reazione.

     

    Soprattutto nel periodo tra le due guerre mondiali, di autarchia per l’ Italia ma con velleità nazionalistiche anche da parte di altri paesi, i tipi di turbine “miste” rispecchiavano sempre le caratteristiche peculiari dominanti in certi costruttori, anche sulla base di esperienze consolidate in certe serie di A.M., e venivano identificate (… azioni di marketing …) con riferimento ai progettisti (da qui, in Italia, i tipi Belluzzo, Parsons, Tosi, ecc ecc che tanta confusione generano oggi tra ricercatori ed appassionati)

     

    Nel dopoguerra e sino alla fine dell’ era del “vapore navale”, i progettisti delle varie ditte costruttrici di turbine, pur rimanendo legati alle tradizioni, alle esperienze acquisite e soprattutto alle capacità ed installazioni produttive del produttore, apportavano di volta in volta (imposto alle esigenze imposte da problemi riscontrati o da nuove specifiche dei committenti) tali e tante varianti al “tipo” per loro tradizionale per cui si può oggi affermare che ogni turbina, spesso anche nella stessa classe di unità, era diversa dall’ altra. Ragioni economiche, di specializzazione e di impianti costruttivi, facevano si che certi costruttori costruissero sempre turbine ad azione con bassissimi gradi di reazione mentre altri propendessero per soluzioni totalmente a reazione o con grado di reazione molto spinto.

     

    UNA BREVE PANORAMICA SUI TIPI DI TURBINA

     

    Cerchiamo di ricordare brevemente i i tipi più diffusi di turbine, spesso citati, citandone le caratteristiche.

    a) Turbina semplice ad azione, o tipo De Laval

    E’ la coppia elementare ugelli-ruota mobile, ad azione. Per quanto possa eventualmente servire a chi voglia approfondire a continuazione lo schema della turbina con i diagrammi delle pressioni e velocità. La sezione dell’ ugello è convergente/divergente. Si raggiungono elevate velocità periferiche che possono costituire un grande rischio

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    Questa turbina è talvolta usata per i macchinari ausiliari, con il pregio della semplicità, con capacità di sfruttare con buon rendimento discreti salti entalpici, in ultimo ben distanti da quelli in uso sulle unità più moderne con il risultato di non essere preferita in nuove macchine.

    b) Turbina a salti di pressione, o tipo Rateau

    E’ formata da un elevato numero di coppie elementari ( o “stadi”) ad azione: il alto entalpico si suddivide in ciascuna coppia, ed in ciascuna di esse il vapore subisce una diminuzione (salto) di pressione.

    In questo tipo di turbina ha il pregio, a parità di salto entalpico, è possibile controllare (e ridurre) le velocità periferiche, con il vantaggio di soddisfare anche le condizioni di massimo rendimento.

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    L’ afflusso del vapore in questa turbina è parzializzabile per ottenere un miglior controllo delle prestazioni e del rendimento

    c) Turbina a salti di velocità, o tipo Curtiss

    Al condotto fisso formato da una serie di ugelli distributori seguono una serie di ruote (corone) mobili separate tra loro da corone di palette fisse dette raddrizzatrici.

    Il compito delle palette fisse, dette raddrizzatrici, formanti anch’ esse condotti a sezione costante al pari di quelli delle palette mobili, è quello di deviare la direzione del fluido all’ uscita di una ruota in modo da convogliarlo senza urti e con il minimo attrito alla successiva. La caduta di pressione aviene tutta all’ ingresso, nel distributore, e quindi la pressione rimane costante attraverso tutte le corone, sia fisse che mobili. Quella che varia è la velocità del flusso.

    I pregi della turbina Curtiss sono semplicità, leggerezza, minimo ingombro, dato che avvenendo il saldo di pressione tutto nell’ ugello è possibile costruirla con involucri relativamente leggeri ed a parità di salto entalpico richiede, tra tutti i tipi, il minor numero di coppie

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    Questo tipo di turbina, probabilmente il più diffuso, trova impiego nelle turbine ad azione, per le ragioni di ingombro e peso, nelle turbine a reazione quale corone di testa (ingresso) per permetterne la parzializzazione ed anche in questo caso aiutare a contenere i pesi, nei macchinari ausiliari per i già citati pregi di ingombro e peso ma anche per poter meglio sfruttare forti salti entalpici con ottimo rendimento. L’ inconveniente è che il lavoro diminuisce con il numero dei passaggi, e quindi il numero delle ruote viene limitato a 2 o 3 .

    d) Turbina a reazione multipla o tipo Parsons

    Le turbine a reazione impiegate in campo navale sono in realtà a reazione parziale, In tali turbine il salto entalpico è frazionato in un cero numero di salti di pressione e conseguentemente altrettanti saranno le coppie elementari condotto fisso / condotto mobile.

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    E’ da notare che in queste turbine si genera una spinta assiale sullo statore, fattore altamente negativo che impone l’ inserimento di un compensatore, il Dummy indicato nello schema, che equilibra le differenze di pressione generate dalle varie espansioni.

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    Una turbina AP degli anni 30 che evidenzia la necessità di grandi spessori (e pesi notevoli) in funzione delle pressioni in gioco, a fronte della mancanza di acciai speciali

    La relativa facilità di costruzione di questo tipo di turbine è data dalla possibilità di sistemare molte fila di palette mobili su un unico rotore anziché, come nei tipi ad azione, su ruote distinte, con al massimo 2 o 3 file di palette.

    La loro costruzione è semplificata anche dalla mancanza di diaframmi tra ciascuna fase di espansione, guadagnando anche in leggerezza.

    Le sezioni dei condotti crescono lungo la lunghezza del rotore per accompagnare l’ aumento di volume del vapore durante l’ espansione; tale aumento è talmente marcato che spesso non è sufficiente aumentale l’ altezza delle palette, altezza che trova un limite nelle sollecitazioni meccaniche per forza centrifuga sull’ attacco e sulla velocità periferica; si devono pertanto aumentare gli angoli con cui i distributori e le palette mobili guidano il vapore, e questo complica le lavorazioni meccaniche..

    In alcuni tipi di turbine, soprattutto quelle di Bassa pressione, per tentare di ridurre l’ aumento dell’ altezza delle palette si ricorre al doppio flusso simmetrico, con l’ ammissione del vapore al centro

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    Questo artifizio ha anche il vantaggio di equilibrare le spinte assiali sullo statore, evitando di inserire compensatori come il “dummy”.

    Ogni coppia di questo tipo di turbina può sfruttare un salto entalpico minore delle corrispondenti tipo Rateau e quindi le turbine a reazione, a parità di salto entalpico, richiedono un maggior numero di coppie. Agli effetti della parzializzazione delle turbine Parsons, con il tempo è invalso l’ uso di far precedere le palettature a reazione da elementi ad azione.

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    Il coperchio di una turbina navale a BP a flusso simmetrico, anni 30

    Che evidenzia le enormi dimensioni (e pesi) degli apparati dell’ epoca

    Sono evidenti le difficoltà di sistemazione di queste macchine a bordo di unità militari,

    a scapito di altre caratteristiche, dotazioni, prestazioni

  8. Sugli apparati motore dobbiamo fare una distinzione: per i motori diesel l' industria scelse il due tempi, forse una scelta oculata perché eravamo non lontani ma lontanissimi per caratteristiche dei materiali dai 4 tempi veloci e dalla sovralimentazione, ma si riusci a produrre dei motori affidabili che dettero, anche a posteriori risultati accettabili, anche se non eccezionali.

    Diversa e più tragica fu la situazione degli apparati motore a vapore, all' epoca scelta pressoché obbligata, e certo necessaria per le "navi di carta" di cui parliamo, dove la nostra industria 8e va tenuto presente industria e non R.M.) pervicacemente rimase ancorata a soluzioni degli anni 20, un abisso sotto aspetto in confronto con avversari ed "alleati" (che in questo molto non erano ..)

    Il lavoro che stiamo portando avanti è proprio quello dell' esame degli squilibri e della diversa concezione (e velocità di "processo") tra industria - lobbista con il regime - e Regia Marina, spesso lasciata ai margini e succube se non vittima di decisioni esterne

  9. Purtroppo neppure sognando sarebbe stato possibile modificare l' equilibrio strategico delle forze in campo..

    Il valore della Regia Marina era quello teorizzato dal Mahan ( direi ne era la più pura ed eccelsa applicazione) : .... fleet in being ....., ed in fondo è quello che sino all' ultimo ha tentato di giocare Supermarina

    In quanto alla proiezione sull' Oceano Indiano non esistevano neppure le premesse degli interessi economici o di potere italiani, e la base di Chisimaio non è mai stata neppure tratteggiata come pressupposto di stanziamenti .. dubito che esista o sia esistito un progetto di massima .

     

    Come finale ti anticipo una delle conclusioni del lavoro che stiamo portando avanti, faticosamente, dall' analisi degli apparati motori; tante belle navi di carta, ma non esisteva la collaborazione necessaria dell' industria navalmeccanica: come tutte le navi appena varate od in costruzione od in programma in quegli anni l' esponente di peso dell' apparato motore (con le macchine a disposizione come producibili in quel periodo in Italia) avrebbe reso irrealizzabili quei progetti.

    Non a caso, in tutti questi profili ed ipotesi, non dettagliate, si da al massimo un' indicazione della velocità richiesta (sempre eccessiva) ma non esistono dati nè ipotesi concrete sulla propulsione ... verificare per credere!

  10. Per rispondere a chi vuole giustamente una spiegazione un po’ animata, sovverto un poco la logica di presentazione e spiegazione anticipando alcuni rari disegni di un tipico turboriduttore Parsons a semplice riduzione della fine degli anni 20

     

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    Questo schema riesce solo lontanamente a far immaginare le dimensioni e la complessità dell’ insieme; considerate che a questa “mostruosa” macchina andava aggiunta la pletora di ausiliari di cui abbiamo già parlato, e le caldaie, che anch’ esse non rispondevano a concetti di compattezza e modernità.

     

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    Non si trattava di un punto di partenza, per le costruzioni che dovevano affrontarsi in conseguenza dell’ evoluzione necessaria alle condizioni dei trattati navali, che avrebbero imposto apparati motori più leggeri, ma bensì del punto di arrivo della tecnologia dell’ introduzione delle turbine, con macchine totalmente a reazione (poi parleremo di questo tema e delle differenze tra azione e reazione) ed una costruzione estremamente complessa, come i disegni evidenziano.

     

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    La semplice riduzione comportava poi macchine molto ingombranti, di difficile sistemazione a bordo di unità militari, soprattutto se unità sottili, e soprattutto enormemente pesanti.

     

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    Quello appena illustrato, che era un punto di arrivo, che imponeva un cambio, fu per molte delle costruzioni navali della RM non solo un punto di partenza, ma quasi uno standard che ne limitò grandemente le prestazioni nel corso del successivo conflitto.

    Poco importa pensare che, a differenza di quanto avvenne nella US Navy e nella marina tedesca (che adottarono altri e moderni sistemi, di cui parleremo a lungo), questi difetti e queste limitazioni colpirono anche la Royal Navy, anche se non nella misura che inficiò le costruzioni navali italiane.

    Anche sotto questo aspetto andammo a combattere la 2^GM con i mezzi e gli apparati della 1^ GM- Nelle successive parti evidenzieremo l’ abisso esistenti tra queste soluzioni e quelle più avanzate adottate non solo da marine ma da industrie più attente oltre che più innovative.

  11. TURBINE A VAPORE PER IMPIEGO NAVALE

     

    L’ avvento delle turbine e le limitazioni tecnologiche , industriali e di processo connesse

     

    All'inizio del XX secolo, le motrici alternative sono state sostituite nella maggior parte delle marine militari della turbina marina, sistema originariamente creato per le centrali elettriche terrestri.

    La turbina era, all’ origine, null’ altro che una sorta di contenitore cilindrico contenente righe alterne di palette fisse "Guida" e palette rotanti "mobili", queste ultime solidali a un rotore.

    Il vapore era forzato a percorrere longitudinalmente la turbina espandendo la pressione e diminuendo la temperatura

    I cambi di pressione e temperatura rappresentano la cessione di calore nel processo.

    Maggiore è la cessione di calore, maggiore è il rendimento .

     

    Nel decennio a partire dal 1880, furono sviluppati due tipi di turbine, diverse per la forma ed addirittura per localizzazione nella macchina della trasformazione del calore.

    • La turbina a reazione, sviluppata da Charles Parsons, suddivideva in maniera uniforme la cessione di calore passando tra palette fisse e palette mobili: questo processo richiedeva una turbina molto lunga ed un gran numero di palette (ciascun passaggio rappresenta uno stadio) per ottenere una efficienza accettabile .
    • La turbina ad azione, sviluppata da Gustaf de Laval. In questa soluzione la totalità della trasformazione del calore avveniva alternando file di palette fisse permettendo alle palette mobili di ricevere direttamente la maggior spinta possibile dal vapore in espansione.

    Anche se la turbina ad azione risultava di relativamente più facile costruzione, richiedendo tra l’ altro un numero molto inferiore di palette della turbina a reazione, quest’ ultima ebbe sino ai primi anni del 900 una maggiore preferenza e diffusione.

     

    Nonostante la maggiore complessità e costo rispetto alle motrici alternative, ambedue i tipi di turbine prospettavano possibilità di crescita in potenza, occupavano spazi ridotti per le motrici, risultavano più silenziosi, generavano minori vibrazioni, e soprattutto erano più efficienti (maggior rendimento termico e minori consumi).

    I rischi collegati alle nuove motrici erano quelli relativi alla metallurgia ed alle lavorazioni meccaniche dell’ epoca, associati al vapore operante in circuiti chiusi a pressione, sempre più elevata; rotture di tubi od esplosioni di caldaie non erano solo ipotetici e potevano avere effetti catastrofici

     

    L'adozione della turbina per uso navale ha presentato a suo tempo un solo vero problema di ingegneria: come collegare in modo efficiente il rotore della turbina all’ elica.

    Le Turbine hanno offrono infatti il miglior rendimento a velocità di rotazione dell’ ordine di alcune migliaia di giri al minuto mentre, al contrario, le eliche sono efficienti a bassi regimi di rotazione, dell’ ordine di poche centinaia di giri/min.

    Al fine di consentire un collegamento soddisfacente tra turbine ed elica, per la trasmissione del moto fu necessario inserire un ingranaggio di riduzione tra i due elementi.

    Lo sviluppo e l’ adozione del riduttore risponde ad una idea relativamente semplice; un piccolo ingranaggio (pignone) collegato al rotore della turbina agiva su una ruota di diametro maggiore (detta ruota lenta) collegata direttamente all'albero dell'elica. Questo tipo di riduttore, detto a semplice riduzione, aveva portato anche alla definizione di turbine ad ingranaggi con cui nel primo novecento si identica vano i gruppi propulsori

    Tuttavia, nonostante la semplicità del concetto, l’ applicazione, per le inevitabili grandi dimensioni della ruota lenta nel caso della semplice riduzione, si traduceva in apparati pesanti e voluminosi, di difficile e costosa lavorazione, che richiedevano una grande specializzazione e macchine utensili speciali, molto sofisticate, per assicurare la precisione necessaria.

    La complessità aumentava enormemente nel caso in cui più di una turbina dovesse essere collegata alla stessa elica e quindi più pignoni a differenti velocità di rotazione impegnassero la ruota lenta .

    A partire dal 1930, le principali marine militari stavano considerando o sperimentando in qualche modo il miglioramento delle prestazioni e la diminuzione dei consumi puntando all’ incremento tanto della pressione quanto delle temperature del vapore.

    In questo modo si aumentava il contenuto termico e la successiva trasformazione del calore in lavoro per realizzare apparati motore di maggiore potenza e molto più leggeri, per navi non solo più veloci ma anche di maggiore autonomia.

    Per raggiungere le desiderabili pressioni e temperature più elevate del vapore, condizioni definite generalmente in inglese come "high steam ", ci si doveva però confrontare (superandole) con varie incognite ed una serie di ostacoli tecnici.

     

    Per poter operare correttamente nelle nuove condizioni (High steam) era necessario introdurre sistemi affidabili di controllo della pressione e della temperatura in caldaia (anche per non creare danni a valle, alle turbine), impiegare acciai legati in grado di sopportare maggiori sollecitazioni della ghisa sino ad allora impiegata nella costruzione delle macchine, insieme ad altri sostanziali miglioramenti meccanici che permettessero elevati regimi di rotazione di turbine ed assi molto differenti a seconda delle andature e delle esigenze operative, pur mantenendo la massima efficienza anche nei picchi.

    Questo comportava, tra l’ altro, una estrema precisione nella fabbricazione delle palette delle turbine e degli involucri delle turbine.

    Il superamento di tali ostacoli era considerato non solo proibitivamente costoso, ma anche rischioso, oltre a richiedere una rivoluzione, anche impiantistica, nelle lavorazioni meccaniche.

    Senza il corretto utilizzo di acciai legati, ad esempio, le rapide variazioni di carico tipiche delle unità militari che devono istantaneamente cambiare velocità e rotta, avrebbero molto facilmente causato surriscaldamenti e rotture , senza alcun risultato.

     

    In breve, l’ adozione di vapore di migliori caratteristiche ( “high team”) imponeva un salto tecnologico in tutti campi collegati alle costruzioni navali, , industriali e cantieristici, balzo che era al di la delle possibilità industriali di molte delle potenze navali sino agli anni’20. Di conseguenza, le pressioni e le temperature del vapore rimasero relativamente immutate dopo l'avvento della turbina a vapore.

    Queste limitazioni, e la relativa tendenza, con resistenza al cambio, sono continuate per molte Marine, le cui aspirazioni non erano sufficientemente supportate a monte da un’ industria nazionale dinamica ed innovativa, ben al di la degli anni ’20, ed addirittura fino al seconda dopoguerra.

     

    A parte una serie di esperimenti (dai quali si isolarono sia la Royal Navy che la Regia Marina, e le misero fuori gioco) che portarono ad applicazioni operative, rivoluzionarie nella Marina tedesca ed in poche navi da guerra francesi, limitate in marine minori come la norvegese ed in ultimo nella marina imperiale nipponica, l'unica vera eccezione negli anni ‘30 fu la US Navy che seppe stabilire un serio programma di evoluzione, gestendo una difficile transizione,anche industriale, i cui frutti si mantennero in pratica sino alla fine dell’ era del vapore.

     

    Come corsi e ricorsi non solo della storia ma anche della tecnica e delle mode tecniche, occorre ricordare che la seconda guerra mondiale portò in evidenza negli Stati Uniti la propulsione turboelettrica. Occorre anche ricordare che l’ ipotesi della propulsione turboelettrica era molto considerata per grandi transatlantici degli anni en in campo militare fu la prima e la principale per le unità pesanti tedesche nella seconda metà degli anni ’30, abbandonata in sede di perfezionamento del progetto sia per i maggiori pesi, sia per difficoltà tecniche dell’ industria tedesca sia per i lunghi tempi di produzione e messa a punto

    L’ adozione da parte della US Navy della propulsione turboelettrica su certi tipi di unità permetteva di aggirare in parte il critico collo di bottiglia della produzione di turboriduttori e consentiva certe flessibilità e vantaggi operativi. Il più tipico è il il caso delle petroliere del tipo T-2 costruite in gran numero (438 unità per la US Navy tra il 1939 al 1945). Queste navi che utilizzavano comunque già vapore di alte prestazioni (high steam) consentirono bassi consumi , peso totale dell'impianto estremamente contenuto, e la possibilità di alternare la produzione dell’ energia elettrica tra la propulsione ed i servizi di bordo, in particolare le pompe del carico e quelle di travaso nafta, che assicuravano anche l’ importante funzione del rifornimento in mare. Si otteneva il vantaggio di ridurre la lunghezza delle tubolature calde, in particolare esterne al locale macchine. Sorgeva peraltro il problema dell'isolamento elettrico che richiede particolari accorgimenti ed una sorta di blindatura per eliminare dispersioni e qualsiasi possibilità di corto circuito .

    La mancanza di materiali pregiati, quali quelli richiesti per questo genere di impianti elettrici, rendeva questa soluzione proibitiva per industrie diverse da quelle statunitensi.

  12. Le tubolature

    L’ interno di una nave è caratterizzato da ragnatele di tubi, reti cavi, condotte che si intersecano si sovrappongono, in alcuni con forme e percorsi che sembrano irrazionali, e ciascuna di esse deve essere nota nei dettagli al personale di condotta e manutenzione, e nel possibile essere accessibile.

     

    I percorsi cavi e tubolature erano la parte più dura e meticolosa della progettazione navale, oggi risolta in gran parte con il disegno tridimensionale computerizzato, ma sino a pochi anni or sono si ricorreva costantemente a modelli in grande scala 1:25 per verificare la fattibilità della sistemazione e poi ricavare repliche in scala definitivi di ciascun tratto o passaggio da portare in officina e portare a dimensioni reali rispettando le forme.

     

    Ogni tubolatura è sostanzialmente costituita da relativamente corti da spezzoni di tubo, non solo per il trasporto e l’ installazione ma per ragioni funzionali, con la necessità di opportune intercettazioni , di deviazioni, di collegamenti secondari, di biforcazioni, di duplicazioni: una tubolatura di conseguenza è composta di piccole parti molto complesse; i problemi relativi alle tubolature ed alla loro sistemazione ed accessibilità si esasperano sulle unità militari, dove la riduzione di spazio, la sovrapposizione e la duplicazione di circuiti richieste porta che le tubi e le condotte spesso debbano seguire percorsi tortuosi e complicati, spesso al di sotto di macchinari. Da tutto ciò deriva il problema delle giunzioni.

     

    Nelle moderne costruzioni, a maggio ragione quando la manutenzione non è più demandata alle sole forze di bordo, è prevalso l’ uso della saldatura, soprattutto quando tubi e condotti sono sottoposti a condizioni estreme (temperatura e/o pressione), anche per evitare le perdite e le difficoltose regolazioni che imponevano le giunzioni di altro tipo, specialmente a flange (generalmente rimaste per tutti i collegamenti attraverso valvole). Le tubolature sono spesso di acciai speciali, e questo comporta particolari tipologie di saldatura ad arco in ambiente controllato (TIG ed altro), controllo radiografico e spesso ricottura delle saldature in loco (molto più semplice in forno, a terra, quando si può ricorrere alla prefabbricazione).

     

    Le tubolature non possono però essere collegate rigidamente alle strutture dello scafo, sia per rispondere alle severe norme antishock ed antivibrazione a cui sono soggette le costruzioni navali, sia per ragioni pratiche, in quanto collegano macchinari e componenti montati generalmente su supporti elastici o comunque soggetti a notevoli spostamenti, sia ciclici che momentanei.

    Quando si trattava di vapore (ed oggi comunque di alte temperature, seppur in casi e condizioni molto più limitate) interveniva il fattore dilatazione termica che complicava enormemente i problemi di allestimento e collegamento.. I collettori – definiti cosi i tubi principali – venivano collegate allo scafo od ai ponti mediante molle tarate (ad una ad una) che pur mantenendo la rigidità della tubolatura smorzando le vibrazioni, ne permettessero spostamento assiali con quella elasticità necessaria per evitare tensioni e rotture. Il problema non era né insignificante né limitato, in quanto ogni 3 o 4 metri di tubolatura doveva essere previsto un giunto di dilatazione ( di seguito , quali esempi schematici, gli accorgimenti per soddisfare i predetti requisiti di libera dilatazione delle tubolature (Maggiormente per il vapore principale, ma comunque validi e necessari in altra scala per le altre tubolature di bordo)

     

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    iunti di dilatazione tubolature vapore

    1)a soffietto 2 ) a lira - 3) a scorrimento

     

    Tubolatura vapore principale

     

    La tubolatura vapore principale era quella che portava il vapore surriscaldato dalle caldaia alle motrici; i due estremi di tale tubolatura sono le valvole di presa vapore all’ uscita del surriscaldatore di ogni caldaia e le valvole di manovra in motrice.

    La sistemazione di questa tubolatura, molto complessa e con opportune ridondanze, e se possibile ad anello, era tale che qualsiasi caldaia o gruppo di caldaie di una nave potesse inviare il vapore a qualsiasi delle motrici, il gruppo turbo riduttore nelle unità moderne. Quando, soprattutto sulle unità maggiori, si poteva sistemare la tubolatura di vapore principale ad anello, veniva sviluppata in modo tale da alimentare le motrici indifferentemente con il tratto di dr o di Sn. La tubolatura, ad anello o no, doveva essere in condizione di essere “frazionata”, sia per separare tra loro i gruppi di motrici sia per intercettare eventuali avarie, di funzionamento o di combattimento.

    Per le temperature e pressioni in gioco, soprattutto sulle unità di ultima generazione, della MMI a partire dagli anni 50, tale tubolatura ed i relativi accessori era costruita con acciai speciali, generalmente Cr Mo; significativo che le tubolature nelle navi post belliche fossero saldate, con enormi risparmi di peso e complicazioni nei percorsi e nelle giunte, anche se in caso di avaria si doveva ricorrere al taglio delle tubolature in loco ed alla saldatura in loco, spesso con la necessità di trattamento termico in loco del metallo.

    Per la sua lunghezza e per le temperature in gioco , bisognava tener conto delle grandi dilatazioni, con appositi giunti e raccordi, ed opportuni accorgimenti per i passaggi delle paratie stagne, che dovevano rimanere sempre tali ed assicurare il funzionamento delle motrici, e delle caldaie, anche con i compartimenti contigui allagati.

    Passaggio a paratia stagna di tubolatura vapore, con relativa coibentazione 15ev2tg.jpg

     

    Altro elemento essenziale, e condizionante, era la coibentazione, che doveva enormemente ridurre la trasmissione di calore, in modo che per quanto calde le superfici esterne permettessero il passaggio e l’ eventuale contatto di altre parti, apparecchiature e dello stesso personale; la coibentazione , molto voluminosa ed in forma assai complicata, in modo da non lasciare nessuna fuga o mancanza di continuità, riguardava ogni raccordo, flangia, presa e strumento collegato alla tubolatura principale; il materiale principalmente usato era il tanto esecrato amianto (di cui non si conoscevano gli effetti cancerogeni) preparato in forma di cemento, coppelle, lastre, tessuti ecc, oltre all’ uso di particolari cementi per modellare le zone più difficili, di speciali cementi a base di farine fossili.

     

    Di seguito uno schema , solamente indicativo e non caratteristico di alcuna unità, della tubolatura principale di una unità su due assi, con due sole caldaie e due motrici, una per asse.

    Tubolatura vapore principale

    Schema indicativo unità a due assi con due caldaie e due TR

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    Lo schema, per essere indicativo e di immediata comprensione, come tale non tiene conto dell’ effettivo posizionamento longitudinale nello scafo dei compartimenti, né della posizione reciproca (come risulta invece dai precedenti schemi indicativi iniziali degli apparati MMI sino agli anni 60)

     

    Altro punto critico, complicato, costoso erano le valvole, già citate in un post precedente di Helsingor, spesso veri gioielli di meccanica, che dovevano avere speciali dispositivi per equilibrarle e premetterne la rapida e sicura manovra, costruite con materiali speciali e con lavorazioni di grande precisione per assicurare la tenuta ad alta pressione ed alta temperatura

     

    Tubolatura vapore ausiliario

     

    E’ importante che le caratteristiche, e quindi le difficoltà impiantistiche, del vapore ausiliario nelle più recenti unità della MMI erano spesso superiori a quelle dello stesso vapore principale delle precedenti unità della R.M.

    Tubolatura vapore ausiliario

    Schema indicativo unità con due caldaie, due motrici, 4 turbogeneratori, due per locale

    IMG]http://i61.tinypic.com/zl6pfp.jpg[/img]

    L’ uso di vapore “ausiliario”, ossia di vapore a minore pressione di quello delle motrici principale, consentiva di realizzare tutti i macchinari ausiliari (turbopompe alimento, lubrificazione, spinta nafta, circolazione acqua di mare al condensatore, ecc nonché i vari riscaldatori) che grazie a questa scelta risultavano più semplici, potevano essere realizzati con materiali meno pregiati, risultando in definitiva più leggeri e meno costosi; era pertanto necessario disporre di una tubolatura separata per la distribuzione di vapore a condizioni e caratteristiche “inferiori”, una rete, spesso con una propria presa in caldaia ed altre volte spillata dalla rete vapore principale, che aveva un percorso più esteso ed in parte parallelo a quello del vapore principale, una rete comunque con le stesse caratteristiche di costruzione ed allestimento di quella del vapore principale.

    La rete vapore ausiliario aveva un ruolo fondamentale nel lungo processo di approntamento al moto degli apparati motore a vapore: era collegata alla rete vapore principale per le operazioni di riscaldamento della stessa, e questo consentiva che in caso di avaria grave, anche le motrici, seppur a condizioni inferiore, potessero venire alimentate attraverso le tubolature del vapore ausiliario.

     

    Tubolatura vapore di scarico

     

    Non si potrebbe parlare di ciclo vapore, e di ciclo chiuso, se non venissero accuratamente adottati i minimi artifizi progettuali e tutte le misure di condotta per recuperare il vapore di scarico, sia ai fini del rendimento complessivo dell’ impianto, sia per evitare quelle rientrare di aria che sono cosi perniciose per la sicurezza e la vita degli impianti.

    Si passava dall’ alta pressione in caldaia al vuoto spinto al condensatore, con enormi problemi tecnologici e di condotta, con notevoli rischi di condotta in ogni caso.

    La tubolatura vapore di scarico convogliava gli scarichi di tutti macchinari (e componenti non dinamici, quali riscaldatori ecc) al condensatore principale o, qualora esistesse (grandi unità), al condensatore ausiliario.

    Esisteva l’ accorgimento di poter scaricare il vapore all’ atmosfera in caso di necessità.

    Importante era anche la funzione “attiva” di convogliare il vapore di scarico, che comunque aveva ancora un grande potere termico, tanto ai deareatori come agli evaporatori che avevano la funzione di produrre acqua distillata per il ciclo vapore.

     

    Di seguito, con gli stessi concetti di semplificazione dei precedenti, lo schema della tubolatura vapore di scarico relativa al solito apparato motore.

     

    Tubolatura vapore di scarico

    Schema indicativo unità con due caldaie, due motrici, 2 deareatori, 1 evaporatore turbogeneratori, due per locale

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    Altre tubolature: tra le reti dell’ apparato motore due avevano particolare importanza, le seguenti:

    • la rete nafta, che collegava le casse deposito e di servizio, in cui erano inseriti anche sia filtri sia riscaldatori nafta (a vapore) necessari per rendere fluido e pompabile il combustibile; questa rete era servita sia con turbopompe sia con pompe elettriche. Fondamentale in questi circuiti era l’ inserimento di una valvola, detta di “rapida chiusura” che permetteva l’ intercettazione immediata di combustibile ai polverizzatori in caso di spegnimenti di emergenza
    • la rete lubrificazione: serviva a distribuire olio in pressione in tutti gli elementi dell’ A.M. principale, sia dotati di moto rotativo sia di strisciamento (cuscinetti portanti e reggispinta, equilibratori ed evidentemente riduttore). La pressione in queste tubolature era mantenuta tra i 3 ed i 4 Kg/cm2, ed aveva un gran numero di sicurezze, con ridondanza di pompe, turbopompe ed elettriche, che entravano automaticamente in funzione quando la pressione scendesse intorno a1,5Kg/cmq; l’ olio in circolazione doveva essere di alta qualità e privo di ogni impurezza solida od acqua, ed a temperatura il più possibile ridotta e costante; erano pertanto inseriti nei circuiti sia refrigeranti, sia filtri, sia depuratori centrifughi
    • la rete esaurimento e grande esaurimento: elettropompe immergibili e turbopompe (anche le stesse pompe di circolazione al condensatore) che assicurassero il rapido esaurimento, anche in caso di falla; era necessario un sistema di innesco, ed era predisposta tutta una rete di pescanti per poter attingere in qualsiasi zona dello scafo. La rete esaurimento si sovrappone normalmente alla rete esaurimento sentina, di uso continuo e normale, che si avvale di eiettori idraulici

    Rischi: ogni tubolatura in pressione costituisce un pericolo, e negli a.m. a vapore i rischi erano forse addirittura esagerati, ed esistevano tutta una serie di accorgimenti pratici per proteggersi, soprattutto dalle pericolose e micidiali fughe di vapore, insidiose in quanto il vapore surriscaldato è invisibile ed inodore. Un ulteriore notevole rischio era rappresentato dalle reti nafta e lubrificante; qualsiasi piccola perdita, peggio se un forellino, si traduceva in nebulizzazione di combustibile, che alle temperature esistenti in a.m. sia superficiali che a volte ambientali, potevano portare all’ autoaccensione.

     

    Uso del vapore: l’ uso del vapore era fondamentale per la lotta antincendio, soprattutto nei locali dello stesso apparato motore, era l’ agente con il quale si poteva intervenire per soffocamento, anche su fiamme libere, ed era l’ agente che tutto sommato causava meno danni collaterali; erano previste apposite prese e tratti appositi di tubolature, con erogatori (pigne) posizionate nelle aree di maggior rischio. Evidentemente lo spegnimento incendi con vapore presupponeva l’ assenza totale di personale nei locali

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    Considerazioni sulla transizione da Regia Marina a Marina Militare

    Già da queste semplici note si comprende quanto fosse complicato per la Regia Marina, in assenza di tecniche e processi di saldatura, con penuria di materiali speciali, dotarsi di apparati motori potenti e leggeri; il peso e la dimensione degli apparati motori, e per altri versi i consumi, furono il tallone di Achille della regia Marina, mentre meno sensibile fu – rispetto ad altre Marine, il tema dell’ affidabilità e della prontezza operativa, per la cura posta dalla R.M. nella formazione del personale, molto di più votato e dedicato alla manutenzione e riparazione con mezzi di bordo, e nella capillare diffusione di strutture arsenalizie

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  13. Grazie Helsingor

    sto cercando di portare il tutto ad un livello comune di interpretazione per poi entrare in dettagli di casi specifici e, spero, di analisi storica sugli .am.

    Conosco personalmente i casi che hai menzionato e, proprio nel post che oggi sto caricando, nella descrizione introduco i problemi di rischio e di estinzione

    Sull' Anita Monti non si ricorse all' estinzione a vapore che avrebbe comportato meno danni.

    a dopo

  14. Cerco di procedere in forma coerente con quanto sto postanto su caldaie navali, in modo dapoter meglio interpretare i vari problemi.

    Mi scuso (ed ho ancora bisogno di assistenza) per le difficoltà che incontro nel postare disegni e foto (adesso ho problemi di dimensioni)

     

     

    Le tubolature dell circuito di alimento, chiuso e semichiuso, ed i sistemi di deaerazione dell’ acqua di alimento

     

    L’ acqua di alimento delle caldaie deve essere completamente prive di Sali e di ossigeno libero: la poca conoscenza dei fenomeni relativi all’ acqua di alimento fu una delle principali e continue cause di avaria delle caldaie ad altissima pressione adottate in particolare sulle unità delle Reichsmarine, con conseguenze disastrose per tutta la guerra sulla prontezza e disponibilità delle unità; al contrario l’ estrema cura nel trattamento acqua da parte della UN Navy aumentò l’ affidabilità e la disponibilità degli a.m. per mettendo lunghissime campagne continuative da parte di unità dislocate soprattutto in Pacifico.

     

    Il sistema di alimentazione a circuito chiuso si realizza con il passaggio , il più diretto possibile. Dell’ acqua – vapore condensato dopo il passaggio nella turbina di bassa pressione- dal condensatore alla caldaia. Questo avviene attraverso le pompe di estrazione e di alimento, con la prescrizione assoluta che quest’ acqua non venga mai a contatto con l’ aria per non assorbire ossigeno (che in caldaia, e meglio ad alta temperatura, attaccherebbe i tubi).

    Questa esigenza comporta certe complicazioni ai circuiti, con certe complicazioni sui circuiti: prima di tutto bisogna tenere conto, soprattutto per le unità militari, delle variazioni di andatura, che si traducono in variazioni del regime di alimentazione delle caldaie in funzione della richiesta e consumo del vapore. In diminuzione di andatura, in particolare, l’ acqua di condensa supererebbe il quantitativo richiesto dalla pompa di alimento .

    Negli impianti a vapore meno evoluti, e quindi negli impianti adottati dalla R:M e poi dalle unità MMI sopravvissute agli eventi bellici, quando l’ acqua di condensa superava in quantità la necessità di alimento, veniva inviata ad una cassa polmone, detta “pozzo caldo”, a pressione atmosferica, dove pertanto avveniva una contaminazione di aria/ossigeno. Ovviamente quando si verificava un difetto nella richiesta della pompa di alimento, l’ acqua condensata doveva passare dal pozzo caldo al condensatore dove non solo compensava la deficienza ma dove (essendo il condensatore sotto vuoto) si privava dell’ aria assorbita durante la permanenza nel pozzo caldo.

    Negli impianti RM la funzione, importantissima, di deaerazione era compiuta solo dal condensatore , dove il livello di acqua era mantenuto costante da una valvola galleggiante.

    Il sistema, comune a tutti gli impianti a vapore sino agli anni 40, ed ancora in uso nella MMI sulle unità sopravvissute al conflitto, funzionava secondo lo schema seguente (che qualcuno definisce anche circuito di alimento semi-chiuso)

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    Schema circuito alimento con pozzo caldo

     

    Il sistema di deaerazione nel solo condensatore non era del tutto soddisfacente, e meno lo sarebbe stato aumentando temperatura e pressione in caldaia, con effetti su tutto il ciclo. Si può affermare che il sistema descritto era accettabile sino a pressioni del vapore di 25 Kg/cm2, e le caldaie RM che pur superavano tale limite di poco cominciavano a dare problemi.

    La solubilità dell’ aria nell’ acqua diminuisce con l’ aumento della temperatura e diviene nulla quando l’ acqua raggiunge la temperatura di saturazione, ma riscaldando l’ acqua areata sino alla temperatura di saturazione 8ed oltre) pur non rendendo solubile l’ ossigeno contenuto nell’ aria, non si rimuovono le molecole di tale gas, che possono essere eliminate solo attraverso una energica agitazione. Bisogna sempre tenere presente che l’ azione corrosiva dell’ ossigeno aumenta all’ aumentare della temperatura.

    Se questo era un limite per le caldaie RM che marciavano poco al disopra dei 300°c, si può ben immaginare quale fosse il problema per le caldaie ad alta pressione tedesche che superavano abbondantemente i 600°C, e questo, insieme all’ inadeguato trattamento chimico dell’ acqua di alimento (eliminazione di Sali e depositi) fu il vero tallone di Achille della Reichsmarine, con unità continuamente non pronte per avarie alle caldaie, oltre a continue avarie in missione.

    Nella US Navy il problema fu identificato e sufficientemente risolto agli inizi degli 40, e fu uno dei (tanti) motivi che portarono la US Navy a non adottare mai caldaie ad altissima pressione ed altissima temperatura: come abbiamo già trattato, lo standard praticamente adottato di pressioni tra 40/50 Kg/cm2 e temperature tra 450 e 500°C risultarono il miglior compromesso di equilibrio che si mantenne sino alla fine dell’ era del vapore.

    Fu anche lo standard adottato dalla MMI a partire dagli anni ‘ 50, con Impetuoso ed indomito e la classe Cigno/Canopo.

    In questi impianti per l’ azione di seconda deaerazione e di cassa polmone è risultato necessario inserire una particolare cassa (non strutturale, in effetti un grosso cilindro con fondo semisferico e conico generalmente sistemato il più in alto possibile nel locale motrici ed in prossimità del condensatore), isolata dall’ atmosfera, detta deareatore (il cui posizionamento, in quanto standard, è stato indicato nel precedente schema del ciclo vapore.

    Come abbiamo detto per separare ed eliminare le molecole di ossigeno occorreva un’ energica agitazione, “scrubbing” in inglese, che avveniva nell’ apparato schematicamente indicato a continuazione. E permetteva la quasi completa eliminazione dell’ aria dall’ acqua di condensa

     

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    Schema Deareatore

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    L’ acqua di estrazione dal condensatore passa attraverso il fascio tubiero allo scarico del deareatore (parte superiore Dr) e viene spruzzata attraverso una specie di soffione nella parte superiore della cassa dove esiste una specie di deflettore. L’ acqua cosi spruzzata cadendo incontra controcorrente un getto di vapore, proveniente dalla tubolatura scarichi, che agita violentemente le goccioline di acqua rimuovendo il gas e riscaldandole allo stesso tempo. L’ acqua cadendo si raccoglie sul fondo della cassa mentre la miscela di aria, gas e vapore dalla parte alta, sopra il deflettore già citato, passa attraverso il piccolo condensatore superiore (sulla destra nello schema) ed eventualmente anche in un altro condensatore (vapore scarico manicotti, di cui parleremo con le motrici) dal quale l’ aria viene eliminata e scaricata all’ atmosfera attraverso una valvola regolatrice.

    Il deareatore era isolato dall’ atmosfera e funzionava a pressioni interne tra 0 e 1,2 kg/cmq, compiendo anche la funzione di preriscaldatore dell’ acqua di alimento sino a 100/120 °C. Il deareatore era tanto efficace che riduceva il contenuto di ossigeno a 0,01 millilitro per litro d’ acqua, in qualsiasi condizione di funzionamento compresa la massima potenza..

    Come ulteriore aiuto e controllo dell’ acqua di alimento, per evitare il formarsi di bolle di vapore nel circuito di aspirazione, tra il deareatore e le pompe di alimento principale erano inserite pompe centrifughe, sottostanti il deareatore ed innescate per gravita, definite “pompe aiuto alimento”.

     

    Sistema di alimento caldaie e sicurezza relative

    Componente fondamentale, considerato che sulle moderne caldaie, come le caldaie FW adottate dalla MMI, in mancanza o ritardo di alimento idi soli 20 secondi (!!!) si sarebbero cominciate a scoprirsi nel collettore superiore le estremità dei fasci tubieri, danneggiandoli.

    L’ acqua di alimento, proveniente con una certa temperatura dal deareatore (sulle navi più anziane direttamente dal condensatore), veniva spinta – ad alta pressione, ovviamente maggiore della pressione di esercizio della caldaia - attraverso le pompe di alimento che, prima dell’ ingresso nel collettore superiore facevano circolare l’ acqua nei riscaldatori di alimento o nell’ economizzatore situato sullo scarico al fumaiolo dei gas combusti.

    Ovviamente per ragioni di sicurezza, i circuiti di alimento dovevano essere duplicati: ogni caldaia aveva due sistemi di alimentazione, “principale” e “ausiliario”, indipendenti tra loro, ognuno servito da una pompa, ciascuna in grado di fornire da sola alla caldaia l’ acqua necessaria per la massima produzione di vapore prevista.

    All’ attacco delle due tubolature di alimento, sul collettore superiore della caldaia, erano sistemate due “valvole di alimento”, anch’ esse – rispettivamente- “principale” ed “ ausiliaria”: le caratteristiche di queste valvole erano quelle di non ritorno, ossia venivano mantenute aperte dalla maggior pressione rispetto alla caldaia delle pompe di alimento ma si chiudevano istantaneamente (il fungo della valvola era staccato dall’ asta) in caso di caduta della pressione di alimento per evitare svuotamenti della caldaia. I tempi di reazione su tali valvole erano talmente ridotti, per l’ immissione dell’ acqua in caldaia, che le stesse erano collegate a sistemi automatici detti autoregolatori dell’ acqua di alimento.

    Degli autoregolatori di alimento e delle particolari necessità parliamo nella sezione caldaie.

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