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PELLICANO

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Risposte pubblicato da PELLICANO

  1. L’ importanza dei modelli nello sviluppo delle costruzioni navali

     

    Siamo abituati a considerare i modelli come meravigliosi elementi decorativi, utilissimi strumenti di promozione, accettiamo da più di un secolo che i modelli (di scafo) sono determinanti per la progettazione, con le applicazioni per le vasche navali, ma è poco nota la determinante funzione dei modelli in scala per lo sviluppo e l’allestimento degli a.m. e degli interni in generale, soprattutto per unità militari.

     

    I modelli sono stati determinanti nelle costruzioni per il quarantennio che va dalla metà degli anni 30 sino alla metà degli anni 70 (per l’Italia dagli anni 50 sino alla metà degli anni 70).

    Bisogna rifarsi alle procedure di progettazione precedentemente in corso per rendersi conto del fondamentale apporto della modellistica, che ha permesso la progettazione tridimensionale, in un epoca in cui il maggior sviluppo tecnologico erano il tecnigrafo ed il regolo calcolatore : il disegno, ovviamente una rappresentazione in piano, con una ola dimensione, veniva sviluppato separatamente da progettisti divisi per specialità (generalmente scafo/struttura – apparato motore – servizio elettrico – allestimento ed armi); pensate che per le navi militari italiane i settori / partite di costruzione/ allestimento erano 32 (trentadue !!), corrispondenti a distinti gruppi di lavoro.

    I moltissimi disegnatori per ciascun settore addirittura lavoravano separati, spesso in sedi diverse, ed era un lavoro oneroso, come costo e soprattutto come tempi, cercare di compatibilizzare una enorme massa di disegni, schemi percorsi che interferivano tra loro (da parte di pochi esperti, conoscitori dei vari aspetti, preziosissimi, che facevano la differenza tra gli uffici tecnici di un cantiere e di altri; sotto questo aspetto la R.M, rispetto ad altre Marine, fu avvantaggiata dal disporre del corpo del Genio Navale, con ingegneri non solo tecnicamente ben preparati ma esperti anche di conduzione e vita a bordo) .

    A partire dagli anni 60 un primo rimedio dei cantieri, anche a seguito dei processi di concentrazione, fu il tentativo di concentrare in un’unica sede la progettazione, ma pur migliorando non si trattò di una soluzione rispondente ai veri problemi.

     

    Quando i disegni passavano al cantiere si ricominciava con i disegni esecutivi, di officina, di dettaglio, scalando nel tempo le varie attività/settori, e questo impediva in gran parte l’allestimento con officine/squadre operanti in contemporanea, in parallelo.

    La precedenza veniva ovviamente assegnata allo scafo che veniva costruito e varato varato praticamente nudo destinarlo all’ allestimento: dall’ ultima fase sullo scalo e dallo scafo ormai ormeggiato in banchina iniziava una attività di rilievo in loco, che riscontrava sui disegni di progetto (quelli forniti dagli uffici tecnici) la realtà di bordo ed adattava ai macchinari principali le sequenze e procedure di montaggio, con a seguire le apparecchiature ausiliarie e gli accessori (tubolature valvole ecc.; i rilievi ed i lavori avvenivano per lo più in sequenza, con certe priorità (poco in parallelo) con tempi lunghissimi di allestimento e con gli inconvenienti tipici del “chi tardi arriva male alloggia”.

    Il risultato era che certi passaggi risultavano troppo angusti, i percorsi tubi e cavi erano lasciati all’ esperienza ed alle possibilità risultanti dalle attività ed installazioni precedenti, e molto spesso le accessibilità, manutenzioni, manovre erano difficili e diverse da nave a nave, soprattutto se “gemelle” costruite in cantieri diversi.

    Una soluzione difficile, costosissima, insostenibile, che ha giocato molto a sfavore della Regia Marina e delle costruzioni navali italiane, complicata anche dal fatto che anche su “navi gemelle” macchine ed apparati erano diversi e di costruttori diversi, obbligando quindi ad allestimenti artigianali.

    Il problema non era diverso in altre marine, dove però si cercò di risolvere concentrando le costruzioni per tipi in determinati cantieri, ed adottando nel possibile apparati e macchine di un solo tipo.

     

    Il punto di svolta si ebbe negli anni 30 negli Stati Uniti, separando la progettazione dai cantieri costruttori con la concentrazione della progettazione in un solo contraente per tipo (il principale progettista, che segnò una svolta ed un’era, fu Gibbs&Cox che progettò il 70% delle unità della US Navy della 2^Gm, vera e propria industria intellettuale che opera ancora ai giorni nostri).

     

    Con la ripresa delle costruzioni navali dopo la lunga stasi successiva alla 1^Gm ed agli anni di recessione la US Navy si trovò schiacciata dalle lobbies dei cantieri navali rimasti dopo la grande crisi del ’29, e fece ricorso ad un progettista coordinatore, Gibbs&Cox, non solo capace e veramente all’ avanguardia per quanto riguardava la tecnica navale, la propulsione e soprattutto la sicurezza, ma era anche politicamente molto influente.

    A partire dal primo programma di costruzione di caccia (destroyers) di una certa consistenza numerica (la classe Mahan) il progettista introdusse una nuova procedura, una vera rivoluzione rivelatasi vincente, la costruzione anche in campo navale di modelli in grande scala, generalmente 1:24 nel sistema inglese (in seguito, 1:25 nel sistema metrico).

     

    4iol21.jpg

    il particolare dell’ AM di un Classe Gearing, lo USS Agerholm

     

    Nulla è così caratteristico e può spiegare i rapidi progressi nel campo dell'ingegneria americana 1918-1940 e la conseguente complessità di macchine e attrezzature, come l'ascesa e la perfezione dell'arte del modellismo.

     

     

    kamj6a.jpg

    il modello completo di un Classe Gearing, lo USS Agerholm

     

    In effetti esistevano alcuni precedenti: a causa delle condizioni critiche e di estrema saturazione degli spazi negli apparati motori dei sommergibili, era stata adottata la pratica di fare un 'mock-up', come veniva chiamato, che tenesse conto delle macchine, delle sempre crescenti necessità di ausiliari, degli spazi di manovra.

    Non si parla evidentemente di modelli, ma si Mock up in scala naturale, in legno (per curiosità lo stesso venne fatto in Italia negli anni 60 con il Toti).

    Un ausilio di verifica più che di progettazione.

    Senza la prova pratica del mock-up sarebbe stato quasi impossibile installare tutti i macchinari necessari e soprattutto sarebbe stato impossibile sia definire la sequenza di installazione rendere facilmente eseguibili o facilmente accessibili le manutenzioni e le riparazioni.

    L’ approntamento di tali modelli per i locali macchine aveva preso l’ avvio presso il Brooklyn Navy Yard ed è stato impiegato nella progettazione e la costruzione delle navi da guerra North Carolina e Washington, le prime corazzate del nuovo programma post 1^ GM, ma nessuno poteva prevedere lo sviluppo, la raffinatezza, l'arte della costruzione del modello in scala, evidentemente più maneggevole e vero ausilio di studio e progettazione messa in atto da Gibbs e Cox, i progettisti che dovevano affrontare l’ aspra controversia della costruzione dei nuovi Ct della US Navy, un vero caso nazionale.

     

    Gibbs&Cox non affidò ad esterni il lavoro ma costituì una propria divisione interna, che lavorò da subito in stretto contatto ed in tempo reale con progettisti e compratori di apparati.

    La tecnica del modello non riguardò solo l’apparato motore ma tutti gli spazi interni riprodotti in modo accurato in grande scala.

     

    f1k1ly.jpg

    il Cn del modello classe Gearing, lo USS Agerholm

     

    [Molti dei particolari non riguardavano solo i volumi in scala, ma erano a loro volta modelli esplosi, con perfetti dettagli in scala, come questo particolare di caldaia del modello precedente.

     

    sx255k.jpg

    ]il dettaglio della caldaia dello stesso modello Classe Gearing, lo USS Agerholm

     

    I modelli da una parte costituirono parte delle specifiche da consegnare ai cantieri costruttori, e dall’ altra divennero anche strumento e procedura di accettazione da parte della US Navy, e nessun pezzo, attrezzature o macchina dello scafo del modello è stata installata fino a quando disegni e modello non fossero approvati dal Dipartimento della US Navy.

    Il modello diventa così uno strumento di progettazione, ma anche un processo grafico per l’approvazione della costruzione da parte del committente.

    I modelli erano così accurati da retroalimentare i disegnatori, che ne verificavano ed addirittura ricavano dimensioni: si risolsero così i principali problemi di allestimento, i percorsi cavi ed il percorso delle tubature.

    I componenti interni non erano rigidamente fissati, in modo da valutare anche alternative, ed i modelli erano talmente accurati che divenne facile ed usuale, nel caso delle tubolature, rimuovere e rilevare i particolari per poi passare i componenti dei modelli in officina per la realizzazione dei segmenti di tubolatura e posizionamento valvole, evitando i lunghi e costosi rilievi a bordo.

    I successi in merito alla disposizione ed all'accessibilità delle unità della classe Mahan possono essere accreditati in gran parte al modellismo, e segnarono un punto di svolta nelle costruzioni navali, definendo le procedure per le successive numerose classi di costruzioni belliche, affidate a cantieri privi in molti casi di uffici tecnici.

     

     

    op7p61.jpg

    Un modello di LST ad uso dei cantieri minori

     

    In Italia la procedura contrattuale dei modelli fu introdotta, ed imposta, con le commesse off shore degli anni 50 (classe Centauro) e continuò sino all’ introduzione dei disegni in CAD e tridimensionali.

    In Italia, contrariamente alla prassi statunitense, la costruzione dei modelli fu affidata ditte esterne, artigiane, pochissime e superspecializzate, mantenendo certi ritardi e difficoltà nei rapporti tra progettisti e realizzatori del modello; in Italia quindi la realizzazione dei modelli favori più l’allestimento che la progettazione.

     

    Va notato che l’uso dei modelli, non solo più di carena e non solo di allestimento, si estese in Italia negli anni ‘60 ai modelli radioelettrici, perfetti in ogni particolare e costruiti generalmente in materiale conduttore (rame) per studiare le interferenze dei vari sensori di bordo, ed ai modelli aerodinamici, per provare le unità (portaelicotteri / portaeromobili), a partire dalla classe Audace, in galleria del vento.

     

    de66j5.jpg

    l’ impressionate particolare dellle sovrastrutture C.N. del modello della Missouri

     

    I modelli di Gibbs&Cox sono nella maggior parte conservati, ed in parte visibili, al Washington Navy Yard, parte presso l’Accademia di Annapolis, mentre alcuni dei modelli italiani degli anni 50 sono conservati a scopo didattico all’ Accademia Navale ed in altri centri di formazione della Marina.

     

     

     

     

  2. l' aggiornamento del volume "le Torpediniere Italiane" mi sembra radicale; anche' io avevo sorvolato sulla' acquisto pensando ad una semplice riedizione

     

    Mi sembra - dai nuovi dati - che le ipotesi che avevamo avanzato solo in base alla logica ed esperienza fossero corrette - Sono più che mai convinto che la sperimentazione sulla 88S sia legata al programma dei sommergibili del momento ed al tentativo di produrre motori diesel nazionali. Seguirò questo filone per gli approfondimenti.

     

    Per la 115S la descrizione mi sembra un po' confusa: certamente il compressore serviva per (immagazzinare) l' aria di avviamento, ma con quelle caratteristiche non credo proprio per il "lavaggio" (inteso come ricambio dell' aria comburente) dei cilindri motore in funzionamento.

    Credo che l' aria compressa ad AP (per l' epoca) fosse solo per l' avviamento, per tali operazioni di avviamento i dati riportati sono coerenti, tra la mandata del compresso (150 atm) le bombole di stoccaggio (70 atm) mentre la pressione di avviamento - per problemi strutturali - non avrebbe dovuto superare le 30 atm Le difficoltà di avviamento sono tipiche e ripetitive, anche nel corso dei decenni successivi e dell' evoluzione, di tali tipi di motore; serviva personale molto esperto nelle manovre di avviamento ed inversione, e ben lo sanno coloro che hanno "frequentato" la scuola comando con le corvette tipo Ape/Gabbiano. Si era agli albori di quel tipo di motori, i combustibili non erano certamente evoluti, gli iniettori non certo perfetti, nessuna esperienza previa, ed amare ovvio che l' avviamento (e quel tipo di avarie citate) conseguenze dell' inesperienza. Meglio su Tp che su sommergibili, e mi sembrano corretti ed opportuni i commenti sulla' "accessibilità" del motore

  3. ieri non ho avuto tempo di entrare in una considerazione, molto nota - almeno fino ad una certa epoca, in Marina.

    Tanto il Regio Esercito come la Regia Marina alla fine della 1^ Gm incorporarono molti mezzi (o navi) come preda bellica .

    Per quanto riguarda le navi (ma credo valga anche per l' Esercito) insieme alle artiglierie si acquisirono notevoli quantità di munizionamento originale: fino a che si continuò ad utilizzare il munizionamento originale il tiro navale risultò molto centrato ed efficace; come si sa il munizionamento ha scadenza, e quando non fu più possibile usare quello originale nei depositi ripassò alla produzione nazionale: la situazione muto radicalmente, e fu il primo sintomo per la regia Marina delle deficienze delle forniture navali.

    La dispersione delle salve, dispersione che ovviamente comprende anche la gittata, fu la piaga di ogni azione navale, ed anche del tiro contraereo. Era praticamente impossibile, per le dispersioni delle salve, aggiustare il tiro, soprattutto quello navale

     

    per la produzione nazionale si adottarono standards (specifiche) di accettazione molto più blande (o più compiacenti) di quelle in uso all' estero, sia per le cariche sia per le tolleranze sui proiettili, i risultati sono noti ..

    La qualità dei mezzi dipendente dalla rigidità di applicazione delle norme (e specifiche di fornitura).

     

    La piaga del munizionamento non permise mai di valutare a fondo la qualità delle artiglierie italiane ( per le quali si ricercava una velocità elevata alla bocca, spesso maggiore di quella che vigeva in altre marine, ulteriore fattore di instabilità oltre che di maggior usura).

    Si valuta in generale che la "meccanica" delle nostre artiglierie fosse buona, ma esistevano fortissimi problemi sui materiali, per cui un elemento da prendere in considerazione è l' usura e la durata massima (n. dei colpi separabili a carica completa).

    E' ovvio che l' usura delle canne produce dispersione, che si sommava nel caso in esame, all' inaffidabilità del munizionamento.

     

    Un problema collaterale sulla precisione del tiro navale, e del tiro antiaereo in particolare, riguardava poi la totale assenza di centraline girostabilizzate come erano invece già in uso presso i nostri avversari.

    Altro problema per i nostri cannoni in affusti multipli fu la scelta, soprattutto per ragioni di peso, della culla unica, binata ed anche trinata, scelta che veniva altamente penalizzata dalla' inaffidabilità del munizionamento e dalla difficoltosa selezione per l' aggiustamento del tiro).

    Ultimo cenno: il tiro antiaereo: esistevano grosse limitazioni di alzo delle nostre artiglierie, anche per medi piccoli calibri: questo era noto ai nostri avversari che potevano essere in zona sicura (esplorazione, ricognizione e bombardamento in quota) mantenendosi sopra i 5000 mt di quota: questa deficienza fu sicuramente sfruttata nell' attacco alla Roma

  4. ..caro amico .. credi che in India o in Cina applichino la normativa europea, e soprattutto ci siano come censori dei pretori d' assalto ...?

    basta in parallelo vedere come viene applicata, dal' Italia e dal' Europa, molto prone nei confronti di India e Cina, la normativa per l' esportazione (dall' Europa) e l' importazione (in India e Cina) dei materiali non ferrosi, in primis alluminio .. le prime a sorvolare sono proprio le tanto zelanti autorità italiane, seguite da quelle europee ..

  5. io ho una copia del Martorelli, però una edizione precedente , praticamente manoscritta, con molti schemi ma povera di foto - probabilmente ti chiederò aiuto

    per il relitto, se non si trovano altre fonti, bisognerebbe avere uno schema in pianta, per vedere il posizionamento del macchinario incrostato rispetto alla linea di chiglia.

    Credo che abbiamo "incocciato" non la storia di una nave di uso locale ma di una esperienza, o almeno un tentativo di esperienza, che aveva un' altra finalità

  6. Caro Danilo,

    grazie a nome di tutti della foto: è istruttiva, ed io ho in corso uno studio sui motori a 2 tempi nella RM e nella MMI e non ne avevo una tanto chiara ne da questa angolazione.

    In quanto alla foto del relitto a me tutto fa pensare alla testata di un motore endotermico di primissima generazione e non di una motrice alternativa, ma con con quelle incrostazioni e con quella angolatura si tratta di supposizioni

    Anche' io ho chiesto ad un caro amico se poteva fare ricerche all' archivio dell' Arsenale od a quanto di esso rimane

    Credo che le date di modifica siano importanti; sino al 1908 in pratica non esisteva - in Italia - disponibilità di motori diesel adatti allo scopo; quindi se la modifica della 88S fosse stata fatta entro il 1908 o con materiali accantonati entro tale data il motore dovrebbe essere a ciclo Otto (benzina), dopo il 1908, si potrebbe trattare di un motore da sperimentare opportunamente a bordo (e quindi la trasformazione della 88S avrebbe un' ulteriore spiegazione, dopo il 1910 potrebbe trattarsi indifferentemente di motore a ciclo diesel o a ciclo otto (a parte la pericolosità di questo' ultimo tipo di installazione.

    Continuo a non dare per scontato l' installazione del motore termico al posto della motrice alternativa: anche se se potrebbe sembrare logico e più semplice, lo ritengo certamente molto più complicato per l' allestimento e gli accessori (non solo il fumaiolo) e, in forma grossolana, senza il minimo calcolo (non conoscendone la natura, più consona ad un corretto assetto con il peso del banco bombole in una posizione più arretrata.

    Nel caso di propulsione termoelettrica se interpretiamo molto alla lettera quanto tu riporti (.....il motore diesel, che attraverso un giunto elettromagnetico, garantisce la rotazione dell'elica e trascina passivamente sia la dinamo che il motore elettrico, ambedue coassiali...) il posizionamento del motore farebbe pensare ad una installazione più arretrata (sostitutiva della motrice a vapore) senza modifiche alla linea d’ assi, ma data l’ assenza del riduttore da un lato non ci sarebbero state soverchie difficoltà all’ estensione della linea stessa e dall’ altra, in mancanza di dati più probanti, data la presenza del giunto potrebbe (non a caso sottolineato ed evidenziato) non esserci continuità meccanica tra dinamo e motore elettrico (e questo non solo corrisponde ad altre soluzioni successive ma avrebbe a sua volta una logica di efficienza e manovra).

     

    Un mio collega, e grandissimo esperto, che ho coinvolto nella ricerca, avanza un’ altra interessante ipotesi, che potrebbe avere una grandissima validità e risultare fuorviante delle attuali considerazioni: quella foto della testata del relitto (non ne sappiamo né possiamo ricavare la posizione assiale) potrebbe essere quella del compressore AP .

    La sua osservazione e la sua logica mi convincono quando mi fa osservare che l'immagine fotografica che mostra delle incrostazioni a forma approssimativa di tre cilindri, non può assolutamente riferirsi alla motrice della Torpediniera (troppo piccole le dimensioni rapportate alle tubolature che si vedono dietro), e questo porta alla alternativa MTP o compressore .

     

    Sempre la stessa autorevole fonte mi riferisce che a Venezia non esiste alcun archivio che riguardi il Regio Arsenale moderno (1866-1918) ne tantomeno il suo Reparto "Navcost". Esiste soltanto al Museo Navale un archivio fotografico con una miscellanea di foto (poche) che riguardano approssimativamente il periodo 1900-1918.

    Suggerisce di scandagliare l'Ufficio Storico ed i depositi riguardanti la progettazione navale del XIX secolo.

  7. Al di la delle valutazioni meccaniche e costruttive del cannone (non valgono solo il ritmo di fuoco e/o le caratteristiche balistiche ma anche dati quali l' usura della canna ecc ecc) è innegabile che il grande problema delle artiglierie navali italiane, di tutti i calibri, esasperatamente sui grosso calibri, fosse il munizionamento.

    La critica maggiore e più conosciuta riguarda la mancanza di munizionamento a vampa ridotta per il tiro notturno, ma la scarsa qualità ed omogeneità delle cariche (causate da uno scarso controllo di qualità a monte) portava a notevoli dispersioni del tiro, e quindi alla poca efficacia delle salve

    E' un argomento su cui si "sorvola" molto ma le pressioni dei gruppi industriali (e non solo in questo campo) portarono a far accettare lotti di munizionamento che non avrebbero dovuto neppure essere presentati alla prove di accettazione

  8. Caro Danilo,

    ho fatto subito ricerche, una scontata, sul volume del Pollina, le Torpediniere italiane, edif USMM (io ho la prima edizione del 64 , dove non c’ è il minimo riferimento né alla modifica e neppure alle cause di perdita della 88S), altre meno scontate estendendole a testi stranieri, come Small Combatant Craft e Steam Shell Gunfire, ma non ho trovato il minimo riferimento.

    Il Pollina ,molto attento nelle citazioni anche se non entra mai in materia tecnica, cita per esempio l’ esperienza su una gemella per le turbine Belluzzo (che in effetti erano Turbine Parson con alcune modifiche Belluzzo) che di fatto dimostra l’ attenzione della RM sulle evoluzioni costruttive dell’ epoca, con esperienze del tutto analoghe e comparabili a quelle del Turbinia inglese, ma non cita neppure la possibilità che la nave, una volta assegnata a Venezia, sia stata utilizzata per esperienze.

     

    Veniamo ai miei dubbi e considerazioni, per cercare di impostare un approfondimento su questa “scoperta” che considero di grande importanza:

    · La datazione della trasformazione, in un’ epoca di rapidissimi cambi, potrebbe aiutarci a capire quali motori potessero essere disponibili

    · la sede di Venezia e l’ Arsenale di Venezia, allora attivissimo e con grande nuova esperienza sui sommergibili, potevano essere le più idonee per questa sperimentazione, sia dell’ A.M. sia di un diverso uso di queste unità, vicine alla fine della vita operativa secondo il concetto originale ma ancora valide ed affidabili come struttura e flessibilità ( come i molteplici impieghi successivi dimostrarono)

    · ho i disegni delle caldaie originali e facendo una stima dei pesi, considerando anche la tecnologie dell’ epoca, la stima di 200 bombole mi sembra eccessiva, a meno che non si trattasse di bombole “industriali” (come a mio parere sembrano quelle delle foto) ma di bombole molto piccole, tra i 30 e 50 litri, soluzione certamente non soddisfacente per l’ incremento dei pesi stessi e la molteplicità ed difficoltà di raccordi per collegarle in parallelo.

    · Scarterei l’ ipotesi dell’ esistenza di una calderina ausiliaria: sbarcata la motrice alternativa per i pochi ausiliari esistenti a bordo la logica direbbe che siano stati trasformati con motori elettrici

    · Il (mio) dubbio maggiore riguarda l’ uso di un motore diesel: siamo esattamente nel momento in cui, anche per i sommergibili si utilizzavano motori a benzina: il primo tentativo nazionale di motore diesel per uso navale risale al 1908; potrebbe darsi che la sperimentazione fosse duplice, sul sistema propulsivo combinato e sul motore Termico (anche per non condurre la sperimentazione direttamente su un sommergibile, che sarebbe stata più complicata e rischiosa.

    · La conformazione dei motori, diesel o a benzina, non era sotto certi aspetti molto dissimile da quella di una motrice alternativa, normalmente senza monoblocco e con i cilindri isolati, innestati sulla fondazione contente l’ albero a manovella: la situazione del relitto, come appare molte e spesse incrostazione dalle foto, non permette molto di rilevare i dettagli sottostanti, e può trarre in inganno

    · I volumi di bordo, e gli esponenti di peso, non permettevano a mio parere mantenere, anche solo come zavorra, componenti della motrice alternativa; meno ancora considerando che a bordo sarebbe stato imbarcato un compressore d’ aria di alta pressione, certamente una macchina relativamente ingombrante e pesante. Anche in questo caso sarebbe interessante conoscere se si trattava di un moto compressore o di un elettrocompressore.

    · Ultima curiosità, per il momento: dove erano stati veramente posizionati il Motore Termico Principale ed il banco bombole: se il MTP fosse stato installato nel locale caldaia, non ci sarebbero stati grandi problemi per i gas di scarico, da convogliare nell’ esistente fumaiolo, ne per l’ adattamento e sistemazione dei depositi combustibili, utilizzando caldaia stessa, il relativo locale fosse stato adibito a locale bombole, quale è stato il posizionamento del fumaiolo? Ritengo che, con il motore Termico principale posizionato al posto della motrice alternativa e le bombole al posto della caldaia sarebbe stato necessario riposizionare il fumaiolo (in altre unità della classe, con nuove e diverse caldaie da sperimentare, era stato aggiunto un secondo fumaiolo arretrato). Questo avrebbe certamente cambiato il profilo ed una foto dopo la trasformazione ci potrebbe aiutare

     

    Siamo comunque di fronte ad una interessante precedente di sperimentazione della RM, che a mio parere andrebbe approfondito: chissà che non si possa trovare qualche notizia negli archivi dell’ Arsenale di Venezia (non ho la minima idea se se siano ancora in loco, devoluti all’ USMM o – peggio – perduti)

  9. Forse anche nell’ ambiente navale è passata inosservata – malgrado la vanteria degli interessati - la notizia che a fine dello scorso anno Fincantieri ha raggiunto un accordo con Mazagon Dock Ltd di Mumbay, il principale cantiere indiano, dedicato alle costruzioni militari, controllato dal Ministero della Difesa, per l' assistenza, lo sviluppo del progetto e forniture per 7 "fregate" da 6400 T …...

    I padri di questo accordo sono gli stessi che rimandarono i marò in India .....

    Gli stessi che avevano fatto finta, indiani tra gli indiani, di meravigliarsi e scandalizzarsi per le tangenti degli elicotteri, stracciandosi le vesti, insieme agli indiani, per la cancellazione del contratto (passato in ombra grazie al caso dei marò)

    Stiamo sottomettendo la nostra stessa dignità agli interessi di pochi, pochi che hanno evitato di dare risalto al fatto che Il 19 febbraio sono trascorsi esattamente QUATTRO ANNI da quando i nostri due marò sono bloccati dalla “giustizia” indiana.

    Quattro anni di privazione preventiva della libertà senza neppure che ad oggi siano state formulate contro di loro delle accuse chiare e circostanziate, un capo d’accusa e tantomeno si sia svolto un processo.

    Non è neppure sufficiente che l’Italia si stia facendo prendere in giro in questa maniera, dopo aver svenduto ogni credibilità internazionale, dopo essere stata fatta fessa per quattro anni da governanti indiani evidentemente molto più astuti dei nostri responsabili politici, ma è inaudito che dietro le quinte i soliti personaggi, quelli che da tempo hanno trafficato con l’ India, portino a causa “risultati” alle spalle delle nostre due vittime.

    Questi indicibili interessi hanno nomi e cognomi …

    Basta, per favore, con i belati di certi svampiti della politica e di certe fanciulle che – come la Mogherini – due anni fa ci raccontarono “Li riporteremo a casa”: questa è una vergogna mondiale che a causa di politici incompetenti sta coprendo di ridicolo il nostro paese.

    Immaginatevi se gli indiani avessero sequestrato due militari statunitensi, russi od israeliani!

    Mi indigna la differenza tra la mobilitazione e l’ impegno profuso in altri casi, da quello delle “ cooperanti” più volte citate, a quelli - pur nel rispetto della morte - degli studenti, dal caso Bataclan a quello, dai contorni certamente più oscuri e per nulla patriottici, del”ricercatore” ucciso recentemente al Cairo. Una vittima certo, ma non rappresentava l’ Italia, come invece hanno fatto e fanno questi due servitori ..

  10. Per ALFABRAVO : Ritorno alle unità portoghesi: si la trasformazione riguardò tutte le unità, ed il Microonda, con alcune altre componenti di COC ed alcuni radar di navigazione, divennero lo standard delle unità portoghesi a fine anni 50/primi 60.

    le limitazioni NATO relative all' uso delle forniture sotto questo "ombrello" per le operazioni in conflitti coloniali, che erano il maggior impegno dell' epoca per la Marina lusitana, frenarono ulteriori sviluppi ed ulteriori forniture

  11. Centrato si tratta del Lima, fine anni 50. L' elemento notevole fuorviante e' proprio il radar, ITALIANO, Microlamba, uno dei primi successi di esportazione del neonato settore nazionale. Fu lo standard delle unita portoghesi, e non un' adozione sperimentale.

     

    Partendo dallo standard delle costruzioni italiane, con la Pero Escobar nave insegna per molti anni della Marina Portoghese, le unita della classe Vouga vennero convertite in unita AS, malgrado le perplessita di un intervento cosi esteso su unita anziane ed usirate

     

    A te la mano

  12. Le celebrazioni a bordo di Santa Barbara erano, e credo siano ancora seppur in forma ridotta, una manifestazione goliardica ma soprattutto di coesione degli equipaggi: prendere queste manifestazioni come icona sarebbe e sarebbe stato sbagliato, ma servivano ed eccome !!! .... se oggi serve anche un' immagine diversa, più accessibile per chi continua ad avere riserve per le forme della vita militare , e se per l' accettazione del pubblico, subito medibile, servono anche queste forme, ben vengano anche se distanti dal mio modo di pensare e vedere la MMI ..

  13. Dopo un primo intervento considerato un po' veemente, mi ero astenuto da ulteriori passaggi sul perché ragionare (in questo forum) sulla guerra all’ ISIS, astensione per vari motivi e per non innescare una spirale di battibecchi di politica nostrana. Credo che anche in questo forum debba prevalere, rispetto alla passione per argomenti storici ed erudizione navale, il senso di vicinanza, se non di appartenenza in molti casi, ad una istituzione ed a “gente” che oggi sta affrontando la realtà dei fatti.

    Discutendo di fatti, prendendo coscienza di rischi e di motivazioni, possiamo dare un grande contributo, meglio ancora se poi diverremo fattori di diffusione..

     

    A mio parere non si tratta più di discutere su antefatti e responsabilità ma di presa di coscienza di una guerra in atto, che ha determinanti aspetti navali, una guerra che il nostro paese combatte da tempo e si troverà ad affrontare in maniera maggiore, anche se in vari modi e con molta demagogia si vuole esorcizzare la parola guerra.

    Il post di Malaparte sull’ allarme per i traffici “mercantili” occulti riporta l’attenzione e l’ attualità del tema, e forse i moderatori valuteranno se unificare le discussioni.; per questo mi sono permesso di postare queste note in ambedue le discussioni.

    Gli articoli del Corriere dimostrano come anche la “stampa generalistica” stia scoprendo una situazione allarmante e prendendo coscienza dell’importanza del nostro contributo navale per la soluzione del problema .

    Come citazione molto puntuale ricordo un “appassionato” del settore che con molta veemenza solo pochi mesi fa chiedeva perche dotarsi di sofisticati sommergibili nell’ attuale scenario “di pace” o comuqnue di conflitti non tradizionali ….. ecco una delle risposte: i nostri sommergibili sono stati e sono uno dei migliori e più efficaci strumenti di intelligence …

     

    Altri comandanti hanno postato efficaci piantine e schemi di flusso che già evidenziano l’ importanza dei traffici marittimi e pertanto dell’ intervento navale in atto: se consideriamo che i fronti caldi della guerra all’ ISIS riguardano già adesso l’ area siriano irachena, l’ area libica e l’ area somala, e questa sequenza è quella della strategia da seguire da parte occidentale, risulta evidente l’ importanza della guerra navale in questo conflitto, guerra navale che è e sarà prevalente nelle prossime immediate fasi.

    La diatriba “boots on the ground” è fuorviante rispetto agli interventi navali da mettere in atto, in congiunto, mentre per il momento nel Mediterraneo allargato è la MMI ad averne il peso maggiore; tutte le attività nazionali ed i tentativi multinazionali di far fronte alla crisi migratoria non sono che aspetti iniziali, anche di messa a punto, di un dispositivo navale che non deve essere solo umanitario ma di vero contrasto ad un traffico che è parte fondamentale della strategia e sulla proiezione dell’ ISIS

     

    C’ è da chiedersi quanto l’ occidente sia preparato, ed in questo contesto quanto la nostra Marina sia preparata, aggiungerei quanto si fa, anche come informazione all’ opinione pubblica, per supportare la MMI in questo frangente.

     

    Se analizziamo i programmi della MMI, non ultima la non dichiarata “legge navale”, è facile vedere che esiste da tempo una giusta visione strategica ed una corretta pianificazione operativa: tutte le unità previste hanno le caratteristiche necessarie per operare nello scenario operativo che si è aperto ed in quello che è prevedibile anche a breve termine, il problema è stato ed è politico/finanziario, dei tempi in cui questi necessari mezzi verranno messi a disposizione della MMI; pur nelle limitazioni di bilancio e nella dilatazione dei tempi siamo di fronte ad uno strumento bilanciato, in grado di operare in tutto il mediterraneo (ma anche in quello allargato che comprende l’ Oceano Indiano ed i suoi accesssi), a protezione degli interessi italiani ed europei, seguendo quegli indirizzi economici che puntano a determinati settori, come l’ off shore energetico, od a previlegiare certe partnership se non alleanze con paesi del medio oriente e del Nordafrica

  14. Mi ero astenuto da ulteriori interventi in merito al perché ragionare (in questo forum) sulla guerra all’ ISIS, astensione per vari motivi e per non innescare una spirale di battibecchi di politica nostrana. Credo che anche in questo forum debba prevalere, rispetto alla passione per argomenti storici ed erudizione navale, il senso di vicinanza, se non di appartenenza in molti casi, ad una istituzione ed a “gente” che oggi sta affrontando la realtà dei fatti.

    Discutendo di fatti, prendendo coscienza di rischi e di motivazioni, possiamo dare un grande contributo, meglio ancora se poi diverremo fattori di diffusione..

     

    A mio parere non si tratta più di discutere su antefatti e responsabilità ma di presa di coscienza di una guerra in atto, che ha determinanti aspetti navali, una guerra che il nostro paese combatte da tempo e si troverà ad affrontare in maniera maggiore, anche se in vari modi e con molta demagogia si vuole esorcizzare la parola guerra.

    Il post di Malaparte sull’ allarme per i traffici “mercantili” occulti riporta l’attenzione e l’ attualità del tema, e forse i moderatori valuteranno se unificare le discussioni.; per questo mi sono permesso di postare queste note in ambedue le discussioni.

    Gli articoli del Corriere dimostrano come anche la “stampa generalistica” stia scoprendo una situazione allarmante e prendendo coscienza dell’importanza del nostro contributo navale per la soluzione del problema .

    Come citazione molto puntuale ricordo un “appassionato” del settore che con molta veemenza solo pochi mesi fa chiedeva perche dotarsi di sofisticati sommergibili nell’ attuale scenario “di pace” o comuqnue di conflitti non tradizionali ….. ecco una delle risposte: i nostri sommergibili sono stati e sono uno dei migliori e più efficaci strumenti di intelligence …

     

    Altri comandanti hanno postato efficaci piantine e schemi di flusso che già evidenziano l’ importanza dei traffici marittimi e pertanto dell’ intervento navale in atto: se consideriamo che i fronti caldi della guerra all’ ISIS riguardano già adesso l’ area siriano irachena, l’ area libica e l’ area somala, e questa sequenza è quella della strategia da seguire da parte occidentale, risulta evidente l’ importanza della guerra navale in questo conflitto, guerra navale che è e sarà prevalente nelle prossime immediate fasi.

    La diatriba “boots on the ground” è fuorviante rispetto agli interventi navali da mettere in atto, in congiunto, mentre per il momento nel Mediterraneo allargato è la MMI ad averne il peso maggiore; tutte le attività nazionali ed i tentativi multinazionali di far fronte alla crisi migratoria non sono che aspetti iniziali, anche di messa a punto, di un dispositivo navale che non deve essere solo umanitario ma di vero contrasto ad un traffico che è parte fondamentale della strategia e sulla proiezione dell’ ISIS

     

    C’ è da chiedersi quanto l’ occidente sia preparato, ed in questo contesto quanto la nostra Marina sia preparata, aggiungerei quanto si fa, anche come informazione all’ opinione pubblica, per supportare la MMI in questo frangente.

     

    Se analizziamo i programmi della MMI, non ultima la non dichiarata “legge navale”, è facile vedere che esiste da tempo una giusta visione strategica ed una corretta pianificazione operativa: tutte le unità previste hanno le caratteristiche necessarie per operare nello scenario operativo che si è aperto ed in quello che è prevedibile anche a breve termine, il problema è stato ed è politico/finanziario, dei tempi in cui questi necessari mezzi verranno messi a disposizione della MMI; pur nelle limitazioni di bilancio e nella dilatazione dei tempi siamo di fronte ad uno strumento bilanciato, in grado di operare in tutto il mediterraneo (ma anche in quello allargato che comprende l’ Oceano Indiano ed i suoi accesssi), a protezione degli interessi italiani ed europei, seguendo quegli indirizzi economici che puntano a determinati settori, come l’ off shore energetico, od a previlegiare certe partnership se non alleanze con paesi del medio oriente e del Nordafrica

  15. è già stata trattata in una altro forum, si tratta di un episodio della 1^ GM nel veneto, dove si allesti una chiatta "blindata" (quella della foto ma non sembra sia stato un caso isolato) per aver ragione di un presidio austriaco

  16. Non un' antesignana ma una vera eccellenza di fama e qualità mondiale.

    La Meteor sino a tutti gli anni 70 era seconda solo alle società statunitensi, per i bersagli, ma fu ceretamente la prima che seriamente si oriento su impieghi diversi dai soli bersagli.

    la storia è molto più interessante ed avventurosa: gli americani, con la Northrop, avevano cominciato molto presto già a metà anni 49, con la serie KD, ma al passo con i simulatori Singer, non pensavamo ad un uso diverso dell' addestramento al tiro antiaereo, e d' altra parte non avevano nessuna intenzione di cedere mezzi e licenze.

     

    Quello che fu poi il fondatore della Meteor, un peronaggio avennturoso e di una solidissima preparazione ingegneristica, pilota medaglia d' oro (ed altro) anche nel periodo di cobelligeranza, godeva di stima e di entrature nelle FFAA americane, e cominciò a pensare ad uno sviluppo nazionale.

    Cominciò a montare velivoli leggeri di ogni tipo raccogliendo pezzi dai parchi residuati lasciati in italia dagli alleati e disponibili sino ben dentro gli anni 50 (tante cose si potrebbero raccontare, sul recupero a vari usi, nazionali e non, di quei materiali ..) e poi, subito con l' appoggio della MMI, punto alla produzione in Italia di modelli propri di bersagli radiocomandati.

    La MMI (e poi, moderatamente il min difesa) lo appoggiò, anche fornendo servizi alle marine alleate ed alla stessa 6^ flotta, stabilendo un rapporto che poi (anche di fronte alla minaccia concreta della Meteor di allearsi con i francesi) portò ad una vera e propria alleanza industriale.

    Magari faceva comodo a tutti un' industria che in qualche modo superasse alcune restrizioni od embargo dell' epoca, e facesse esperienze .indiversi teatri operativi

    Appena la Meteor ebbe concretato il rapporto con la Northrop ed ebbe a disposizione un sistema potente come era la motorizzazione del MQUM-74C, ed una cellula capace di evoluzione, sviluppò il Mirach, un vero drone polivalente, ma anche tutto il sistema per renderlo operativo (il sistema Andromeda che ho citato, tutto italiano, e poco soggetto a condizioni di licenza e restrizioni.

    Più per l' età del titolare (morto nel 2002 a 84 anni) che per problemi economici la meteor venne acquisita da aeritalia, che probabilmente per gigantimo (o opportità) perse un pò lo smart della società iniziale. l' attuale settore droni di Alenia deriva dall' esperienza Meteor

  17. Drones e velivoli telecomandati

    In un mondo in cui drones e UAV sono in pratica la normalità, occorre ricordare come in italia si sia stati all’ avanguardia in questi settori

    La storia inizia nel 1959 quando una piccola ditta aereonautica, la Meteor di Trieste inizia nel ad interessarsi di un nuovo avvincente settore, quello degli aerei senza pilota RPV (remote piloted vehicle) costruiti in materiale composito, da impiegarsi come aerobersagli per l'addestramento delle artiglierie terrestri e navali e per missioni di ricognizione.

    La MMI capisce immediatamente la potenzialità del mezzo ed i vantaggi per un addestramento a caldo delle sue unità, e già nel 1960 allestisce una unità per appoggio e lancio bersagli, allestendo la fregata (ex torpediniera) Orsa che continuerà in tale ruolo sino alla sua radiazione nel 1964 (seguita via via da conversioni di corvette della classe Ape in vari modi adattate allo scopo)
    La Meteor inizia con un prototipo, il P-0, di costruzione lignea con motore a sogliola da 120 o 240 CV, al quale fanno seguito il P-1, il P-2 con motore a otto cilindri ed il P-X ed altri ancora, mentre la produzione ingloba sempre più sensori, con una notevole espansione nel campo dell'elettronica.
    Su questa base e con una immediata credibilità dei prodotti, che la MMI non solo utilizza ampiamente ma utilizza anche a favore degli alleati, inizia la fase della cooperazione internazionale, da una parte relativamente all’ impiego e dall’ altra relativa alla produzione industriale, con notevoli sviluppi nei settori radio ed elettronica.

    Dopo un periodo di sviluppo ed impiego di mezzi con motori a pistone, per le esigenze di maggiori prestazioni nel 1965 viene adottato, ad interim, l'aerobersaglio francese con motore a getto CT 20 e ne viene affidata alla Meteor la manutenzione e lo stesso impiego, per poi passare nel 1967 alla produzione su licenza delle componenti elettroniche dell 'aerobersaglio KD della Northrop.

    In parallelo a questo sviluppo industriale, non mancano neppure i successi di esportazione, sull’ onda di un’ aggressiva azione commerciale in Italia ed all'estero della Meteor: ordini giungono dalla Marina sudafricana, da Marine sudamericane, da una collaborazione con varie forze NATO, dall'Esercito e dalla Marina Militare italiani mentre l'Amministrazione Difesa le affida la manutenzione degli aerobersagli che verranno lanciati in Sardegna dove viene realizzato un campo prova e strutture di manutenzione.

    Dopo un programma di intensa collaborazione con la US Navy, nel 1974 la Meteor realizza un sistema multiruolo cioè con diversi impieghi basato su cinque tipi di vettori aerei, che assume la denominazione di "sistema Andromeda" con tre principali prodotti che prendono il nome da tre stelle di questa costellazione: Mirach i velivoli, Alamak le stazioni di terra per la teleguida e Sirah il sistema di navigazione automatica.

    Siamo ormai nel campo della ricognizione e nel preludio di un più ampio spettro di azioni, ed ottimi risultati tecnici e commerciali vengono conseguiti dalla Meteor anche in questo settore che riscuote l'interesse internazionale.

    La domanda e l’ economia di scala gioca poi negli anni ‘80 a favore della incorporazione della Meteor in Aeritalia, dove proseguirà la saga degli UAV.

  18. La MMI sembra habbia scelto l turbine RR dopo quarant' anni di affidabilita GE e produz nazionale, e certamente analizzera i fatti

    Il problema, di cui certamente la MMI terra conto e' concettuale ancor prima che progettuale.

    Sono quarant' anni, per l' esattezza quarantuno, che i cantieri e lobbies collegate, giocando impropriamente e furbescamente sui "risparmi" e facendo l' occhiolino ai politici, cercano di ttenuare le rigide e certamente ridondanti norme MIL, spingendo per adottare anche per le navi militari le (affidabili e comprovate) norme dei registri di classifica, ed ovviamente per almeno parte dei collaudi, la supervisione dei registri stessi e non degli rgani della MMi. ( per inciso e' in parte gia' avvenuto, dalla Magnaghi e dal rifornitore Stromboli)

    Le navi di prima linea, quelle "piu" da combattimento sono una cosa seria, dove devono (purtroppo? Secondo alcuni ) prevalere affidabilita e ridondanze rispetto alle eccessive innovazioni.

    Rispetto ad una naveeconomica, o almeno con standard normali, ferma in attesa di aiuto e forse di rimorchio e' certamente meglio una nave ferma ma con capacita intatte di combattimento e /o unanave con piene capacita di propulsione ed in grado di defilarsi se ha problemi con i sistemi di armamento, e possibilente non tutti.

    Questo non e' possibile "ottimizzando" gli impieghi ed i carichi dei servizi essenziali adattando ad uso navale ( navale e non marittimo, che sarebbe gia un problema, concordia docet) sistemi di generazione e soprattutto di distribuzione terrestri.

    Probabilmente, e' ancora presto per dirlo, il problema de type 45 non riguarda i generatori,ma il loro numero e collegamento, le priorita nel sistema.

    Un tempo non lontano la ridondanza era tale che in sede di specifica si faceva la somma di tutti carichi elettrici massimi e poi si raddoppiava la potenza ( o come compromesso si aumentava almeno del 50% per tenere conto di eventuali danni in combattimento e di inevitabili refitting. La norma era (?e'?) che sulle navi a due assi, e doppio a.m., l' unita fosse in grado di combattere e muovere con un apparato fuori uso. Certamente sui Daring non e' stato cosi.

    Sinora la MMI no e' mai entrata in questa spirale, speriamo che la tradizione continui. ( il mio comandante alla classe in Accademia diceva sempre. ... Il Genio Navale che tutto il momdo ci invidia, con grande scorno dei compagni di corso dello SM)

    La Royal Navy e' una grande marina ed i marinai inglesi, malgrado la crisi attuale di reclutamento, da sempre grandi professionisti, dipende da cosa e' stato loro propinato dal connubbio lobbies fornitrici lobbies politiche ....e sara il loro potere contrattuale a mettersi in gioco.

    In passato la RN aveva avuto gia" problemi per "scavalcamenti decisionali e lobbistici", basti pensare alle Type 21 degli anni 70, cosi come la Us navy aveva avutoproblemicon certe unita, come le LHA monoasse della classe Guam, ma adesso il prpblema e' colossale, riferito ai ranghi attuali della RN ed alpeso che devono avere in questo quadro le unita classe Daring, gia ridotte da 10 a 6 per l' incremento dei costi

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