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GM Andrea

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  • Compleanno 07/02/1977

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    Castelfranco Veneto, Arzignano, Vicenza, fate un po' voi
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    Storia navale

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GM Andrea's Achievements

  1. GM Andrea

    Per intimo gaudio...

    Evviva! Congratulazioni
  2. Venerdì 16 febbraio alle ore 18.00 presso la Sala Conferenze della Biblioteca del Comune di Monfalcone, Enrico Cernuschi terrà la conferenza "Sommergibili, codici e spie". Un intrigante excursus su quanto ha legato le tre parole del titolo durante la Seconda Guerra Mondiale. L'appuntamento è a cura dell’Associazione Marinai d’Italia (ANMI) Gruppo di Monfalcone
  3. GM Andrea

    Rapporti del XXII Raduno Nazionale "Todaro"

    La febbre mi ha impedito di partecipare... Lieto che siaa andato tutto bene e complimenti a Totianina (& futuri nonni)
  4. GM Andrea

    Appena approdato

    Eccomi, all'ammiraglio Savio è stato dedicato un profilo biografico (non so se già noto) dall'amico Roberto Liberi in questo numero di Marinai d'Italia, pagg. 40-41: https://www.marinaiditalia.com/wp-content/uploads/2020/07/2020_07_08_MdI.pdf Al momento non ho ulteriori informazioni. PS: svuoto la cartella dei messaggi e vedo di rispondere a chi mi ha scritto
  5. Grazie a tutti per la bellissima giornata e in particolare a Totiano per la consueta, impeccabile organizzazione
  6. Segnalo l'uscita, nel mercato francese, di "LES GRANDES BATAILLES NAVALES ET AERONAVALES DE LA GUERRE EN MEDITERANEE", opera di David Zambon ed Enrico Cernuschi. Iil volume (224 pagine ricco di fotografie inedite di alta qualità) è dedicato alla memoria ...au Commandant Erminio Bagnasco, marin, historien naval et ami degli autori.
  7. Buongiorno Gepard, per scrupolo chiederei comunque l'autorizzazione dei titolari dei disegni da cui sono tratti gli elaborati.
  8. 80 anni or sono aveva luogo la Battaglia di Mezzo Giugno, o di Pantelleria. Ricordiamo quegli eventi con uno scritto concesso da Enrico Cernuschi 15 giugno 1942. Ottant’anni fa, fu combattuta nelle acque di Pantelleria la celebre azione navale di superficie tra il convoglio inglese Harpoon partito da Gibilterra e diretto a Malta e la VII Divisione Navale agli ordini dell’ammiraglio Alberto Da Zara. Quella battaglia fu celebrata dalla propaganda italiana e da Mussolini in persona (forse fu il suo ultimo capolavoro giornalistico d’eco internazionale prima della gravissima crisi di salute che lo colpì un mese dopo e che si protrasse fino ai tempi di Salò) e criticata - per gli stessi, speculari motivi - sia dal nemico di un tempo sia dall’oggettivamente spesso sfortunato ammiraglio Iachino, comandante le Forze Navali da Battaglia. I loro argomenti furono ripresi da certi polemisti nostrani, dal luglio 1943 fino ai giorni nostri. La vicenda del 15 giugno 1942 è stata più volte narrata, segnatamente nella nuova edizione di Pelle d’ammiraglio apparsa per i tipi dell’Ufficio Storico della Marina Militare nel 2013 ed andata 3 volte esaurita (edizione di lusso inclusa) nel giro di un lustro. In questa sede ci sia concesso ricordare quella giornata di sole, offuscata solo da una formidabile, immensa e continuamente alimentata cortina fumogena britannica, assieme a pochi fatti di rilievo. “Alle 12.25 … La distanza è di 18.000 metri. Il tiro viene eseguito dal comandante Fabio Tani in maniera magistrale. Alla terza salva il caccia è colpito ed emana fiamme e fumo e sembra fermarsi. Esso viene nascosto con nebbia dall’altro cacciatorpediniere” (Dal Rapporto di missione dell’incrociatore Montecuccoli. 15 giugno 1942) Una volta che si prescinda dai cannoni di medio e piccolo calibro dei mercantili e dei dragamine di squadra britannici, i quali non parteciparono allo scontro navale, la situazione era la seguente: le 10 unità inglesi e loro alleate (data la presenza, nella Force X, del cacciatorpediniere polacco Kujawiak) disponevano di una fiancata di 61 cannoni del calibro compreso tra i 120 e i 102 millimetri in grado di sparare, teoricamente, nel giro di un minuto, 723 colpi per un peso complessivo di 13.629 chili. Le corrispondenti cifre italiane in merito alle 7 Regie Navi coinvolte furono: 49 cannoni tra i 152 e i 100 mm con 286 proietti al minuto per 8.479 chilogrammi. Se si fa eccezione, infine, per i tre incrociatori (due italiani e uno britannico) presenti quel giorno e protetti da cinture verticali tra i 70 e i 76 millimetri e da ponti corazzati di uno spessore compreso tra i 25 e i 35 mm, tutte le unità coinvolte erano vulnerabili al reciproco tiro. * * * I colpi messi a segno dalle due parti furono: H 5.50 Bedouin colpito da un proietto da 120 mm tirato dall’Ascari o dall’Oriani H 5.50 Eugenio di Savoia colpito da un da 120 mm del Marne. H 5.54 Montecuccoli colpito da un 120 mm dell’Ithuriel H 6.01 Bedouin colpito da un 152 mm del Montecuccoli H 6.02 Bedouin colpito da un 152 mm del Montecuccoli H 6.02 Partridge colpito da un 152 mm dell’Eugenio H 6.04 Bedouin colpito da due proietti da 152 mm del Montecuccoli H 6.05 Bedouin colpito da un 152 mm del Montecuccoli H 6.05 Partridge colpito da un 152 mm dell’Eugenio H 6.06 Bedouin colpito da due proietti da 152 mm del Montecuccoli H 6.07 Bedouin colpito da un 152 mm del Montecuccoli H 6.07 Vivaldi colpito da un 120 mm del Matchless H 6.08 Bedouin colpito da un 152 mm del Montecuccoli H 6.09 Bedouin colpito da un 152 mm del Montecuccoli H 6.09 Cairo colpito da un 140 mm del Premuda (il proietto, realizzato dalla Skoda, non esplode) H 6.10 Bedouin colpito da un 152 mm del Montecuccoli H 6.40 Cairo colpito da un 152 mm del Montecuccoli H 12.25 Hebe colpito da un 152 mm del Montecuccoli H 12.35 Bedouin colpito da due 152 mm dell’Eugenio H 12.36 Bedouin colpito da un 152 mm dell’Eugenio H 12.35 Partridge colpito da un 152 mm del Montecuccoli H 12.57 – H 13.00 La cisterna Kentucky e il piroscafo Burdwan sono cannoneggiati a martello, dapprima dai caccia Ascari e Oriani e, in seguito, dall’Eugenio e dal Montecuccoli. Sono esclusi da questo conteggio i 7 short da 152 mm caduti a meno di 10 metri dall’incrociatore Cairo, registrati dai britannici (TNA ADM 234/444) e che causarono diversi danni, tra schegge che attraversarono la nave sopra la linea di galleggiamento ed effetti near miss contro l’opera viva. I due recentissimi cacciatorpediniere britannici Marne e Matchless erano, in realtà, navi di una nuova generazione. Armate ciascuna con tre torri binate da 120/50 del tipo Mark XX a caricamento automatico, quelle unità sottili furono in grado di sparare con regolarità, secondo le relazioni inglesi di quel giorno, ben 9 colpi al minuto (rispetto ai 10 teorici della loro massima cadenza di tiro), ciascuno dei quali pesante il 24% in più rispetto ai proietti ordinari dello stesso calibro; i due 2M” tirarono, nel corso dell’intera azione, rispettivamente 704 e 746 colpi. Questo volume di fuoco, circa triplo rispetto ai 260 proietti dello stesso calibro tirati, quel giorno, dal cacciatorpediniere Ithuriel, indusse gli italiani ad avere a che fare con due incrociatori, tanto più che nel corso dei primi cinque minuti dello scontro, l’Eugenio e il Montecuccoli non avevano sparato, tra tutti e due, più di 150 colpi da 152 mm. La battaglia di Pantelleria fu lo scontro di superficie diurno durante il quale avvenne il maggior scambio di colpi tra inglesi ed italiani nel corso della Seconda guerra mondiale: almeno 3.371 cannonate italiane contro circa altrettante avversarie. In dettaglio, secondo la relazione finale dei D.T. della VII Divisione: furono tirati 832 colpi da 152 dall’Eugenio, 720 dal Montecuccoli, 168 da 140 dal Premuda, 188 da 120 dall’Ascari, 168 dall’Oriani, 329 dal Malocello e circa 300 dal Vivaldi; in più i pezzi da 100 mm del Montecuccoli diretti dal 2° Direttore del Tiro Luigi Vivaldi spararono 500 colpi e quelli dell’Eugenio 160. Tra le critiche mosse dai soliti noti alla VII Divisione, figura anche l’accusa di “aver svuotato i depositi delle munizioni”. L’esperienza e il confronto tra le varie Marine indicano, però, che nel corso della Seconda guerra mondiale la media di proietti dei calibri compresi tra i 150 e i 155 mm tirati per ottenere un centro, di giorno, contro una nave alle distanze di combattimento delle azioni navali diurne, è stata, per esempio a Dakar nel settembre 1940, nell’ordine di 363 proietti per 1 centro. I britannici negarono, in occasione della pubblicazione, dopo la guerra, della relazione ufficiale apparsa sul London Gazette relativa a quell’azione, qualsiasi danno a bordo del cacciatorpediniere Marne. Alle ore 06.01, per contro, il Montecuccoli spostò il tiro dei propri due complessi binati da 100/47 a dritta contro l’ultimo dei quattro caccia inglesi avvistati fino a quel momento (appunto il Marne), essendo quella nave appena giunta entro la portata massima (15.000 metri) dell’armamento secondario di quell’incrociatore, il quale passò, dopo aver sparato i primi 8 proietti di quel calibro, a fare fuoco celere, avendo trovato la distanza. Il Marne fu giudicato colpito a centronave alla quarta salva. Subito dopo la silurante inglese in questione accostò in fuori, disimpegnandosi con fiamme a poppa e un’enorme nuvola di fumo nero. Il rapporto di missione del comandante di quel caccia, il Lt. Commander Hugh Nicholas Aubyn, afferma a sua volta che: “sebbene nessun colpo diretto sia stato incassato gli “straddles” (ovvero i colpi centrati in cursore) e i “near miss” dei proietti (shells) provocarono numerose schegge che colpirono il ponte superiore ferendo, tra l’altro, un sottufficiale”. La relazione originaria di quel caccia interrompere, per il seguito, la narrazione degli avvenimenti per poi riprenderla 10 minuti dopo in un contesto, ormai, completamente diverso, essendo la nave uscita di formazione e ritiratasi alle 06.03. Il quella medesima circostanza, per colmo di sfortuna, a bordo del Marne si verificò, altresì, un’avaria al circuito idraulico dell’impianto poppiero da 120 di quel caccia, l’unico che potesse essere brandeggiato in direzione del nemico, avendo quella nave “preso caccia”, ovvero allontanandosi a tutta velocità. Nonostante gli sforzi dell’equipaggio, essendo la “X turret pump broke down completely”, il guasto fu riparato soltanto a Gibilterra una settimana dopo. L’incendio del Marne fu fotografato da bordo del Montecucccoli e l’istantanea in parola, miracolosamente salvata in seguito a un errore originario di archiviazione rispetto allo smarrimento, avvenuto all’inizio degli anni Settanta, di migliaia di altre analoghe foto scattate, come da regolamento, attraverso l’oculare del telemetro maggiore della Direzione Tiro delle varie navi italiane che parteciparono agli scontri di superficie della Seconda guerra mondiale, è riprodotta qui di seguito. Di fonte britannica è, invece, un’altra foto a corredo di queste righe, la quale evidenzia la presenza, qualche ora dopo, del Marne nei pressi della cisterna Kentucky, immobilizzata in precedenza, nel corso della seconda e ultima fase balistica di quella giornata. I rapporti italiani parlano espressamente di un cacciatorpediniere inglese osservato vicino alla petroliera, ma la presenza di quel caccia è, per contro, negata dalla relazione ufficiale del London Gazette (presa per buona, a quanto pare, da troppa gente, la quale ha fatto propri, per amor di polemica e sulla scia del fulmineo “Processo contro gli ammiragli traditori del Duce” - avvenuto a Parma il 22 maggio 1944 e concluso con le fucilazioni degli ammiragli Inigo Campioni, vincitore di Punta Stilo, e Luigi Mascherpa, eroe di Lero - anche gli sferzanti giudizi britannici del tempo di guerra). I rapporti di missione della Royal Navy, disponibili dal 1972 presso l’allora Public Record Office - PRO - oggi TNA (The National Archives) di Kew Garden, nel Surrey, confermano, per contro, che l’azzoppato Marne era stato distaccato dal resto della propria Flotilla allo scopo di dare, coi suoi siluri, il colpo di grazia (I caccia di scorta della classe “Hunt” presenti quel giorno a sud di Pantelleria non avevano tubi lanciasiluri) quella cisterna, in quanto, dopo un inutile tentativo di affondare quella modernissima motocisterna veloce di costruzione statunitense con i canoni da 102 mm dei dragamine di squadra, il Comandante superiore in mare britannico, capitano di vascello Hardy, temeva, per propria stessa ammissione, che quel mercantile abbandonato dall’equipaggio potesse essere catturato, col suo prezioso carico di nafta pesante per caldaie, dagli italiani ( “…to avoid capture by the Italians”). Il Monteccucoli avvistò il Marne e il dragamine di squadra Hebe. Colpì in pieno quest’ultimo alla terza salva e il Marne si allontanò comprendo di nebbia artificiale l’altra unità abbandonandola. Quale fu il frutto strategico di quella giornata? La Battaglia di Pantelleria indusse già nel luglio 1942 i pianificatori angloamericani a rinunciare (prima ancora della successiva, costosissima operazione di rifornimento inglese di Malta verificatasi nell’agosto 1942) a qualsiasi idea di sbarchi in Tunisia nell’ambito dell’appena concordata invasione, di lì a novembre, dell’Africa Settentrionale francese, data la minaccia aeronavale avversaria (1). Si trattò di un risultato tanto più notevole in quanto il Gabinetto di guerra londinese era perfettamente consapevole del fatto che i francesi di Tunisi e Biserta erano assai meglio orientati a favore dei vecchi alleati del 1940, e degli appena arrivati statunitensi, rispetto ai governatori dell’Algeria e del Marocco. Il conseguente prolungamento di cinque mesi della guerra in Africa Settentrionale rispetto all’epoca (dicembre 1942) messa in preventivo a Londra per poter finalmente riaprire il traffico transmediterraneo dopo due anni e mezzo di Mediterranean Stoppage attraverso il Canale di Sicilia, si rivelò fatale per gli equilibri politici anglosassoni nell’ambito della “strana alleanza” venutasi a formare praticamente per caso tra Londra, Mosca e Washington nel corso del 1941. La crisi del traffico transatlantico inglese del marzo 1943 giocò, infatti, un ruolo decisivo nel ribaltamento, definitivo e inappellabile, delle posizioni rispettive dei due partner di lingua inglese, permettendo così agli Stati Uniti di imporre la propria concezione della futura pace rispetto agli scopi di guerra, enormemente più pesanti per l’Italia, che avevano guidato la Gran Bretagna dal settembre 1937 in poi. Ancora una volta, pertanto, il moto della battaglia navale, grande o piccola che fosse, influenzò oltremisura gli animi dei vertici politici anglosassoni, tutti nati, in fin dei conti, nell’ultimo quarto dell’Ottocento e formatisi sugli insegnamenti di Alfred Thayer Mahan, il forse troppo osannato profeta delle navi di linea e della “grande-battaglia-navale- decisiva”. NOTA 1) The Army Air Forces in World War IInd, Volume One, Plans and Early Operations, (January 1939 to August 1942), The University of Chicago Press, 1948. J. Bykofsky e H. Larson, The Transportation Corps. Operations over seas – U.S. Army in World War II (Office of the Chief of Military History, Department of the Army, Washington, U.S. Printing Government Office, 1957. PS Ci sarebbe anche da chiarire il mistero di cui all’ultima immagine a corredo di queste pagine. Sono poche righe tratte da Edgar J. March, British Destroyers: A History of Development, 1892-1953; Drawn by Admiralty Permission From Official Records & Returns, Ships' Covers and Building Plans, Seeley Service & Co., Londra, 1966, le quali affermano che il cacciatorpediniere Matchless sarebbe stato colpito da un siluro e, non vittima di una mina del tipo Vega posata a primavera dai MAS italiani di Augusta davanti all’imboccatura del Grand Harbour presso lo scoglio Dragut. L’autore inglese di quel noto volume si basò sulle cartelline dei Libri matricolari. Sappiamo inoltre, che le armi italiane da 533 mm avevano, fono a tutto il 1942, la tendenza a “intasare”, al momento dell’urto, la carica contenuta nella testa compromettendo, in parte, la detonazione. Il Montecuccoli lanciò due siluri alle 06.00 contro i due caccia della classe “M” inglesi. L’ufficiale T. tenente di vascello Fiani, osservò, qualche minuto dopo, che una delle due unità era state colpita, ma non affondata. Un altro mistero. Il punto, però, è un altro. Perché nel corso di tutte le azioni navali italiane combattute contro la Royal Navy i misteri abbondano?
  9. Facendo seguito a quanto già pubblicato, aggiungo il link a un'intervista all'Autore sul sito www.letture.org: https://www.letture.org/200-anni-di-italiani-in-guerra-false-vittorie-e-false-sconfitte-enrico-cernuschi e una recensione apparsa sulla rivista JP4 Mensile di Aeronautica e Spazio Allego, infine, il testo di un'altra intervista rilasciata dall'Autore a una rivista d'Oltralpe Intervista in Francia.docx
  10. E' mancato l'ammiraglio sommergibilista Gianni Vignati, un amico col quale ho avuto modo di collaborare e che ricordo con affetto. Faccio mio il ricordo che segue, scritto da Enrico Cernuschi. Nel corso di quest’anno orribile è mancato, questa notte, l’ammiraglio Giovanni Vignati. Amico formidabile e vera forza della natura, di un’energia e una carica umana eccezionali. Sommergibilista. Comandante del Toti, “silurò” due volte la Nimitz durante le esercitazioni nel Mediterraneo. I giudici americani delle manovre non ci volevano credere e, tramite una cinematica da fantascienza (e dopo aver messo il magnetron del radar in cassaforte), Vignati e il suo equipaggio, che lo adorava, riuscirono a fregare la portaerei e la sua scorta un’altra volta, emergendo poi a pallone a poche centinaia di metri dal bersaglio. Realizzò, al comando di quel battello da lui adorato e che “guidava come la mia motocicletta”, pretendendo che tutti, a bordo, imparassero a manovrare i timoni, qualunque fosse il loro ruolo, compì, al pari di altri illustri sommergibilisti di quella generazione, anche altre imprese, dalla sorveglianza occulta e ferret delle navi da guerra russe nel Mediterraneo (andandosi a intrufolare in zone, come i banchi di Kerkennah dove un battello “non poteva andare”, causa i fondali) ad altre di cui si potrà scrivere, forse, tra cinquant’anni. Mutilato di due dita mentre chiudeva il portello della falsa torre osservò, con tutta tranquillità, la propria mano, mentre tutti lo guardavano stupefatti, entrando così - una volta di più - nella leggenda. Passato alla Rivista Marittima, da vicedirettore, nel 1993, ne assunse, in seguito, la Direzione rivoluzionandola e introducendo i computer. Non dirigeva soltanto, per quanto lo facesse benissimo: ci si metteva in prima persona, tanto da diventare il miglior impaginatore d’Italia e l’unico, nel corso del XXI secolo, che inserisse regolarmente (a mano) le note a piè di pagina, visto che l’elettronica non ce la faceva, con l’eleganza e la puntualità, rispetto alle pagina, che voleva lui. Lo faceva per il rispetto che ha sempre avuto nei confronti del lettore, rendendogli così più semplice e immediato lo studio, e per il gusto della sfida. Incrementò a dismisura i supplementi della Rivista mantenendo, nel contempo, i conti in ordine. Creò, in tal modo, una biblioteca di “libri che non esistevano”, privilegiando i temi ignoti e innovativi, spaziando dalla storia alla posidonia oceanica. Dopo la Rivista diresse e rivoluzionò il periodico Marinai d’Italia portandosi dietro, come Montanelli quando fondò il Giornale nuovo, l’argenteria di famiglia del mensile dello Stato Maggiore della Marina, ormai in grado com’era di camminare da solo dopo quasi vent’anni di Cura Vignati. Anche qui i risultati parlarono da soli, sia in termini di abbonamenti sia di lettere dei lettori sia di nuove scoperte, in quanto i suoi appelli permisero di raccogliere migliaia di fotografie provenienti da album privati, assolutamente inedite e, talvolta, rivelatrici. La lezione del comandante Bagnasco, ereditata dal grande Aldo Fraccaroli, in base alla quale la foto non è un riempitivo (da utilizzare costruendoci intorno, se inedita, un pezzo abborracciato e scritto saccheggiando Wikipedia), ma un documento (da valutare, però, sempre con spirito critico), fu da lui applicata in pieno. Sopravvissuto a un ictus recuperando, con la forza e volontà di sempre, piena capacità, tanto da essere di esempio e incoraggiamento ad altri, dell’ambiente, che avevano affrontato quella stessa, durissima prova, diresse ancora per 10 anni il periodico dell’ANMI. Legatissimo alla moglie, scomparsa pochi mesi fa, lascia una legione tra figlie e nipoti, e un numero grandissimo di amici, oggi pieni di dolore e sempre ricchi di orgoglio per aver conosciuto un uomo e un marinaio che Salgari avrebbe sognato di poter narrare.
  11. E' da poco uscito per Mursia il volume di Enrico Cernuschi 200 anni di italiani in guerra. Il libro, scorrevole e che si legge tutto di un fiato, comincia col bue che dà del cornuto all’asino. Nel corso del celebre e decisivo vertice di Venezia del 1980, il Cancelliere tedesco Schmidt tentò di imporre all’Italia un finanziamento non richiesto a un tasso rovinoso. Cossiga, all’epoca Presidente del consiglio, si oppose e l’altro non trovò meglio da dire che “Ma voi avete perso la guerra!”, battuta che, per un decorato della Luftwaffe insignito della Croce di Ferro di 2ª Classe, non era male. Partendo da quest’episodio, Cernuschi affronta, in maniera spesso ironica, il vizio di fondo della cultura italiana in materia militare, troppo spesso trattata e divulgata in maniera puramente letteraria e del tutto disancorata dalla realtà. Una cultura, cioè, che ha fatto da cattiva maestra, dal divino padre Dante in poi, alle varie classi politiche italiane. Oggi progressisti a parole, ma feroci nazionalisti in pratica, i nostri biondi poeti sognano sempre, sotto sotto, quadrate legioni e vorrebbero, come scriveva Montanelli oltre mezzo secolo fa, nell’ultima riga della sua “Storia di Roma”, che Forza Roma fosse ancora la regola per l’Europa, e non un grido da stadio. Logistica, rapporti di forza, economia, tecnologia, il terreno, le rotte, le distanze, il semplice rapporto numerico, per esempio, tra quelli che oggi sono i 60 milioni di abitanti residenti in Italia e i 680 milioni del resto del Continente, divisi tra loro su tutto, meno che sul fatto che sfruttare (o peggio) la penisola è l’hobby favorito da Odoacre in poi, sono tutte cose, che, per costoro, non contano. Rimasti fermi ai ricordi liceali de la gran bontà dei cavalieri antiqui, gli intellettuali (o presunti tali) e i loro allievi politici, loro compagni di banco e altrettanto svogliati sin dai tempi delle elementari e del liceo, credono tutti che le vicende internazionali siano partite di calcio, 11 contro 11. Lamentano così, in rima baciata, la fatal Novara, dimenticando che quel giorno i sardi erano la metà degli austriaci, per poi lamentarsi, come avrebbe detto Mussolini (quantomeno secondo il Diario di Ciano, documento, in realtà, mai visto, in originale, da nessuno) in occasione della Guerra di Grecia, che gli italiani sono mezze cartucce e che è la razza che non va. Cernuschi, volando questa volta in alto, affronta gli ultimi 200 anni di guerre e di pace (ma, in fondo, che differenza fa? C’è la pace, oggi, in Ucraina, o la guerra? Oppure il solito Guerra e pace, in fondo russo per definizione?) alla luce della fondamentale domanda di base: a cosa servono le Forze Armate? E utilizza, come benchmark dei loro risultati, l’evoluzione del Prodotto interno lordo tra il19° e il 21° secolo. Quello che salta fuori, alla fine, è un quadro a dir poco insolito, ma rivelatore. Parlando in questa sede, appare notevole il ruolo storico giocato, durante il 20° secolo, dai sommergibili della Regia Marina. Gli intellettuali, evidenti bestie nere del nostro, lamentano il differente rendimento tra gli U Boote tedeschi e i battelli italiani durante la Grande guerra, come se il traffico atlantico e mediterraneo degli uni e le centinaia di unità del Kaiser Guglielmo II fossero la stessa cosa dei vaporetti austriaci di basso pescaggio che percorrevano, di giorno, i canali della Dalmazia protetti dalle mine. Quello che contava davvero era il fatto che svariate dozzine degli oltre 100 siluranti, tra caccia e torpediniere, asburgiche fossero, dalla metà del 1916, fuori costantemente servizio per mesi in quanto logorate dai compiti di scorta imposti dalla presenza di un numero molto inferiore unità subacquee italiane e alleate. I letterati assetati di sangue (sempre e rigorosamente altrui, sia ben chiaro) esigono, ancora oggi, stragi, ma quello che conta è che quelle unità sottili fossero assenti dai pattugliamenti e dagli scontri con le Regie Navi in Adriatico. E se poi qualche siluro dei battelli della Marina italiana andava a segno, nonostante tutto, di tanto in tanto, meglio così. Ancora più importante, ovvero strategicamente decisivo ai fini dell’economia italiana e dello stesso Miracolo economico, fu il ruolo della flotta subacquea (voluta, in primo luogo, da Mussolini) durante le crisi internazionali etiope e spagnola succedutesi tra il 1935 e il 1937 e durante il secondo conflitto mondiale fino alla primavera del 1943. Né vengono trascurati i risultati, discreti e decisivi, dei battelli italiani nel corso della fase finale della Guerra Fredda e durante le continue e sempre diverse esigenze del XXI secolo. Forse le rivelazioni più eclatanti, sempre rigorosamente basate su documenti e recenti libri stranieri che sarebbe vano cercare altrove, riguardano la parte aeronautica. Essa è dovuta, in massima parte, all’ingegner Ludovico Slongo, un noto specialista della materia costretto a pubblicare, di solito, in inglese. In effetti la natura degli studi storici italiani relativi a quel settore è, se possibile, ancora più asfittica, chiusa, arretrata, ripetitiva, provinciale, legata sempre e solo al bel gesto, di solito sfortunato, rispetto a quella navale. Niente, o davvero troppo poco, sulla strategia, l’industria, la tecnologia e la logistica. Si dice che Cernuschi gli avrebbe proposto di firmare il libro come coautore, ma così non è stato. Quantomeno, tuttavia, Slongo è sempre e costantemente citato e il suo pensiero, senz’altro rigoroso e originale, da ingegnere, è riportato tra virgolette, cosa questa piuttosto rara in un ambiente dove la pirateria sembra essere la regola, tanto che i francesi hanno coniato la definizione, al cianuro, di “incesto tra storici”, dove ognuno copia, dall’inizio degli anni Cinquanta, l’altro senza mai citarlo provocando, così, la pura e semplice paralisi degli studi critici e delle ricerche archivistiche, sostituite da esercizi di calligrafia barocca. Per tacere dell’obbedienza cieca, pronta e assoluta dei giovani nei confronti del venerato maestro di turno a pena della fine, prima ancora che possa iniziare, della carriera accademica; né c’è da aspettarsi una successiva evoluzione di quegli scritti giovanili, per quanto forzati. Ammettere di essersi sbagliati equivale, in Italia e nell’ambito accademico delle scienze morali, al suicidio. Ecco perché tutto è rimasto congelato, per certa gente e quando va bene, al Trizzino degli anni Cinquanta. Non mancano molti dati, inediti e di prima mano, con le collegate valutazioni, sull’Esercito italiano. Si tratta di informazioni anch’esse rivelatrici e pervase, cosa insolita per quest’autore, da dolente umanità. Buone le illustrazioni dell’inserto, anche se in bianco e nero. Chiari i grafici riportati nei capitoli. Per concludere un testo notevole caratterizzato, per una volta, dal dono della sintesi (merito, forse, dell’editore) e da una visione interforze che non perde mai di vista l’obiettivo economico (e quindi politico e strategico) di fondo. Cossiga, ufficiale di complemento della Marina Militare e grosso studioso di storia, non cedette, per la fortuna di tutti, tedeschi inclusi, nel 1980. Se queste pagine fossero lette da almeno un politico raddoppieremmo il numero degli statisti in grado di applicare le giuste categorie della storia senza soffrire complessi di inferiorità, del tutto ingiustificati, nei confronti dei partner comunitari e d’Oltreoceano. Peccato che passeremmo, senza contare il fuoriclasse Cavour, da 1 a 2. Con le percentuali saremmo a posto, ma con le cifre assolute no.
  12. E' scomparso oggi un amico della Marina: lo scrittore, giornalista, sceneggiatore di fumetti storico Mino Milani. Lo ricordo con questo articolo dedicato a Lui apparso sulla Rivista Marittima RM Mino Milani e le grandi avventure.pdf
  13. GM Andrea

    Auguri a GM Andrea

    Grazie mille!
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