Forze armate sull'orlo del baratro
Nel luglio dello scorso anni il Ministero della difesa avrebbe dovuto presentare ufficialmente un ampio piano di ristrutturazione dello strumento militare italiano, allo scopo di renderlo più ridotto ma compatibile, per mezzi ed organici, con le risorse assegnate. A tal fine il Ministro competente aveva istituito un’apposita commissione di alta consulenza per approfondire le modifiche da apportare ed i tagli da effettuare. Come noto, a quasi un anno di distanza da quella scadenza annunciata la montagna non ha partorito neanche il proverbiale topolino. La Difesa ha continuato a gestire il presente, cercando di salvaguardare il core business delle missioni esterne, ed ha “navigato a vista”, evitando, in mancanza di qualsiasi direttiva chiara e di programmi definiti e lungimiranti, ogni modifica strutturale e duratura. Abbiamo più volte elencato i mali che, a nostro parere, affliggono le Forze Armate italiane: la loro sottocapitalizzazione cronica, la mancanza di programmazione, i limitatissimi fondi destinati all’addestramento, l’assenza di una profonda revisione progettuale di fronte ai nuovi scenari internazionali. Da anni non vengono più svolte esercitazioni complesse di livello brigata che non siano per soli posti comando e, di fatto, solo le unità prossime all’invio in teatro ricevono un addestramento adeguato. Le altre sopravvivono e perdono gradualmente efficienza e probabilmente morale. Last but not least il progressivo invecchiamento dei reparti, causato da una politica degli arruolamenti che ha privilegiato le assunzioni in servizio permanente concentrate in pochi anni, rischia di rendere inefficienti e non operative intere brigate. E ancora i gravi squilibri esistenti nelle tabelle organiche, con carenze in certi ruoli e gradi ed esuberi abnormi in altri. In mancanza di decisioni importanti e di riforme strutturali anche drastiche lo strumento militare italiano perderà progressivamente l’efficienza e le capacità faticosamente acquisite con la professionalizzazione ed un patrimonio che ci viene ampiamente riconosciuto in ambito internazionale verrà gradualmente disperso da un attendismo miope e pavido. Non è più tempo di tergiversare, si sta realmente ballando sull’orlo del precipizio. E’ urgente effettuare una completa revisione critica sulle dimensioni e le capacità che il Paese richiede al proprio apparato militare, stabilire, ad esempio, se alcune funzioni possano essere abbandonate e concentrare le risorse su quelle ritenute essenziali. Una possibile guida in tale processo potrebbe essere costituita da un attento esame dell’esperienza maturata nei vari interventi militari di peace support effettuati negli ultimi venti o venticinque anni, verificando quali strumenti e competenze siano state costantemente presenti e necessarie, quali abbiano avuto un ruolo di sostengo e quali invece siano risultare inutilizzate o ridondanti. Il tutto deve avvenire in un’ottica rigorosamente interforze, che sfrondi lo strumento da spreghi e duplicazioni, presenti ad ogni livello. Si dovrà inoltre accertare ai massimi livelli politici se l’Italia ritiene opportuno, come i principali Paesi con i quali ama confrontarsi, avere uno strumento militare efficiente e, cosa forse ancor più importante, se accetti senza ipocrisie l’ipotesi che tale strumento possa essere, ove necessario, utilizzato. A nulla servono infatti, e lo abbiamo ben visto in questi ultimi anni in Afghanistan, armamenti di cui nessun governo autorizzerebbe l’impiego. Accertati con onestà intellettuale tali presupposti le innovazioni dovranno essere coraggiose, drastiche e, purtroppo, talvolta dolorose.
AnalisiDifesa