Quanti ricordi per molti di noi. Chi non è passato per il castello Aragonese di Taranto scagli la prima pietra.
Ora, con i tempi che corrono, l'Amm. Ricci ne ha tirato fuori qualcosa di utile. Oserei dire Eccellente.
Giudicate voi.
Ma che bel castello, ammiraglio
L’ufficiale con l’hobby per l’archeologia: “Ho fatto rinascere un capolavoroâ€Â
TONIO ATTINO
TARANTO
Il Castel S. Angelo, conosciuto come Castello Aragonese, si trova sul canale navigabile di Taranto. Era una fortificazione normanno-svevo-angioina su cui gli aragonesi intervennero con una ricostruzione ordinata da Ferdinando d’Aragona, re di Napoli: l’opera venne cominciata nel 1487 e ultimata nel 1492. Nel 1502 gli spagnoli subentrarono agli aragonesi. Il castello divenne poi un carcere. Caserma della Marina Militare negli ultimi decenni, oggi ospita alcuni uffici della Marina. Ha restaurato un castello del 1400, lo ha aperto al pubblico e ha fatto boom. Poco prima della pensione l’ammiraglio Francesco Ricci si è inventato un nuovo mestiere: archeologo. Se ci fosse stato un botteghino, in quattro anni avrebbe venduto 38 mila biglietti. Ma nel Castello Aragonese si entra gratis. Il 2 giugno scorso, Festa della Repubblica, il record: duemila visitatori.
«E i politici?»
In fondo non tutto è da buttare: a Taranto, la cittàdel Municipio più indebitato d’Italia (700 milioni di euro), qualcosa va. Caso unico in Italia, la Marina Militare ha restaurato un monumento, lo ha aperto ai turisti e ne gestisce le visite guidate. Dal 2004 a oggi quasi 40 mila visitatori - anche americani, giapponesi, tedeschi - senza pubblicità, neppure un depliant. Il turista si avvicina, guarda e domanda: «Scusi, si può entrare?». «Prego, si accomodi». L’ammiraglio Ricci un politico non l’ha mai visto: mai un aiuto. «Il Comune non ha mai mostrato interesse», dice. Il «miracolo del castello», una vecchia caserma, è stato possibile con 160 mila euro stanziati dalla Marina, le donazioni dei privati, i vecchi bisturi dell’ospedale utilizzati come attrezzi per il restauro. E grazie al personale militare e al lavoro dei volontari. In prima fila, il sommergibilista Francesco Ricci, ammiraglio, comandante in capo del Dipartimento militare dello Jonio e del Canale d’Otranto, cioè l’autoritàmassima della Marina nel Mezzogiorno. Originario di Ancona, appassionato di archeologia, Ricci è stato sottocapo di stato maggiore della Marina Militare prima di tornare a Taranto, la cittàdella più grande base navale italiana dove ha moglie e figlia. Il primo luglio compirà63 anni e lasceràil servizio. «Probabilmente mi verràchiesto di restare qualche altro mese. Poi? Spero di potermi ancora occupare del castello. E’ la mia ambizione. Non chiederei nulla in cambio».
A colpi di bisturi
La storia dell’ammiraglio-archeologo comincia il giorno del suo insediamento al dipartimento: 3 ottobre 2003. Il suo predecessore gli fa visitare il castello. «Un capolavoro architettonico» ricorda Ricci. Ma è una caserma, muri coperti da un intonaco lucido, pavimenti orribili. Con l’abolizione della leva, non serve più. Ricci stringe un accordo con l’Universitàdi Bari e la Soprintendenza e mette su una squadra: operai, sottufficiali, ufficiali, studenti, laureati in archeologia. A che cosa servono quelle docce? A nulla: via. Smantellando si scopre un cunicolo che immette su un camminamento chiuso da secoli. Via l’intonaco, il pavimento, centinaia di metri cubi di terra sotto cui sono sepolte dimenticate ali dell’edificio. Affiorano le pareti in carparo, la roccia su cui il castello è edificato. «Ho voluto valorizzarlo e dimostrare come la Marina che ce l’ha in custodia promuove la cittàe la cultura». Due operai del dipartimento scrostano, rimuovono, altri due tecnici ricostruiscono gli impianti. Ogni giorno da quattro anni una ventina di persone scavano, scoprono, restaurano nel laboratorio del castello, guidano il pubblico. I fondi sono esauriti. «Ma i dentisti ci danno una mano» sorride l’ammiraglio. I dentisti? «Dopo l’ultimo convegno ospitato in una sala del castello ci hanno chiesto: cosa possiamo fare? E io: dateci qualche chilo di gesso odontoiatrico. Ci serve per i restauri».
«Altro che Italsider»
Ricci non parla di miracolo. Dice: «Abbiamo unito la capacitàoperativa della Marina alla competenza di Universitàe Soprintendenza ai beni architettonici». Il professor Cosimo D’Angela, docente di archeologia, è supervisore ed «esperto» di collette. Quando qualcuno domanda: «Serve qualcosa?» l’ammiraglio resta impassibile, e lui: «Beh, 300 euro». Ogni giorno spuntano dagli scavi vasi, cocci, monete. «Si va indietro fino al sesto e settimo secolo avanti Cristo» dice Ricci. Il Castello Aragonese, a Taranto, colonia della Magna Grecia, «oggi è l’unico monumento aperto e visitabile con le guide»: il museo archeologico nazionale è chiuso da sette anni per ristrutturazione. Lo strano rapporto tra questo Sud e i beni culturali Ricci lo spiega con un ricordo. «Arrivai a Taranto per la prima volta nel 1966, aspirante guardiamarina. Vidi la cittàvecchia, bellissima. Ero entusiasta. Le guide provavano vergogna. Dissero: questa è la parte brutta, domani vi faremo vedere il futuro di Taranto. Ci fecero vedere l’acciaieria Italsider, un inferno. Taranto ha disconosciuto le sue origini e distrutto con sistematica ferocia il suo eccezionale patrimonio architettonico e archeologico».
Il nuovo sogno
Il castello doveva andare giù a fine Ottocento: «Il Municipio voleva abbatterlo». Poi venne distrutto solo uno dei cinque torrioni, il torrione di S. Angelo, per fare posto, nel 1883, al ponte girevole che avrebbe unito le sponde del canale navigabile entrando nell’oleografia delle tradizionali cartoline turistiche. E ora? L’ammiraglio sogna? «Che bello sarebbe aprire l’Arsenale Militare, ci sono stupendi esempi di archeologia industriale: ma servono un sacco di soldi...».
Fonte: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezion...22914girata.asp
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